Burrasca. La tragedia di Rimini, in cui hanno perso la vita quattro velisti, deve insegnarci qualcosa. Il cattivo tempo è sempre meglio evitarlo. Ma nelle lunghe navigazioni può succedere di doverlo affrontare. Dall’analisi della meteo alla preparazione della barca e dell’equipaggio, dalle vele da tempesta alle ancore galleggianti, ecco cosa fare con 50 nodi.
I CONSIGLI DELL’ESPERTO
Umberto Verna
Umberto Verna è uno dei massimi esperti di sicurezza, i suoi corsi sono seguiti dai più famosi navigatori oceanici. Ecco le sue “dritte” su barca ed equipaggio per affrontare una burrasca. “Importante è il metodo. Le aree su cui concentrarsi sono tre: preparazione della barca, preparazione e gestione equipaggio, programmazione e gestione navigazione.
Partiamo dalla prima: occorrerà rinforzare, anche solo col gray tape, le chiusure di sportelli e cassetti, imbottire le bottiglie con pezzi di cartone per evitare rotture e rumori che possono coprire utili avvisaglie di problemi a scafo o attrezzature. Si verificano le aperture (boccaporti, valvole, ecc.) e il sistema di governo. Gli equipaggiamenti di prevenzione devono essere organizzati in anticipo: le jack line (erroneamente chiamate life line) vanno fissate alle gallocce di prua e di poppa, i punti più sicuri e robusti di una barca, stendendo la fettuccia all’interno delle sartie. Riguardo all’equipaggio, fondamentale è il briefing, ovvero l’analisi, non l’enfasi o la banalizzazione, dei rischi. Solo così nascono quelle norme di comportamento, il chi fa cosa e quando, che ci permetteranno di gestire ogni situazione senza improvvisare.
Va consegnata a tutti la cintura di sicurezza e il penzolo, spiegandone l’uso. Attenzione ai salvagenti autogonfiabili con cintura incorporata, spesso sono solo salvagenti con l’anello metallico sottodimensionato, senza bretelle continue e robuste. Per chi esce dal pozzetto è indispensabile un penzolo doppio asimmetrico: un cavo lungo massimo 2 m da tenere sempre fissato alla jack line e uno corto massimo 1 m da fissare al punto di manovra (prua, albero, timone ecc). L’equipaggio deve essere in forma quindi non dimentichiamo di predisporre la cambusa, un sacchetto appeso alla scaletta con panini o patate lesse, scaglie di grana, salatini o crackers. Da bere acqua, alcolici esclusi perché favoriscono il mal di mare e l’ipotermia.
Riguardo alla gestione della navigazione, la scelta di costeggiare o tagliare, risalire o scappare al vento va impostata con una carta nautica e le previsioni meteo. Il parametro più importante è lo stato del mare, non la forza del vento. Le situazioni più difficili sono proprio quando un vento di burrasca è in calo, non più raffiche a 50 ma “solo” a 35 nodi, il mare è invece ancora in aumento e l’onda si incrocia perché il vento sta cambiando intensità e direzione. In questi casi potreste essere costretti a tenere più tela per passare le onde. Non sempre scappare al mare è una scelta sicura, le onde in poppa senza adeguata velocità possono rendere la barca poco governabile e intraversarla. Specie con barche pesanti, è meglio una lenta bolina larga con mare al mascone in attesa di un miglioramento del tempo. E, in estrema ratio, una cappa secca con ancora galleggiante filata a prua”.
METEO – L’APPROCCIO A UNA BASSA PRESSIONE
Sapere dove è posizionata una bassa pressione e conoscere il movimento dei venti al suo interno sono, sul piano meteorologico, i due capisaldi per affrontare una burrasca in alto mare. Si può infatti attuare una tattica di navigazione che ci permette di allontanarci dal centro depressionario dove i venti sono più forti anziché finirci dentro, così come di posizionarci rispetto al centro della bassa pressione in modo da prendere venti portanti oppure al mascone, a seconda delle reazioni della nostra barca. La legge che regola la direzione del vento negli anticicloni (alte pressioni) e nei cicloni (basse pressioni) prende il nome dal meteorologo olandese Buys Ballot e dice che, relativamente al nostro emisfero, nelle zone anticicloniche il vento soffia dal centro verso la periferia in senso orario, mentre nelle zone cicloniche il vento soffia dalla periferia verso il centro in senso antiorario.
La direzione del vento in mare aperto (sotto costa esso è influenzato dai rilievi e in generale dall’orografia del territorio) è quasi parallela alle isobare, con una leggera deviazione (da 10° a 20°) verso l’esterno nelle alte pressioni e verso l’interno del centro nelle basse. Se ci si pone dunque con la faccia al vento reale, il centro dell’alta pressione si troverà alla nostra sinistra, mentre il centro della bassa pressione si troverà alla nostra destra (vedi disegno 1). Ora immaginiamo di navigare su due barche che si approcciano a una bassa (vedi disegno 2), confermata dal calo della pressione barometrica, da posizioni differenti: una a Sud del centro depressionario, l’altra a Nord.
A bordo dell’imbarcazione Y noteremo che il vento ruoterà a SSW e rinforzerà, saremo pertanto costretti a un’andatura di bolina sempre più stretta con mure a sinistra. Man mano che procediamo con rotta W il vento ruota ancora in prua e rinforza e il mare di conseguenza s’ingrossa. Ci troveremo a dover decidere di modificare la rotta: virando verso S con mure a dritta ci allontaneremo dal centro depressionario, continuando con mure a sinistra entreremo sempre più nel centro depressionario navigando in bolina. Spostiamoci ora a bordo dell’imbarcazione X. Procedendo verso W noteremo l’instaurarsi di un forte vento da SE.
Navigando al lasco con mure a sinistra procederemo veloci e con mare al giardinetto. Proseguendo con rotta W ci avvicineremo però anche noi al centro depressionario e quindi, pur con venti portanti, l’andatura si farà sempre più impegnativa. Strambando subito mure a dritta, ci allontaneremo dal centro depressionario, noteremo che il barometro comincerà a risalire, mentre il vento ruoterà a NNE consentendoci un’andatura al lasco relativamente più tranquilla.
RANDA DI CAPPA – QUANDO I TERZAROLI NON BASTANO
La randa di cappa
Ci sono condizioni in cui neppure la randa tutta terzarolata è in grado di garantire l’equilibrio necessario per affrontare il mare in burrasca, specie se non possiamo poggiare per via di una costa sottovento. In quei casi, fortunatamente rari, serve la randa di cappa in combinazione con la tormentina. Sebbene il costo e l’ingombro siano molto contenuti, sono di fatto pochi i crocieristi ad averne una a bordo. Diciamo subito che la grande differenza tra una randa di cappa e la principale, oltre che nelle dimensioni e nel taglio, sta nell’essere svincolata dal boma, che va appoggiato in coperta e ben fissato a essa con una cima.
La bugna deve di conseguenza essere alta per “volare” al di sopra del boma. Al pari di un genoa è provvista di due scotte da passare nei bozzelli dello spi e da qui rinviate ai winch in pozzetto oppure a quelli delle drizze. Altre caratteristiche sono l’assenza di tavoletta e stecche e la grammatura pesante del tessuto, che è in dacron, generalmente di colore arancio per essere ben visibile da lontano. Le regole di sicurezza dell’ORC (la randa di cappa è obbligatoria per regate di categoria 0-1-2) ne limitano la superficie a un valore che è dato dalla formula PxEx0,175 ma nulla impedisce di stare sotto questa misura. La mura deve stare al di sopra di tutti i garrocci della randa principale e, nel caso quest’ultima sia dotata di rotaia e carrelli, è fondamentale avere un secondo spezzone di rotaia disassata rispetto alla prima. In un albero per inferitura a gratile, la randa di cappa può essere invece montata nella stessa canalina.
ARMARE LA TORMENTINA
Se con un genoa parzialmente avvolto, ovviamente pochi metri quadri di tela esposti, si può sostenere un’andatura portante con 50 nodi di vento, con la stessa vela ridotta non è ipotizzabile bolinare, sia pur con angoli larghi. Occorre dunque armare una tormentina. E qui si pone il problema di dove inferirla, visto che lo strallo è già occupato dal genoa avvolto. Ammainare quest’ultimo, ovvero svolgerlo e poi infilarlo sottocoperta, per issare la tormentina sulla stessa canalina dell’avvolgifiocco, con quel vento è impresa poco raccomandabile.
Le alternative possibili sono pertanto due: dotarsi di uno strallo amovibile su cui inferire la nuova vela, oppure utilizzare una delle tormentine apposite da applicare direttamente sopra il genoa avvolto. Iniziamo dalla prima soluzione, che è la più sperimentata e quella che garantisce un migliore equilibrio al timone grazie alla posizione più arretrata della vela.
Anche qui le alternative sono due: montare lo strallo amovibile appena sotto l’attacco dello strallo di prua sull’albero (la distanza non deve essere superiore ai 60/70 cm) così da evitare l’impiego delle sartie volanti; oppure un falso strallo (detto anche strallo di trinchetta) da intestare all’altezza della crocetta alta, controventandolo obbligatoriamente con le sartie volanti.
Strallo amovibile in tessile
In entrambi i casi è consigliabile un cavo in tessile (Spectra, Vectran o PBO) anziché in acciaio, sia per ragioni di peso (la differenza è di 1:10) che di maneggevolezza e non ultimo per evitare che il cavo a riposo lungo l’albero danneggi l’anodizzazione (o la vernice) del profilo.
La tormentina viene inferita sullo strallo con apposite stringhe di Velcro al posto dei garrocci metallici. In coperta servirà ovviamente un punto fisso a doppio occhiello, ideali i golfari Wichard ripiegabili, dove fissare sia lo strallo amovibile che la mura della trinchetta.
Questo punto fisso deve essere tassativamente rinviato sottocoperta a una paratia strutturale oppure, tramite un tirante, sul dritto di prua. Per attaccare lo strallo al punto fisso si utilizza un tenditore con moschettone a pellicano, ma si può anche impiegare un paranco in tessile con adeguata demoltiplica. Passando alla tormentina da applicare sopra il genoa avvolto, si tratta in pratica di un quadrato di dacron che ripiegato in due attorno allo strallo diventa una vela triangolare. Il modello più interessante è lo Storm Bag (www.deltavoiles.com), una borsa da cui escono i tre angoli della vela: passata la borsa attorno al genoa avvolto, si fissano scotte, mura e drizza, si torna in pozzetto e la vela è pronta per essere aperta.
ANCORE GALLEGGIANTI – TIPOLOGIE A CONFRONTO
Quando la cappa filante, la cappa a secco di vele e la fuga davanti al vento non sono più efficaci, c’è un unico mezzo in grado di rendere la navigazione gestibile: un generatore di resistenza idrodinamica, detto in altre parole, un sistema per frenare. Chiamate indistintamente ancore galleggianti, senza differenziarle secondo il tipo di meccanismo utilizzato e la sua funzione, le tipologie di prodotti per fermare, rallentare e trattenere uno scafo in mare aperto sono in realtà due: la prima, quella delle ancore galleggianti o ancore a paracadute, viene fissata a prua per mantenere la barca pressoché ferma nella direzione del vento e delle onde; la seconda, quella delle spere, viene assicurata a poppa per rallentare e stabilizzare la barca in movimento.
I modelli di ancora galleggiante sono tutti molto simili, più vario è il panorama delle spere: si va dal copertone “fai da te” ai prodotti più evoluti, distinti in “morbidi semplici” (Paratech e modelli tipo manica a vento), “morbidi in serie” (Jordan Series) e “rigidi” (Seabrake e Galerider). Può accadere che l’ancora e la spera siano la soluzione allo stesso problema. Prendiamo il caso dell’ingresso in porto con vento di traversia e facciamo un esempio: “Valeria, sulla sua barca, incontra 50 nodi di vento in prua a sole 10 miglia dalla meta. Tenta di bolinare ma non riuscendo a procedere decide di invertire la rotta e si dirige verso un porto sicuro sottovento. Mentre attraversa l’ingresso del porto viene sorpresa da una barra di onde frangenti. La barca si rovescia”.
Cosa poteva fare? Molto. Filare la spera di poppa e rendere più sicura e semplice la navigazione e l’ingresso. Oppure calare l’ancora galleggiante di prua per fermare la barca e aspettare che il tempo migliori. Difficile definire in maniera dicotomica quando utilizzare la spera o l’ancora a paracadute. Dipende dal tipo di barca, dalla preparazione e condizione fisica dell’equipaggio, oltre che dalla situazione meteo. È sicuramente imperativo per tutti l’uso dell’ancora galleggiante con la barca in avaria che scarroccia rapidamente verso la costa sottovento (se non la si è imbarcata ci si può solo augurare che la guardia costiera arrivi prima degli scogli) mentre è discutibile quando decidere di usare la spera su una barca che inizia ad accelerare sull’onda.
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Un VOR 60’ con Cayard al timone plana a 40 nodi in sicurezza anche con onde frangenti. Un 32 piedi con equipaggio familiare deve invece iniziare a “frenare” molto, molto prima di rischiare di traversarsi e/o rovesciarsi. La spera e l’ancora galleggiante dovrebbero entrambe far parte delle dotazioni di ogni barca poiché rispondono a usi e bisogni diversi. Nei fatti, i negozi specializzati registrano vendite quasi nulle. Se può essere di stimolo all’acquisto, ricordiamo che la spera può essere utilizzata anche per diminuire il rollio all’ancora in rada: oltre a salvarvi la vita, non permetterà che vi si rovesci il bicchiere di prosecco sul tavolo.
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