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AFFONDATO! La storia incredibile di un uomo normale

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mantaciVi raccontiamo, anche attraverso le splendide illustrazioni di Luca Tagliafico (i suoi lavori potete trovarli su www.lucatagliaficoillustrator.tumblr.com) la storia di Salvatore Mantaci, il palermitano che ha abbandonato il lavoro per lanciarsi in una traversata atlantica in solitario (dalle Canarie alla Martinica) su un vecchio 34 piedi: un sogno tramutatosi in incubo a mille miglia dalla sua realizzazione.

Salvatore Mantaci

Salvatore Mantaci

AFFONDATO! LA STORIA DI SALVATORE MANTACI
Se non fossimo stati bombardati di mail a sostegno della sua candidatura tra gli “scelti da voi” nell’ambito delle votazioni del Velista dell’Anno, probabilmente non saremmo venuti a conoscenza della storia di Salvatore Mantaci. Ovvero il matematico siciliano che, senza farsi troppa pubblicità (come i veri marinai), ha deciso di mollare il lavoro all’età di 45 anni per lanciarsi in una traversata atlantica a bordo di un 34 piedi del 1978. Un’avventura da sogno, che, come vedremo, si è trasformata in un incubo. Ma procediamo con ordine.

Tarabaralla, CBS Serenity del 1978

Tarabaralla, CBS Serenity del 1978

COLPO DI FULMINE
Salvatore Mantaci, o Salvo, come lo chiamano gli amici, nasce a Palermo nel 1970: cresce a contatto con il mare e fa dell’acqua il suo elemento preferito. A 27 anni, con una laurea in Matematica in tasca, si trasferisce a Milano per motivi di lavoro (con competenze nelle telecomunicazioni e nell’ICT). Ed è proprio nel capoluogo lombardo, lontano dalla costa, che sviluppa la sua passione per la vela, attività che non aveva mai praticato in gioventù. Frequenta dei corsi, si iscrive alla celebre scuola di marineria francese Glénans e alla fine del 2008 incontra il suo grande amore (l’altro, dopo moglie e figlio): Tarabaralla. Un CBS Serenity vecchio di oltre 30 anni: “Stavo cercando proprio quel genere di barca. Sicura, marina, affidabile. Delle regate non mi è mai importato nulla. Leggendo su internet e informandomi ho avuto modo di riscontrare tanti pareri positivi sul modello, progettato dall’architetto Aldo Renai e alla cui realizzazione aveva collaborato anche il giornalista-navigatore Mauro Mancini (che perse la vita nel 1978 in Atlantico mentre era in navigazione con Ambrogio Fogar, ndr)”, mi racconta. Il colpo di fulmine scatta a Porto Ferraio, all’Elba: “Si dimostrò una barca fantastica fin dall’inizio, in grado di tenere il mare con facilità”.

Bernard Moitessier, uno dei miti di Mantaci

Bernard Moitessier, uno dei miti di Mantaci

LE MIGLIA NON SONO MAI ABBASTANZA
Da quel momento Salvatore trascorre in barca ogni suo momento libero, ogni weekend, ogni vacanza estiva. “Durante questi anni ho navigato tantissimo: tenevo la barca alla Marina di Genova Aeroporto e nei weekend uscivo sempre, sia con la famiglia che da solo, specialmente in inverno. Con il sole e con la pioggia. Davanti alla costa di Voltri mi sono preso delle belle sventolate! Sono anche andato in Corsica e ho girato tutta la costa ligure”. Ma le miglia in mare sono come le ciliegie, una tira l’altra: “Più navigavo, più volevo navigare. ‘Colpa’ delle mie letture: ho divorato libri di mostri sacri quali Moitessier e Slocum, ma anche le avventure di Andrea Pestarini e Carlo Auriemma”.

UNA SERIE DI (S)FORTUNATI EVENTI
Si fa strada nella testa di Salvatore l’idea di una navigazione più impegnativa, una sorta di impresa personale. La traversata atlantica in solitario, dalle Canarie alla Martinica. Tremila miglia non sono uno scherzo: “Inizialmente ho pensato di poter realizzare il mio sogno più in là con gli anni, una volta sopraggiunta la pensione”. Ma le circostanze cambiano le carte in tavola: arriva il 2015 e Mantaci non condivide alcune scelte operate dall’azienda per cui lavora come informatico. “Andavano contro la mia etica. Chiamatemi pure idealista o sognatore: io a mio figlio dico sempre che, nella vita, in qualcosa bisogna pur credere”. Ci pensa un poco, ma non troppo, e opta per la scelta più drastica: si licenzia. “Ho deciso che era giunto il momento di provare a realizzare il mio sogno. Perché aspettare la pensione? Mia moglie e mio figlio mi hanno sostenuto (e spronato) in questa scelta, fin dal primo momento. Senza il loro aiuto non ce l’avrei mai fatta”.

1-veleLA PREPARAZIONE DI TARABARALLA
Da buon matematico, Salvo stabilisce la tempistica serrata entro la quale vuole essere pronto per affrontare l’Oceano, fissandola a metà agosto dell’agosto 2015. In quanto amante della navigazione in solitario già da qualche anno, aveva già apportato alcune modifiche alla barca che ne facilitassero la conduzione in equipaggio ridotto, ma prepararla per una traversata è ben altra cosa. “Avevo adottato alcuni accorgimenti in precedenza, ad esempio ho rinviato tutte le manovre in pozzetto, ho installato uno stralletto volante per la trinchetta, ho montato i lazy jack e le life line. Inoltre possedevo già un pilota automatico con attuatore a ruota Autohelm e un timone a vento Windpilot Atlantic; tutti i miei interventi sulla barca tra giugno e agosto sono stati compiuti con lo scopo di aumentarne la sicurezza. Ho sostituito tutte le prese a mare, il sartiame, le drizze e le scotte, i bozzelli a piede d’albero, ho fatto rifare le vele (dalla veleria Viganò).

E ancora: ho installato pannelli solari da 250 W e un generatore eolico, cambiato i serbatoi dell’acqua aumentandone la capacità a 350 litri, sostituito i vetri in plexiglass a rischio cristallizzazione. Sottocoperta ho montato un chartplotter Raymarine A65 e un AIS di classe B che fosse in grado non soltanto di ricevere. Ho lasciato stare il radar perché mi sarebbe costato troppo. Infine ho montato anche un attuatore idraulico sul pilota e ho fatto revisionare la mia zattera Eurovynil”. Quantificando grossolanamente la cifra spesa da Mantaci per rendere “oceanico” il suo Serenity, siamo intorno ai 10.000 euro. Nel frattempo il figlio di Salvatore, al quale è stata trasmessa la passione per la vela, lo aiuta giorno dopo giorno. I due partecipano anche a una sorta di “clinic” con Gianfranco Meggiorin di Navimeteo, che li istruisce sulle condizioni meteo che Salvo avrebbe potuto incontrare lungo la rotta.

Tarabaralla si lascia alle spalle Gibilterra, destinazione Canarie

Tarabaralla si lascia alle spalle Gibilterra, destinazione Canarie

P1020503-filteredINIZIA L’AVVENTURA
Tarabaralla è pronta in anticipo: dal 22 agosto al 9 settembre Mantaci si imbarca con la famiglia per l’ultima crociera in compagnia. Da Genova i tre navigano verso le Porquerolles, poi si dirigono alle Baleari, dove moglie e figlio sbarcano. “Dalle Baleari ho proseguito da solo verso Ibiza, per poi percorrere la costa spagnola fino a giungere a Gibilterra. A metà ottobre ho fatto il mio ingresso in Atlantico. È stata una grande emozione inoltrarmi in un contesto marino che non conoscevo, caratterizzato da un’onda lunga e costante come l’aliseo portoghese che mi sospingeva”. Salvatore approda a Lanzarote, alle Canarie, il 29 ottobre. Il primo impatto con l’Atlantico gli è servito anche per verificare se la barca fosse realmente preparata al meglio: “Alle Canarie ho ritenuto opportuno intervenire con alcuni lavoretti. Ho spostato il generatore eolico perché, errore mio, durante la navigazione ho notato che andava a cozzare con la vela del timone a vento. Ho montato una pompa manuale per raccogliere l’acqua di mare (per evitare di usare il classico secchio: pochi ci pensano, ma soprattutto in solitario può essere un rischio) e ho approntato un frenoboma artigianale, realizzato con una cima con il nodo a otto da alpinisti e un moschettone. Poi sono tornato a Milano per passare le ultime vacanze di Natale con la mia famiglia”.

Il ritratto di Salvatore Mantaci realizzato da Luca Tagliafico

Il ritratto di Salvatore Mantaci realizzato da Luca Tagliafico

DESTINAZIONE MARTINICA
Mantaci salpa finalmente dalle Canarie il 16 gennaio 2016: “Ho atteso la finestra meteo ideale, prima una brutta depressione mi avrebbe messo in difficoltà. Dopo il 16, studiando le carte sinottiche, avrei sempre avuto vento portante: mi ero imposto di non utilizzare mai l’entrobordo. Durante i primi giorni di navigazione, mi sono occupato di abituarmi alla routine oceanica. Dormivo all’incirca 30 minuti ogni due ore, rispettando i miei cali fisiologici. Ho subito preso il ritmo, ed è anche per questo che ho deciso di non effettuare uno scalo a Capo Verde, proseguendo diretto verso la Martinica: non volevo esser costretto a riabituarmi alla vita di bordo. Per quanto riguarda le comunicazioni, mi sentivo con mio figlio via SMS tramite satellitare Iridium. Non essendo un recordman oceanico, la cambusa rispecchiava il mio tranquillo navigare. Niente cibi liofilizzati, tanto fresco nei primi giorni (frutta verdura, formaggi, salumi) e poi alimenti che contenessero la giusta quantità di proteine: tonno, salmone, zuppe di legumi e pasta. Non mi sono fatto mancare neanche l’amatriciana e il risotto. Credo sia piuttosto importante, a livello psicologico, mangiare bene in barca”.

OGNI GIORNO UN’EMOZIONE
Chiedo a Salvatore di raccontare il momento più emozionante della traversata, ma per come l’ha vissuta mi rendo conto che si tratta di una domanda difficile: “Era come se ogni giorno avesse la sua… emozione. Pensare di essere lì, in mezzo al nulla, lontano dalla società civile… Non dimenticherò mai quei giorni in mare, da solo, in cui si susseguivano lenti tramonti, notti stellate, la luna dallo specchio invertito, lunghe onde, nuvole, e l’aliseo… che anche quando soffiava forte sembrava, forse per la sua costanza, farlo con cortesia. Volevo mare, volevo vento volevo miglia. Era il mio viaggio con la mia barca, non dovevo competere con nessuno, neppure con me stesso, né dimostrare qualcosa a chicchessia”.

mappa mantaci

Il viaggio di Mantaci e Tarabaralla

IL SOGNO SI TRAMUTA IN INCUBO
Ve lo avevamo anticipato. Questa non è una storia a lieto fine. Il 3 febbraio Salvatore si trova a circa mille miglia dalla Martinica, ad est delle Antille Francesi. “Ricordo che era mezzanotte e mezza, avevo 18-20 nodi di aliseo da poppa, stavo navigando con il genoa ridotto sul rollafiocco. Non ho fatto in tempo a sdraiarmi in cuccetta per la mia mezz’ora di sonno consueta che ho subito sentito un rumore sospetto provenire dalla coperta. Un colpo sordo, non familiare. Ho indossato il giubbotto autogonfiabile e sono uscito. Ho subito notato che lo strallo si era rotto e spostato verso sinistra, tenuto soltanto dalla cimetta che serve per riavvolgere il tamburo del rollafiocco. Ho preso una cima in spectra per provare a bloccarlo ma non c’è stato nulla da fare, era difficilissimo con l’onda formata e il fatto che lo strallo fosse ben oltre le draglie. Mentre stavo provando a effettuare la riparazione si è rotta la cimetta del rollafiocco, quest’ultimo si è spostato verso l’esterno e ha iniziato a ondeggiare. Senza pensarci un attimo ho provato ad approntare lo strallo di trinchetta ma l’albero era indietreggiato e quindi non sono riuscito ad agganciarlo. Come se non bastasse, lo stralletto si è attorcigliato attorno all’albero. Allora ho assicurato una drizza di rispetto a prua oltre a mettere in tensione la drizza del gennaker. Nel frattempo il genoa era bello che andato, anche lo strallo principale si era arrotolato intorno alle crocette”.

DI MALE IN PEGGIO
Cosa frullava nella testa di Mantaci, nel buio dell’Oceano, prima amico e ora, improvvisamente, minaccioso? “In quei momenti non è che temessi per la mia incolumità, quanto piuttosto per la sanità dell’albero. Senza di esso non sarei mai riuscito a raggiungere la Martinica a motore: non avevo carburante e in più qualche giorno prima una rete da pesca alla deriva mi si era incastrata nell’elica impedendomi di avviare l’entrobordo. Così ho deciso di aspettare il sorgere del sole”. Ma la situazione degenera: il vento monta fino a 34-35 nodi, salta una delle due drizze che tenevano in piedi l’albero, anche il paterazzo si stacca e Salvatore è costretto ad assicurarlo alla colonnina del timone. “Lì ho capito di trovarmi davvero in difficoltà. Vedevo l’albero oscillare, sentivo le vibrazioni. Era questione di ore, sarebbe potuto venire giù da un momento all’altro: ho avvertito la mia famiglia col satellitare, mia moglie ha chiamato i soccorsi”. Il Comando generale della Guardia Costiera di Roma prende in mano la situazione e allerta tutte le barche e navi nei dintorni di Tarabaralla.

Naufragio Grande

Salvatore Mantaci, a bordo della Oosterschelde, guarda Tarabaralla affondare a 1000 miglia dalla Martinica

UN ADDIO DOLOROSO
Ci penserà una nave scuola olandese, la Oosterschelde, che si trovava a 200 miglia da Tarabaralla, a soccorrere Salvatore il 5 di febbraio: lo trova a bordo della barca semidisalberata. Purtroppo le condizioni del mare non consentono ai soccorritori alcun tentativo per recuperare la barca. “I marinai della Oosterschelde sono stati chiari, confermando ciò che già sapeva la parte razionale di me: ‘Possiamo aiutarti, ma per la barca non c’è nulla da fare’. D’altronde, non potevo sottrarmi alla legge del mare“. Mantaci deve compiere il gesto estremo, ovvero aprire le prese a mare e vedere Tarabaralla affondare nell’Atlantico. Non c’è nulla di peggio per un marinaio che perdere la propria barca: “È stata un’esperienza terribile, come se avessi visto colare a picco una parte di me. Sto ancora male se ne parlo”. Il mare formato ha reso il trasbordo dal Serenity al gommone, e poi sulla nave scuola, davvero difficoltoso. È un viaggio triste e pensieroso, quello verso la Martinica, dove approda il 14 febbraio a Fort-de-France per poi volare verso Milano, aiutato dal Consolato Italiano. E adesso, chiedo al marinaio Salvatore? “Adesso c’è un dopo, tutto ancora da scoprire e vivere; anche se non so ancora come e quando, di una cosa sono certo: tornerò a navigare”.

Infatti, notizia di qualche giorno fa, si è comprato un altro CBS Serenity, Calypso, con cui navigherà lungo la costa orientale della Sardegna, per poi risalire verso Genova toccando la Corsica e la Capraia. Buon vento, Salvo!

tumblr_o0pi00CR2a1s6z4bmo1_500CHI E’ IL NOSTRO ILLUSTRATORE
L’autore dei disegni di questo servizio è Luca Tagliafico. Genovese, 27 anni, amante del mare e della vela, è uno stimato illustratore che collabora con diverse case editrici tra cui Einaudi. Vi sarete chiesti il perché di questi colori a tinte calde. Luca ha deciso di utilizzare come palette i colori dello spinnaker di Tarabaralla!

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Ecco cosa dicono di noi: VELAFestival, la voglia di condividere una passione

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Vogliamo condividere con voi una bella intervista del giornalista Fabio Pozzo al direttore del Giornale della Vela Luca Oriani uscita sulla lastampa.it. Si parla un po’ di tutto: dalla riconferma dell’evento di S. Margherita Ligure alle oltre 200 barche alla veleggiata, dal bolide SuperNikka allo scafo timonato da una novantenne… buona lettura

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“Vuole noleggiare una barca a vela per il ponte del 2 giugno? Guardi, se ne avessimo avute 50 le avremmo piazzate tutte. Non c’è una sola barca di dimensioni medie da noleggiare in buona parte della Liguria di levante e la Toscana”. Così un operatore ligure. Vorrà dire qualcosa?
Torniamo al primo weekend dopo il Primo maggio: a Santa Margherita Ligure c’erano 210 barche in acqua per la VELA Cup, la veleggiata organizzata dal Giornale della Vela nell’ambito del suo VelaFestival. E tante, ma tante persone in banchina. Vorrà dire qualcosa?

Effetto Velafestival
Con Luca Oriani, il direttore del Giornale della vela, ne parliamo da tempo. C’è tanta voglia di vela in Italia. Vela pop, che va ad accompagnare l’interesse per le punte d’eccellenza che rappresentano il made in Italy nel mondo, come il 70 metri “Sybaris” appena varato da Perini Navi.
Prendiamo il VelaFestival, cartina di tornasole. L’ho visto debuttare a Livorno, proseguire a Genova nell’ambito del complesso fieristico che ospita il Salone nautico, consolidarsi a Santa Margherita Ligure. Quest’anno, alla sua seconda edizione, la formula ha dimostrato che i calcoli non erano sbagliati.

Oriani, cominciamo con i numeri…
“Abbiamo avuto 210 barche alla Velacup, un record per il golfo del Tigullio. Che sono salite a 350, contando quelle esposte e all’ormeggio. Significa circa 3 mila velisti, marinai, appassionati, più o meno”.

 

QUI TROVATE L’INTERVISTA COMPLETA

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BREAKING NEWS – Soldini ci riprova con un Multi 70

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Di Giovanni Soldini non si sentiva parlare dalla scorsa Sydney Hobart, chiusa al quarto posto in reale sul VOR70 Maserati.
Si sapeva che quella sarebbe stata l’ultima sfida del navigatore milanese, e che Giovanni si stava guardando in giro alla ricerca di un multiscafo.

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E infatti arriva l’annuncio: John Elkann ha acquistato l’ex MOD 70 Edmond de Rothschild (varato nel 2011 e ottimizzato nel 2014-15 dal team di Gitana) per metterlo a disposizione di Soldini. Maserati è confermato come sponsor, affiancato da un pool di partner (UnipolSai Assicurazioni, Ermenegildo Zegna, Boero Bartolomeo).

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“Dopo tre anni di soddisfazioni con Maserati VOR70 – ha dichiarato Giovanni Soldini – nei quali abbiamo percorso almeno 100.000 miglia e abbiamo navigato nei cinque continenti ottenendo importanti risultati sportivi, è il momento di affrontare nuove avventure. Sono contento di intraprendere questa sfida con un multiscafo, Maserati Multi70. Da aprile abbiamo iniziato a conoscere la nuova barca facendo dei test in Bretagna. Non vedo l’ora di salirci a bordo”. Non si conosce ancora il calendario che affronterà il nuovo Multi 70 Maserati nel biennio 2016-17

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Vela e Rally. Avete mai partecipato a un biathlon così? Nasce Element Race

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elementL’idea nasce da un gruppo di amici viaggiatori con passioni disomogenee ma contagiose e il sogno di metterle insieme in una sola avventura. “Da un lato abbiamo sempre seguito la Dakar e la Volvo Ocean Race con entusiasmo ed attenzione, dall’altro, nei nostri viaggi abbiamo spesso intervallato tragitti in macchina, a quelli in moto, in traghetto, in barca… E’ mettendo tutto insieme e unendo un team di professionisti del mondo della vela e del rally, che abbiamo creato Elements race » – commenta Guglielmo Fontana-Rava, co-fondatore insieme a Danil Kuzvesov, milanese di nascita e olandese di adozione. E’ sua l’idea di questa doppia competizione metà in mare e metà a terra che vedrà i partecipanti sfidarsi per quattro giorni consecutivi in mare e su terra nella cornice dell’Arcipelago della Maddalena e dell’entroterra Gallurese.

GUARDA IL VIDEO

La formula di gara prevede 2 giorni di vela e 2 giorni in off-road con tappe ad anello dalla base di Porto Pollo. Ogni equipaggio, formato da 4 partecipanti, dopo le 2 giornate di vela continuerà il Challenge diviso in coppie per riempire i veicoli 4×4 bi-posto. Il medesimo equipaggio dovrà quindi coprire una tratta gareggiando in acqua e una tratta gareggiando su terra. Una specie di biathlon tecnologico. Il serratissimo programma della 4-giorni sarà battezzato da una giornata di allenamento in acqua per dare il tempo agli equipaggi di affiatarsi con le imbarcazioni che utilizzeranno nella regata costiera della seconda giornata. Il terzo giorno si riparte in fuoristrada con casco e roadbook per le 2 prove di regolarità nelle sterrate vicino Arzachena e Luogosanto. Tutte le prove saranno conteggiate per la classifica finale che definirà il team vincitore assoluto della competizione.Schermata 2016-05-19 alle 16.06.16Il sogno? “Arrivare a una formula ancora più impegnativa” – mi racconta Guglielmo Fontata Rava, ideatore dell’evento – “Un’idea che mi frulla in testa è partire dalla Spagna con i Mini 650 arrivare in barca in Marocco e continuare nel deserto come le moto. Oppure raggiungere la Tunisia partendo da Malta sempre con la stessa formula. Gli elementi che secondo noi legano i rally desertici (Dakar, Faraoni…) e le grandi regate di altura sono la percorrenza di paesaggi sconfinati in totale autonomia, la navigazione (nei rally si usa il road book, mentre nella vela bisogna seguire il meteo) e l’endurance fisica e mentale a cui vengono sottoposti i partecipanti. Quello che secondo noi spinge il velista a fare una regata in solitaria non è molto diverso da quello che spinge un pilota di moto o auto a partecipare ad un grande rally africano o sud-americano. In modo simile gli avventurieri (non competitivi) d’acqua e di terra secondo noi condividono parecchie similitudini e vogliamo quindi metterli insieme in questa competizione”.

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ELEMENTS RACE SARDINIA
Oltre all’inedita formula sportiva, è innovativo anche nell’approccio che offre ai suoi partecipanti, i quali potranno configurare la loro esperienza di gara scegliendo tra 3 diversi veicoli ATV e 2 soluzioni di alloggio. Sarà l’organizzazione a mettere a disposizione Este 24 nel reparto vela e CFMoto, Polaris e Arctic Cat nel reparto Off-road. Le iscrizioni sono aperte su www.elementsrace.com

 

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Al cinema ci vai… in barca! Vi presentiamo il “sail-in”

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sail-in 2Getta l’ancora e… vai al cinema. Il drive-in è una realtà consolidata da anni ma il “sail-in” ancora mancava all’appello.

sail-inCi hanno pensato i canadesi, montando un maxi schermo davanti al waterfront di Toronto sul lago Ontario. D’estate, qui verranno proiettati i film e i diportisti sono invitati a mettersi alla fonda e godersi lo spettacolo.

ormeggi sail-in cinemaHANNO PENSATO A TUTTO
Gratis, naturalmente: il consiglio è quello di arrivare un bel po’ prima dell’inizio delle proiezioni in modo tale da accaparrarsi una “fila” vicina allo schermo. Per il resto ci pensa la polizia marittima di Toronto ad aiutare i diportisti nell’ormeggio secondo uno schema molto semplice: più le barche sono grandi, più saranno piazzate lontane. L’audio non sarà un problema, prima dell’inizio della pellicola sarà comunicata la frequenza radio su cui sarà trasmesso, quindi basta armarsi di vhf! Lo schermo è double-face, in modo tale che anche chi sta a terra, magari dotato di sedia portatile, cuscini o asciugamani, possa godersi il film dal lungolago. Niente male vero? www.sailincinema.com

GUARDA IL VIDEO DI PRESENTAZIONE

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BREAKING NEWS – Acciuffato il killer del catamarano!

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catamaranoL’hanno beccato. La polizia di Ancona ha finalmente arrestato Filippo Antonio De Cristofaro, il latitante condannato all’ergastolo nel 1988 (in via definitiva nel 1991) per l’omicidio di Annarita Curina, 34enne skipper pesarese. De Cristofaro, che uccise la donna per appropriarsi del suo catamarano, si trovava in Portogallo. Era fuggito dalla prigione di Porto Azzurro, all’Elba, 2014. Qualche tempo fa vi avevamo raccontato questa storia raccapricciante: 

IL KILLER DEL CATAMARANO
Mattina del 28 giugno 1988:
al largo di Marzocca di Senigallia (Ancona), durante una sessione di pesca a strascico, i membri dell’equipaggio di un peschereccio compiono una macabra scoperta, recuperando il cadavere di una donna. Il corpo è stato zavorrato con un’ancora di 17 chili, il volto è completamente sfigurato dalla lunga permanenza in acqua e, come si scoprirà dopo, anche dai numerosi colpi inferti con un machete. La donna viene identificata. Si tratta di Annarita Curina, 34 anni, professione skipper e proprietaria di un catamarano a vela di 10 metri, l’Arx.

Il catamarano "Arx" a bordo del quale avvenne l'omicidio

Il catamarano “Arx” a bordo del quale avvenne l’omicidio

VERSO LE BALEARI
Scattano le indagini e le ricerche internazionali: si scopre che la mattina del 10 giugno Annarita aveva preso il mare assieme a un uomo, un italiano ed una ragazza olandese. I tre erano partiti per le Baleari: non solo per una vacanza, ma per avere la possibilità, una volta giunti nell’arcipelago spagnolo, di noleggiare la barca come charter.

Filippo De Cristofaro e Diane Beyer al momento dell'arresto

Filippo De Cristofaro e Diane Beyer al momento dell’arresto

MANETTE PER IL VELISTA “STRANO”
La barca, che nel frattempo era stata rinominata Fly 2, viene ritrovata il 19 luglio nel porto tunisino di Ghar el Melh. Il 21 luglio le autorità tunisine arrestano Filippo De Cristofaro, 34 anni, divorziato, una figlia, uno strano tipo che vive di espedienti e possiede una vera passione per le barche a vela, e due olandesi: la giovanissima Diane Beyer (17 anni), che con De Cristofaro, lasciando i suoi genitori, è già fuggita una volta verso la Nuova Caledonia e Pieter Groenendijk, 27 anni che risulterà poi estraneo al delitto.

Annarita Curina, lo skipper vittima della furia omicida di De Cristofaro

Annarita Curina, lo skipper vittima della furia omicida di De Cristofaro

L’IMPROBABILE ARRINGA DEGLI ASSASSINI
All’inizio, Filippo e Diane tentano di imbastire una loro versione – alquanto improbabile – di quanto accaduto in mare: una rissa tra le due donne che si contendevano De Cristofaro finita in tragedia. Poi entrambi crollano. E confessano. Ad uccidere Annarita Curina è stato Filippo De Cristofaro, con la complità della ragazza. Sarebbe stata lei a ferire la donna – precedentemente stordita con del Valium disciolto nel caffè – ad un fianco con un coltello, mentre la stessa stava riposando sottocoperta. Ma è stato lui a finirla con un machete che si trovava a bordo. Entrambi hanno poi gettato il corpo in mare, dopo averlo zavorrato perché non venisse mai più trovato.

Diane Beyer: per lei 6 anni e sei mesi di carcere minorile

Diane Beyer: per lei 6 anni e sei mesi di carcere minorile

MOVENTE: UN SOGNO MALATO
Il movente del delitto è futile e ovvio, nel suo orrore: impadronirsi del catamarano di Annarita e veleggiare per il mondo assieme. Un sogno di tanti, ma tentato di raggiungere in modo malato. La Beyer viene condannata dal Tribunale dei Minori a sei anni e sei mesi di reclusione il 17 dicembre 1988. De Cristofaro invece si becca 30 anni in primo grado, pena tramutata nell’ergastolo in appello e in Cassazione, il 5 giugno 1991.

L’immagine più recente di Filippo De Cristofaro divulgata da Chi l’Ha Visto?

IL KILLER E’ IN LIBERTA’
De Cristofaro riesce però a fuggire dal carcere per ben due volte. Il 6 luglio 2007, nel corso di un permesso premio dalla prigione di Opera, Pippo (come lo chiamano gli amici) fugge. Lo ripescano a Utrecht, proprio la città dove vive il suo grande amore Diana (che nel frattempo si è sposata e ha avuto tre figli), un mese più tardi. Passano sette anni. De Cristofaro riesce a ottenere un permesso premio per Pasqua nel 2014. Tre giorni di uscita dal carcere di Porto Azzurro, all’Elba, da trascorrere in una comunità di Portoferraio. E lui sparisce ancora. Da allora, nessuno l’ha più visto. Finché non lo catturano in Portogallo. 

INTERVISTA CON L’ASSASSINO
Nel 1994, Franca Leosini ideò la serie “Storie Maledette”, in cui la giornalista e conduttrice napoletana si recava nelle carceri italiane per intervistare i detenuti coinvolti più note vicende di cronaca nera. Filippo De Cristofaro fu protagonista proprio dell’episodio pilota della serie, intitolato “Arx, il catamarano della morte”. Riportiamo in calce l’intervista integrale, in cui il velista, dopo un silenzio durato sei anni, decide di raccontare la sua (traballante) versione dei fatti. (Ghego Saggini)

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Passione, sacrificio, sudore. Questa è la vera vela

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The Sailing World Cup  Hyres TPM
Ci facciamo tante “pippe” sulla Coppa America, sulla Volvo, sulle regate dei Maxi… ma poi bastano immagini di questo tipo a ricordarci qual è la Vela, quella con la “V” maiuscola.
Tutto parte da qui, dalle classi olimpiche e dalle derive, dove tecnica e fisico si mischiano con l’adrenalina. Dove non riesci a tenere gli occhi aperti per il sale e dove al minimo errore sei in acqua e la tua regata è bella che finita. Dove ti prepari a un’olimpiade per quattro anni versando lacrime e sangue e se il vento salta a pochi metri dall’arrivo in medal race vedi sfumare la tua medaglia.

UN MONDO DI SACRIFICI E SUDORE
La foto sopra è stata scattata da Jesus Renedo a Hyères, in Francia, dove si è svolta la Coppa del Mondo ISAF e ritrae lo sventurato equipaggio di un 49er che si è reso protagonista di una scuffia spettacolare con 30 nodi di mistral. E’ stato uno dei tanti “capitomboli” nell’arco della prima giornata di regate. Speriamo che le prossime Olimpiadi di Rio, dove i nostri atleti si presentano con buone speranze di fare bene, servano a focalizzare l’attenzione su questo mondo fatto di passione, sacrifici e sudore, spesso dimenticato dai media.

NO SOLDI, NO VISIBILITA’
Dimenticato perché gli atleti non hanno tempo né soldi per curare la propria immagine: accade non di rado, ad esempio, che un evento riservato a un numero ristretto di maxi yacht, la cui organizzazione conta su un efficiente ufficio stampa, offuschi in termini di visibilità un appuntamento olimpico, dove il valore sportivo, lasciatelo dire, non è sporcato da altri fattori. Vince chi sbaglia meno, non chi ha la barca ottimizzata al meglio da guru del rating, o chi può permettersi un equipaggio di superstar prezzolate. Qual è la vela che vogliamo? Prima di rispondere guardate attentamente la foto sopra. Si, è proprio quella. Quella al cardiopalma delle classi olimpiche.

Eugenio Ruocco

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Cinque compagni di barca… da evitare assolutamente in crociera / 2

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crocieraVisto il successo che ha riscosso la nostra lista dei cinque tipi di velisti da non invitare assolutamente a bordo per trascorrere una crociera tranquilla, abbiamo pensato di ampliarla con una seconda puntata. Eccovi altre cinque tipologie di compagni di viaggio che fareste bene a evitare di imbarcare se non volete che la vostra vacanza si trasformi in “Ore Dieci Calma Piatta”.

snypp3LO SBORONE
In Liguria lo chiamano anche “bauscia”, ma attenzione: non identificatelo con “milanese”, sta a indicare per lo più un comportamento. Questo signore in banchina e prima di salpare sa tutto. Ha partecipato a corsi di vela oceanica, è stato a bordo della barca di Soldini, una volta ha persino salvato un naufrago da morte certa e in match-race sostiene di aver fatto vedere i sorci verdi a James Spithill. Ma stranamente non risulta in nessun albo d’oro, e se provate a “googlare” il suo nome non apparirà nulla. Appena siete in navigazione, capirete perché. Pretende di stare al timone, e salpando si tira dietro la colonnina a cui ovviamente aveva dimenticato la presa della 220 attaccata. Lo sborone non sa distinguere la randa dal genoa (che crede essere una squadra di calcio), confonde il parlato con la gassa e pensa che i parabordi siano una decorazione estetica. Un disastro. Probabilmente è vero che ha fatto vedere i sorci verdi a Spithill: ma era in barca con lui.

toto_iettatoreLO IETTATORE
Ebbene si, questo personaggio di pirandelliana memoria si aggira anche per le banchine. Siete a bordo, in navigazione verso l’Elba, davanti a Livorno. Splende il sole, una brezzolina leggera vi accompagna sul mare piatto d’agosto. “Ma come mai non avete addosso il giubbotto autogonfiabile?”, vi chiede lo iettatore. “E dove sono le life-line?”. Vi verrebbe voglia di mandarlo a quel paese ma non c’è tempo, perché un groppone improvviso vi investe e vi ritrovate, in bermuda e maglietta, a lottare contro una tempesta che neanche alla Sydney Hobart. A ridurvi in pappa il cervello, mentre state disperatamente cercando di dare due mani di terzaroli, saranno le frasi pronunciate tra sé e sé (ma a volume sufficiente per farsi sentire) dallo iettatore: “Eh… io l’avevo detto… eh… i Grib Files… eh… il corso di meteorologia”.

sail sailing sailboat lady woman female beautiful ladies (12)LA RAGAZZA ROMPIPALLE
Non ce ne vogliano le lettrici, ma ahimé questo è un personaggio ben connotato dal punto di vista di genere. La ragazza di qualcuno dei vostri compagni di barca che arriva con il tacco dodici e la valigia di Hermes rigida: che vi rimprovera se la barca si inclina e se la randa le copre il sole. Che con l’acqua dolce che usa per farsi una doccia a bordo si potrebbe risolvere il problema della sete in tutta l’Africa. Che, alle sei del mattino, in rada, sveglia tutto l’equipaggio per costringerlo a un improbabile “saluto al sole”. Che, porca paletta, sta con il vostro carissimo amico e non potete dirle niente per non rovinare un rapporto di affetto reciproco che dura da anni (con il vostro amico), altrimenti, con buona pace dei femministi, la pigliereste a ceffoni e la costringereste a guardare per 100 volte “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” della Wertmüller.

4a8c1be4b104c1d13eda6d732ce799e4IL CONSIGLIATORE FOLLE
State per ormeggiare in banchina: avete assegnato i ruoli all’equipaggio, c’è uno già pronto con il mezzo marinaio per la trappa e due a poppa, pronti a ricevere le cime dall’ormeggiatore. Quand’ecco che da sottocoperta spunta lui, il consigliatore da ormeggio folle. Assume il comando delle operazioni senza che nessuno lo abbia autorizzato. Dà ordini contradditori al timoniere, dal canto suo si mette a smanettare con le marce, retro e avanti, retro e avanti, urla a destra e a manca disorientando l’equipaggio. Risultato: vi troverete traversati in men che non si dica, con la trappa bella sporca che striscia in coperta o avvolta all’elica del motore e i vicini di barca che bestemmiano perché ovviamente i parabordi, fatti spostare dal consigliatore folle, non sono nella giusta posizione. Il consigliatore contemplerà il casino combinato e commenterà, seraficamente: “Eh ma se non mi state mai ad ascoltare…”.

Uncle Scrooge aIL TACCAGNO
Fate attenzione a evitare come la peste il taccagno a bordo, o la vostra crociera si trasformerà in una terribile prigionia fatta di tonno, fagioli e pane raffermo e 30 grammi di pasta (cotta in acqua di mare) ogni settimana. Vi costringerà a lavarvi esclusivamente con acqua di mare, pretenderà di andare a vela anche in bonaccia piena e, nella peggiore delle ipotesi, vi obbligherà, se proprio non ci si può fermare in rada, a ormeggiarvi al transito nei marina ma solo dopo la mezzanotte, svegliandovi alle cinque del mattino per salpare e non pagare così la quota.

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VIDEOINTERVISTA a Marcello Persico, premio TAG Heuer Innovation

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Marcello Persico in the Persico Marine Boatyard in Bergamo (Italy)Persico Marine è sinonimo di eccellenza. Internazionalmente riconosciuta, soprattutto dopo il miracoloso intervento di riparazione su Team Vestas dopo l’incidente alla Volvo Ocean Race. Marcello Persico è a capo del cantiere di Nembro (Bergamo) che attualmente è la più importante realtà “hi-tech” della vela italiana. Qui vengono sfornate le barche più all’avanguardia, e qui saranno prodotti i nuovi VO65 in vista della VOR 2018. Abbiamo assegnato a Marcello il premio TAG Heuer Innovation al VELAFestival di Santa Margherita, qui la videointervista che abbiamo realizzato con lui.

LA VIDEOINTERVISTA A MARCELLO PERSICO

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COSA FARE SE… devi dare la seconda ancora?

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ultima foto
Quarant’anni di Giornale della Vela sono anche quarant’anni della nostra sezione di pratica. Abbiamo selezionato cinque quiz con i migliori consigli pratici che ci sono arrivati dai voi lettori negli anni. In questa quinta puntata vediamo cosa fare se dovete dare la seconda ancora in rada.

DARE LA SECONDA ANCORA

DOMANDA: Sei in rada, arrivano oltre 30 nodi di vento e rischi di arare. Devi per forza dare la seconda ancora, cosa fai?

Schermata 2015-11-19 a 12.25.26RISPOSTA: “Se ci sono altre barche vicine preferirei innanzitutto andare a cercare una zona più libera perché, tra ancore che arano, barche che filano più catena per avere maggiore sicurezza (e altre che non lo fanno), e ancoraggi raddoppiati, aumentano parecchio i rischi di collisione. In ogni caso, preferirei appennellare anziché afforcare. Un po’ per la maggiore sicurezza, un po’ per tenere un percorso di giro intorno all’ancoraggio più regolare (di nuovo, per evitare collisioni). Non solo, per afforcare dovrei mettere in acqua il tender e 30 nodi potrebbero iniziare a essere troppi. Volendo appennellare, l’unica manovra possibile è quella di rifare l’ancoraggio da capo.

Quindi, per prima cosa preparo l’ancora di rispetto con relativo spezzone di catena e grillo da collegare alla prima. Accendo il motore, faccio recuperare catena e tirare su l’ancora principale. Manovrando in modo da tenere la prua al vento, faccio collegare il grillo al diamante dell’ancora principale. Faccio anche fare un collegamento di sicurezza con una cimetta (non si sa mai!). Poi, faccio calare l’ancora secondaria finché non ha toccato il fondo e dato un accenno di presa. Appena questo è avvenuto, faccio mollare catena finché il calumo è circa 2 volte il fondale. Di nuovo, un attimo di attesa perché l’ancoraggio faccia un po’ di presa. Poi, faccio filare catena finché possibile (e compatibilmente con la posizione della barca rispetto agli ostacoli circostanti).

Con 30 nodi è inutile dare marcia indietro durante la manovra, tranne alla fine per far affondare le marre! Fatto questo, le solite verifiche che l’ancoraggio non ari (riferimenti a terra), spengo il motore e controllo che la catena sia assicurata alla barca con una cima e un nodo che sia facile da sciogliere. Faccio anche portare a prua un parabordo, assicurandolo provvisoriamente al pulpito per essere pronto, caso mai fossi costretto ad abbandonare rapidamente l’ancoraggio filando per occhio. Mentre ci sono, se c’è rischio di collisione, faccio portare qualche parabordo in coperta, li lego alle draglie e li tengo pronti per essere usati. Sto un po’ in pozzetto per capire meglio il cerchio di evoluzione mio e quello delle barche intorno. Poi, inizio a pensare ai turni di guardia da far fare all’equipaggio”.

PRIMA PUNTATA – COSA FARE SE HAI UNA FALLA A BORDO

SECONDA PUNTATA – COSA FARE SE DEVI ANCORARE A VELA

TERZA PUNTATA – COSA FARE SE TI INCAGLI

QUARTA PUNTATA – COSA FARE SE LA RANDA NON SCENDE

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IN REGALO PER VOI. Pronti a scaricare il gioco dell’oca da fare in barca?

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gioco_ocaPronti per iniziare a trascorrere tranquille giornate in rada? Ecco che allora abbiamo pensato a un vero ritorno al passato, regalandovi questo Gioco dell’oca in versione marinara.
Leggete il regolamento, cliccate sulla foto qui sotto col tasto destro del mouse e scaricate il tabellone, recuperate due dadi e preparatevi. Che il gioco cominci!

COME SI GIOCA
Cosa occorre:
• due dadi da gioco, possibilmente non truccati!
• ogni giocatore dovrà munirsi di una pedina (l’ideale sarebbe fare piccole barchette di carta di diverso colore) e di spirito marinaresco: imprevisti e sorprese potrebbero cambiare il corso delle cose all’improvviso e allontanare la meta proprio quando si pensava di averla raggiunta. Ma è qui che si rivela la tenacia di un vero marinaio.
Obiettivo del gioco Lo scopo è arrivare alla casella 63, ossia all’approdo idilliaco: isola deserta, dune di sabbia dorata, mare turchese, silenzio pacificante.
Importante: la casella d’arrivo deve essere raggiunta con un lancio di dadi esatto; altrimenti, giunti in fondo, si retrocede dei punti in eccesso.

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INDIMENTICABILI. La storia del Moro di Venezia I, la barca che diede il via alla dinastia

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moro di veneziaDurante i giorni del recente VELAFestival la domanda che ad ogni ora risuonava nell’aria era una: “Scusate ma è vero che c’è il Moro? Sapete dirmi dove è ormeggiato? Ebbene sì. Il Moro di Venezia I è stato la nostra guest star in banchina per quattro giorni ed è riuscito a risvegliare quella passione che negli anni Novanta (Il Moro di Venezia è stata l’imbarcazione italiana sfidante per l’edizione del 1992 della Coppa America) aveva contagiato tutti gli italiani.

La “Febbre da Moro” non si è ancora abbassata dopo decenni, a conferma che questa imbarcazione, bianca o rossa che sia, è il simbolo dell’amore italiano per lo sport della vela.

QUEL GIORNO IN CUI GARDINI E FERRUZZI ARRIVARONO A NEW YORK
Il progetto del Moro di Venezia I, costruito dal Cantiere Navale Carlini di Rimini in legno lamellare a sette strati su ordinate in lamellare di acacia, è datato 1975. Varata nel febbraio del 1976, capostipite della classe italiana di Maxi Yacht IOR, è stata voluta da Serafino Ferruzzi come regalo per il figlio Arturo e per il genero Raul Gardini, con il patto che dividessero i loro weekend tra la vela e il lavoro in azienda.
L’idea iniziale era affidare il progetto allo studio newyorkese di Sparkman&Stephens, ma una volta giunti nella Grande Mela, i due giovani furono recuperati in areoporto da un ragazzo argentino, allora assistente del famoso studio: il suo nome era German Frers. E da qui ha inizio la favola.

Il Moro I è la prima carena con inciso a poppa il nome di una delle dinastie di yacht più prestigiose al mondo.

Con questo nome verranno identificati nove yacht di bellezza e prestazioni assolute, fino ai cinque leggendari America’s cuppers. Barche elegantissime, tutte indissolubilmente unite da un’idea di perfezionismo e proporzione quasi maniacale. Tutte rigorosamente disegnate da un’unica storica matita, quella guidata dall’esperta mano di German Frers. Il Moro I venne armato con un albero alto ventisette metri: era la prima volta nella storia che si realizzava un maxi di oltre venti metri armato a sloop. Il progetto di questo avveniristico armamento venne studiato e perfezionato da Ted Hood, materializzando le specifiche richieste di innovazione volute da Raul Gardini.

UN PALMARES DA CAMPIONE
Il Moro di Venezia I è il capostipite della classe italiana di Maxi Yacht IOR. Nel 1977 ha vinto in Inghilterra la Channel Race e l’anno successivo ha attraversato l’Atlantico per partecipare alle regate del SORC e dominare la classica Miami-Nassau. Ha partecipato al drammatico Fastnet del 1979 e detenuto il record della Barcolana dal 1987 al 2005. Oggi l’imbarcazione, ormeggiata a Portofino, ammalia ancora tutti per la sua strepitosa eleganza.

 

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Speciale noleggiare la barca Estate 2016: tante offerte per tutti i gusti

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Schermata 2016-05-23 alle 13.02.20
Mai come quest’anno l’offerta di barche a noleggio nel Mediterraneo e le possibilità di scelta in fatto di modelli e di destinazioni del viaggio sono vantaggiose e amplissime. Basti pensare che nel bacino del Mare Nostrum oggi sono oltre 2.500 le imbarcazioni a vela sino a 18 metri che sono adibite al noleggio. Tra queste poi, oltre il 70% sono barche nuove, che hanno cioé al massimo due anni di vita. Noleggiarne una per le proprie vacanze quindi vuol dire avere garanzia di affidabilità come mai successo in passato. Senza contare poi che, essendo imbarcazioni moderne e di ultima generazione, sono in grado di dare ai crocieristi un livello di abitabilità e di confort a bordo che prima semplicemente non esisteva. In più, lo sviluppo, anzi il vero e proprio boom, nel noleggio dei catamarani ha creato una valida e forte alternativa all’affitto della barca a vela più classica. A parità di lunghezza infatti il multiscafo offre spazi e comodità soprattutto in coperta che sono inimitabili e impagabili. Chi poi non ha grandi capacità o voglia di mettersi personalmente al comando della barca che sceglie oggi senza alcun problema può “noleggiare” uno skipper provetto che garantisca il massimo relax. Allo stesso modo anche il mercato delle barche di lusso (quelle sopra i 18 metri) si è ampliato e i prezzi sono diventati più abbordabili.

SCEGLIERE UN OPERATORE AFFIDABILE
Come sempre però, elemento fondamentale nella ricerca del charter è l’affidabilità dell’operatore. Ed è proprio per questo che in queste pagine che seguono abbiamo scelto per voi e radunato i migliori operatori. Insomma come si dice, fidarsi è bene ma è soprattutto meglio affidarsi a società serie e da lungo tempo sul mercato che sono in grado di dare un servizio di qualità e una solida garanzia di affidabilità. Come al solito infine non può però mancare un ultimo consiglio per chi non vede l’ora di partire per una crociera in barca. Se vi è possibile, scegliete di mollare gli ormeggi in un periodo non di altissima stagione (le due settimane centrali di agosto, per intenderci). Così facendo infatti godrete di grande libertà nei porti turistici e soprattutto sarete spesso soli nelle baie più belle.

SCEGLI TRA LE MIGLIORI COMPAGNIE

43° ParalleloFlotta all’avanguardia
Aladar Sail: Crociere à la carte
Arawak Sailing Club: Tra Grecia e Croazia
Arundel Yachting: Grandi navigazioni tra Italia e Francia
Carlo Venco: In vela alle Baleari
Dea dei Mari: Dieci anni di passione
Equinoxe Yachts: Per la vela da trent’anni
GlobeSailor: Sul web scegliere è più facile
Italy Charter: Una scelta senza pari
Mondovela: Le rotte ok in famiglia
Navalia: Un servizio completo
North Sardinia Sail: Dalla Sardegna al Mediterraneo
Parallelo 38 Charter: Gli specialisti delle isole Eolie
Sailsquare: Vacanze mai viste
Skipper Charter: Vacanze in mare senza stress
Timone Charter: Eolie in barca anche coi bambini

 

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Velisti-pescatori occhio! Questo pesce è mortale!

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Lagocephalus-sceleratus
Chi oltre a essere un appassionato di vela, lo è anche di pesca, deve aprire bene gli occhi e prestare molta attenzione alla fotografia di questo pesce, il Lagocephalus Sceleratus (nome scientifico del pesce palla argenteo), che negli ultimi tempi sta invadendo il Mediterraneo.

l.s.State attenti, perché la sua carne, se mangiata (anche cotta) può avere effetti mortali. Secondo l’Oceanus Research Group questo pesce “è da annoverare fra le peggiori specie invasive del Mar Mediterraneo, con un notevole impatto sull’ecosistema circostante e sul settore della pesca. Il Lagocephalus sceleratus è considerato un serio rischio per i consumatori, contiene una forte tossina chiamato tetrodotossina (TTX) , che può essere letale per gli esseri umani. L’effetto di questa tossina, permane anche dopo la cottura dell’alimento e un avvelenamento da tetrodossina è altamente rischioso: può comportare conseguenze particolarmente gravi per la salute, fino alla morte, che può avvenire dopo poche ore dall’ingestione”.
l_r2bzu8ip.sceleratus2DA DOVE ARRIVA E DOVE E’ STATO AVVISTATO
E’ una specie aliena nel nostro Mar Mediterraneo: proviene dall’Oceano Indo-Pacifico e pare sia giunto fino alle nostre coste attraverso il canale di Suez Secondo questo gruppo di ricerca, la presenza di Lagocephalus sceleratus è da considerarsi certa nelle acque della Grecia (Dodecaneso, Creta e Cicladi),Cipro, Israele. Anche in Italia ci sono state alcune segnalazioni nel porto di Palinuro (Salerno), a Monopoli e a Capo Peloro (Messina).

10270517_10152449391177722_4832660919319960192_nLE CARATTERISTICHE DEL LAGOCEPHALUS SCELERATUS
Il prezioso lavoro dell’Oceanus Research Group ha fornito una descrizione dettagliata di questo animale: “Ha corpo oblungo, fusiforme, ricoperto di pelle liscia senza placche o scudetti, ma dotato di spine corte e disposte in serie longitudinali nella regione ventrale, che è rigonfiabile e pieghettata in attitudine di riposo. La linea laterale è marcata e suddivisa in rami che circondano l’orbita e rami trasversali, che si congiungono con la linea laterale o che si diradano verso la zona ventrale. La testa, robusta, ha occhi circolari di grandezza media e aperture nasali minuscole. La bocca è piccola e i denti sono riuniti in due placche dentarie superiori e due inferiori. Può ingerire acqua o aria. Ha una sola pinna dorsale molto spostata indietro e con 13-16 raggi. L’anale è simmetrica alla dorsale ed ha 11-13 raggi. La caudale (15 raggi) ha il margine posteriore incavato e il lobo inferiore più lungo di quello posteriore. Le pettorali sono alquanto robuste ed hanno 14-16 raggi. Le ventrali sono assenti. Il colore del corpo è ardesia o grigio azzurrastro sul dorso, bianco latteo nel ventre. Gli esemplari giovanili hanno macchiette nere sparse nella zona spinosa. E’ una specie pelagica che allo stadio giovanile staziona vicino agli estuari dei fiumi e da adulta preferisce acque tropicali o calde, a profondità tra i 10 e i 100 m, ma può scendere anche oltre i 450m. Perlopiù si sposta grazie alle correnti. Se minacciata, si gonfia ingerendo aria o acqua, che trattiene contraendo gli sfinteri del piloro e dell’esofago e in modo da gonfiare lo stomaco, fino ad assumere una conformazione a a palla. Si nutre sia di detriti che di organismi animali (crostacei e molluschi). Raggiunge i 60 cm di lunghezza totale”.

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Non mi serve l’elica di prua! Sfrutto al meglio quella che ho…

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elicaIn spazi ristretti, lo sapete che potete far ruotare la barca su se stessa senza l’ausilio dell’elica di prua, sfruttando la rotazione dell’elica? E’ importante ricordare che il senso di rotazione varia in funzione dell’elica: quelle destrorse sposteranno la poppa a sinistra in marcia indietro e viceversa.

ECCO COME FARE, PASSO PER PASSO

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1. Con un elica destrorsa, la più comune, iniziate la manovra a barca ferma e cercando ove possibile anche di farvi aiutare dal vento. Per ruotare in senso orario date un colpo secco in avanti con il timone tutto a destra.

 

2. Vedrete che la poppa comincia a ruotare a causa del flusso dell’elica che sposta di fatto la barca. Il timone scontrato accentuerà questo effetto. Mettete in folle prima che lo scafo inizi a muoversi in avanti.

2. Vedrete che la poppa comincia a ruotare a causa del flusso dell’elica che sposta di fatto la barca. Il timone scontrato accentuerà questo effetto. Mettete in folle prima che lo scafo inizi a muoversi in avanti.

 

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3. Con il timone a sinistra inserite in maniera decisa la retromarcia: questo sposterà ulteriormente la poppa verso sinistra mantenendola sul proprio asse di rotazione. Inserite la folle per evitare l’avanzamento.

 

4. Inserite nuovamente la marcia avanti e ripetete l’operazione. Scarroccerete un po’ lateralmente, senza utilizzare acqua davanti o dietro di voi. Un metodo ideale per districarsi tra due banchine parallele.

4. Inserite nuovamente la marcia avanti e ripetete l’operazione. Scarroccerete un po’ lateralmente, senza utilizzare acqua davanti o dietro di voi. Un metodo ideale per districarsi tra due banchine parallele.

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Equinoxe Yachts – Per la vela da trent’anni

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mouillage_45R1231Nel 1986 i fondatori di Equinoxe Yachts, Corrado di Majo e Alessandro Ussi, trasformano la loro passione per la vela in professione. Una scelta lungimirante perché 30 anni dopo Equinoxe è tra i leader del mercato nautico internazionale. L’idea di coniugare il mondo della nautica, all’epoca nicchia esclusiva, con quello del turismo tradizionale e rendere le vacanze in barca accessibili a molti, anche non esperti marinai, fu all’origine dell’attività di charter. “Trasformare la passione per la vela in attività professionale fu un passo quasi necessario quando incontrai Alessandro Ussi, atleta di vertice della nazionale italiana di atletica e insieme fondammo l’azienda” racconta Corrado di Majo. Da allora Equinoxe offre a completamento della crociera tutti i possibili servizi collegati: biglietteria aerea, assicurazioni viaggio, accoglienza alberghiera e servizi a terra.

salonCiò che oggi appare normale ma alla fine degli anni Ottanta era unico. In questi 30 anni, Equinoxe ha esplorato ogni angolo del mondo e si è affermata come punto di riferimento italiano nel mercato internazionale del brokerage nautico per la capacità di consulenza, di conoscenza del mercato, di rapporti professionali con i migliori progettisti
e cantieri. “Dopo 30 anni di navigazione – conclude di Majo – cercheremo ancora di condividere con molti la nostra grande passione, il mare. Anche per questo sono lieto di annunciare che il nuovissimo Lagoon 620 Kaskazi Four è entrato a far parte della nostra flotta ed è pronto per iniziare la stagione di charter”. Equinoxe Yachts, tel. 011.8185211, www.equinoxe.it

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Bernard Moitessier, il marinaio che realizzò i nostri sogni

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ladavas002 mod 2La scelta del pubblico americano di indicare Ernest Shackleton come il più grande marinaio di tutti i tempi non vi ha trovati d’accordo. Ci avete scritto in tanti, indicando i nomi più diversi. Ma ce n’è uno che ricorre più spesso, quello di uno dei miti per generazioni di appassionati, quello dell’uomo che fece il grande gesto, rifiutando la gloria della vittoria del primo giro in solitario intorno al mondo per inseguire il suo sogno.
In due parole, Bernard Moitessier. Ripercorriamo qui la sua vita, con un bell’articolo scritto da Fabio Pozzo e che fa parte della nostra raccolta Avventure e miti nei mari del mondo, dove trovate anche le storie di tanti altri grandi marinai di ogni epoca.

1968 conferenza stampa golden globeBernard Moitessier è un’Icona, ma non ancora Santo. Dunque, si può affrontare subito, in queste prime righe, la vexata quaestio: al Golden Globe, lanciando, nel 1969, con la sua inseparabile fionda sul ponte della piccola petroliera British Argosy – nella baia di Capetown – il messaggio «Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perché sono felice in mare, e forse anche per salvare la mia anima», è stato un vincitore o un perdente?
Per alcuni, lui che era alla testa del primo giro del mondo in solitario non stop della storia, si è arreso: non è riuscito a portare avanti la gara, fino in fondo, come ha fatto Robin Knox-Johnston. Per altri, invece, la sua decisione di voltare le spalle a tutto e a tutti è stata un’estrema scelta di libertà: nel suo convincimento, «sarebbe una stronzata tornare in Europa…», vi leggono una vittoria. Io, in verità, non so. Così, ho provato a capire.
Ho risfogliato le pagine del suo primo libro, «Un vagabondo dei mari del Sud»; del secondo, «Capo Horn alla vela»; ho sottolineato i passi più pregnanti de «La lunga rotta» e del suo ultimo «Tamata e l’alleanza» (e il postumo «Vela, mari lontani, isole e lagune»). Finché, mi sono imbattuto nel testo (“Moitessier, la lunga scia di un uomo libero”, Nutrimenti, 2006) di un giornalista francese, Jean-Michel Barrault, che dell’Icona è stato amico. E ho cominciato a navigare con nuove coordinate. Barrault dice che per comprendere davvero la decisione di Moitessier occorre risalire alla sua infanzia. E scorrere la sua vita. Facciamolo.

L’INFANZIA IN ESTREMO ORIENTE
Bernard nasce nel 1925 in Vietnam, all’epoca Indocina. Vive a Hanoi, poi a Saigon. Il padre è un diplomato dell’Haute Ecole de Commerce, imprenditore di successo nell’import export; la madre, colta e con un temperamento d’artista. Ci sono altri due figli più piccoli, Françou e Jacky. I tre bambini sono scatenati, appassionati di nuoto, meno della scuola e con uno spiccato spirito di avventura, che s’alimenta durante le vacanze di famiglia in un piccolo villaggio nel Golfo del Siam. Qui, Bernard trova i primi amici e il suo primo pigmalione, un pescatore che gli insegna a navigare senza l’ausilio di bussole e altri strumenti, perché «con le stelle o la direzione del vento e delle onde vedi sempre dove vai, e le tue orecchie restano aperte ad ascoltare ciò che ti dice il mare».
Schermata 2016-05-24 alle 10.48.30ShaIn questo villaggio Bernard tornerà quando sarà più grande e avrà già voltato le spalle all’azienda paterna. Compra e arma una giunca (Snark) con un socio, stringe amicizia con un avventuriero francese che diventa sua guida spirituale. E comincia a vivere come sente di volere. Ma non c’è il lieto fine: la Francia perde la guerra, l’Indocina è invasa dai giapponesi; viene Hiroshima, il Viet Minh comunista. Bernard abbandona la giunca alle sue falle e si arruola nel Gruppo volontario della liberazione, come marinaio-interprete. Ma una tragedia spazza via i suoi sogni: i fratelli, a capo di una compagnia di tiratori cambogiani, uccidono uno dei loro amici d’infanzia; Françou si suicida e Jacky fugge in Guiana, tormentato dal rimorso. Quando Bernard, poco più avanti, decide di lasciare l’Indocina, è scampato alla morte più volte, ha abbandonato il primo amore, ha visto il padre spezzarsi, gli amici cadere. Fugge dai suoi incubi con una nuova barca, che gli fa scoprire, o riscoprire il mare. E la sua rotta. Ma non va lontano: la giunca che ha chiamato come la prima fidanzata, Marie-Thérése, salpa da Singapore e s’arena per un errore di carteggio sulle isole Chagos, in mezzo all’Indiano. Bernard non si perde d’animo, sale su una corvetta inglese, approda alle Mauritius. E da qui, dopo aver fatto mille lavori, riparte.

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Fallirà ancora: la nuova barca, il Marie-Thérése II, con la quale fa tappa a Capetown e risale l’Atlantico sino alle Antille, va a fracassarsi – un colpo di sonno, mentre cerca di raggiungere le Trinidad e un nuovo amore – sulla barriera corallina dell’atollo Diego Garcia. Per l’Icona, è un brutto colpo. Che gli risveglia il dolore delle ferite dell’Indocina: cade in depressione, s’imbarca su un cargo e torna in Francia. In Patria Bernard si trasforma in uno pseudo-travet. Fa il rappresentante di medicinali, poi il piazzista di lattine di encausto, si sposa con Françoise, che gli porta in dote tre figli. E incontra Barrault, che lo spinge a scrivere. Nel 1960 esce «Un vagabondo dei mari del Sud»: ha successo e l’autore ricomincia a sognare una nuova barca. Arriverà: è un ketch in acciaio di 12 metri, due pali del telefono come alberi e un nome, Joshua, che è quello di Slocum. Si mette a fare scuola di vela, per tirare su soldi, cercando di far sentire ai suoi allievi il mare senza strumenti (i suoi consigli: due libri, “Corso di navigazione di Glenans” e “Mettre les voiles” di Antoine; per la pratica, cominciare dall’Optimist, la «strada regale per arrivare alla barca da crociera»).

UNA COPPIA “A ZONZO” PER GLI OCEANI
Il viaggio di nozze è il giro del mondo. Con una promessa a Françoise: tornare, per non restare troppo a lungo lontano dai bambini. Per l’Icona, è un laccio: all’anima, e alla sua barca, che gli sussurra «dammi il vento e ti darà le miglia». Vale anche un’impresa, la promessa: per fare prima, i due passano l’Horn e coprono lungo la rotta logica la traversata Tahiti-Alicante. Sono 14mila miglia, senza scalo. Bernard torna a casa, si rituffa nella vita di tutti i giorni. Ma è un uomo diverso. O meglio, è un uomo che ha scoperto che cosa ha nel cuore. «Sento una voglia terribile di ritornare a vivere sull’acqua» scrive. L’editore Jacques Arthaud gli commissiona “Capo Horn alla vela”, con una scadenza ravvicinata. Bernard ha bisogno di soldi e rincorre le pagine dei suoi ricordi. Gli ultimi tre capitoli, confezionati in fretta, sono una resa. «Nelle vetrine delle librerie, quel libro era come un dito puntato sulla mia anima, che diceva: “Traditore”».

E‘ venuto meno all’«alleanza» con sé stesso e con l’universo, e se ne vergogna. Cade in depressione, pensa al suicidio.

C’è una sola medicina. Tornare in mare, nel Pacifico. «Acqua, acqua, acqua», come gli ha predetto una fattucchiera. Capisce che cosa deve fare: il giro del mondo senza scalo, in solitario, passando per i tre Capi. E scrivere un altro libro, sugli oceani (fissando con l’editore una rendita per Françoise e la sostituzione di quei tre capitoli maledetti del precedente). Così, Bernard rinasce.

LA FOLLA IMPRESA E LA NASCITA DEL MITO
E’ il 1968. Il Sunday Times lancia il Golden Globe e vuole Moitessier. L’Icona non ci sta. «Lo spirito di competizione rischierebbe di far perdere di vista l’essenziale: la corsa ai limiti di sé stessi, la ricerca di una verità profonda, con il Mare, il Vento, la Barca, l’Infinitamente Grande e l’Infinitamente Piccolo come testimoni». Ma c’è bisogno di soldi, le 5.000 sterline in palio servirebbero a ripianare i debiti. Bernard capitola. Ma con un proposito: vinco, ritiro i soldi senza ringraziare, svendo il Globe all’asta. Siamo arrivati, così, alla lunga rotta. In mare l’Icona ritrova la sua anima, mette a tacere i suoi tormenti (il Dragone), incontra la pace. «Non torneranno mai a Plymouth», gli legge nel cuore Françoise alla partenza di Plymouth.
«Avevo un tale bisogno di ritrovare il soffio al largo, al mondo non c’eravamo che Joshua e io, il resto non esisteva, non era mai esistito» scriverà Bernard. «Acqua, acqua, acqua»: lungo i paralleli e i meridiani l’Icona sarà felice. «Voglio dimenticare completamente la Terra, le sue crudeli città, le sue folle senza sguardo e la sua sete di un ritmo d’esistenza privo di senso». Il 20 marzo 1969, nella baia di Città del Capo, la svolta. «Piuttosto che tornare in Inghilterra, preferisco continuare, senza scalo, verso le Isole del Pacifico».

moitessier

Non entra nella storia, quella della competizione; ma apre le porte del suo universo, quello che si è scelto. Un altro mezzo giro del mondo, senza scalo, Tahiti, la Polinesia. «Non si trattava di arrivare alla fine di un viaggio, ma di giungere alla fine di me stesso. In mare ero felice, perché avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale, profonda, troppo preziosa per dover rischiare di perderla fermandomi prima del tempo giusto». Da qui in poi, Bernard vive. Isole e atolli magici, nuovi amori, un figlio, pellegrinaggi dell’anima, Joshua che riprende il mare, la nuova barca Tamata. I libri e le utopie, come quella di lasciare i diritti de «La Lunga Rotta» al Papa, «fiammella di spiritualità che ancora resta nei popoli dell’Occidente», ma anche per non rinnegare quanto fatto: «Accettarli, sarebbe equivalso a cancellare implicitamente tutta la scia da Plymouth in poi» (il Vaticano alla fine li ignorerà, e Bernard ritirerà il proposito).

BERNARD L’IDEALISTA
La battaglia ecologista, anti-nucleare; i soldi per i sindaci francesi che pianteranno un albero da frutta. Anche l’America, col definitivo naufragio della barca-mito (che sarà poi acquistata dal Museo navale di La Rochelle) con a bordo l’attore Klaus Kinski, che portava male. Infine, la lotta contro la bestia. Se Bernard era riuscito a sconfiggere il Dragone, non ce la fa contro il cancro. Rifiuta di farsi operare, accetta la sconfitta. Muore a Parigi, quattro anni dopo aver visto il fratello Jacky piegarsi allo stesso male. E’ il 1994, Bernard ha 69 anni. I tre fratelli ritornano insieme sulle piroghe dei pescatori del Golfo di Siam, dove sono stati felici.

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Sunbeam Juice: due studenti e la loro idea di barca del futuro. Vi piace?

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sunbeam juiceDue studenti austriaci di design hanno pubblicato online un video che racconta il loro modo di immaginare la barca a vela del futuro, il Sunbeam Juice. Certo, stiamo parlando di un puro concept e certe scelte appaioni decisamente estreme. Ma voi cosa ne pensate?

Due giovani studenti austriaci,Christoph Andrejcic et Jakob Tiefenbacher, hanno immaginato un concept che incarna la loro idea della barca del futuro. Una barca colorata, chiamata Sunbeam Juice, con linee semplici ma scelte decisamente insolite (niente oblò laterali, a scafo, ma parabordi integrati nelle fiancate, tanto per fare un esempio…) nel mondo della vela, ma tutte incentrate “sull’attrarre i giovani verso il mondo del diporto”, come raccontano i due designer.

A voi piace?

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Cinque domande al vostro albero – Seconda puntata

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alberoContinua il nostro viaggio alla scoperta dell’albero (qui la prima parte), per capire davvero come funziona e riuscire a regolarlo al meglio!

A cosa servono le crocette?
Il loro compito è duplice: trasferiscono alle sartie una parte degli sforzi dell’albero e servono per allontanarle dall’albero in modo da aumentare o diminuire l’angolo di incidenza dei cavi sull’albero. Il numero e la larghezza dipende molto dal piano velico. Per capire meglio come vengono pensati gli armi bisogna valutare sempre che, a parità di albero e barca, se ci sono poche crocette esse saranno più lunghe e probabilmente le lande saranno in falchetta; una situazione che di norma porta a un albero meno regolabile e un piano velico con una bassa sovrapposizione o con un genoa meno chiuso sul canale. Se invece ci sono più crocette, esse saranno corte con un angolo di sartie più piccolo. Le lande saranno in coperta, la sovrapposizione del genoa maggiore e soprattutto la vela sarà più chiusa.

Quindi cosa comporta avere più o meno crocette?
Il numero di crocette dipende dalla lunghezza dell’albero, dalla larghezza dello scafo e da una lunghezza massima delle stesse crocette. Una barca da regata tenderà ad avere più ordini di crocette corte, per privilegiare la regolazione del fiocco e la chiusura del canale. Una puramente da crociera, invece, deve privilegiare un armo più semplice e versatile, quindi con meno crocette ma di lunghezza maggiore. In questo modo si potrà trovare l’attacco delle sartie in falchetta con un maggior vantaggio per l’utilizzo degli spazi a bordo.

Cosa sono le crocette aquartierate?
Un albero per rimanere in piedi deve avere quattro vincoli: due sartie, strallo e paterazzo. Per evitare che quest’ultimo sia strutturale e fare in modo che svolga solamente la funzione da regolatore di flessione, le crocette vengono inclinate verso poppa, quindi le sartie in coperta sono fissate a poppavia dell’albero. In questo modo riescono a garantire oltre la resistenza laterale anche quella longitudinale agli sforzi dell’albero. Su alcune barche l’angolo di quartiere delle crocette è tale per cui non viene previsto il paterazzo. Lo svantaggio di queste soluzioni però è la difficoltà ad aprire completamente la randa in andature portanti.

Cosa sono le diagonali?
Le crocette, come detto, servono per allontanare le sartie dall’albero e caricare in compressione lo stesso. Per limitare tale carico, dalla base delle crocette, in prossimità dell’albero, partono ulteriori cavi, detti appunto diagonali, che corrono fino all’attacco con la sartia. Il loro compito è quello di diminuire la compressione sull’albero scaricando le forze in coperta.

Il paterazzo e lo strallo di prua influiscono sull’albero?
Certamente, e ogni loro regolazione influisce una sull’altra e sulla forma della vela. Il paterazzo, come lo strallo di prua, è di norma un cavo d’acciaio. Parte dalla testa dell’albero fino a poppa della barca. Lo strallo di prua invece può partire da più punti dell’albero e correre fino a prua. Il paterazzo è più facile da regolare ed esistono diversi modi che consentono di modificarne la tensione. Entrambi quindi influiscono sulla tensione dell’albero e di conseguenza sulla forma delle vele. Un esempio pratico con tanto vento: si cazza il paterazzo in modo da spostare la testa dell’albero verso poppa e flettere la parte centrale verso prua. Questa regolazione permette di appiattire (smagrire) la randa. Se allo stesso tempo si aumenta la tensione dello strallo di prua, si ottiene uno spostamento indietro della testa dell’albero che permette di eliminare l’effetto di catenaria e quindi appiattire la vela di prua nel suo ingresso.

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Italy Charter – Una scelta senza pari

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panarea cala junco 01Nel Mar dei Caraibi, oltre che in tutto il Mediterraneo (dalla Spagna alla Grecia, dalla Francia alla Turchia, da Malta alla Croazia) ed anche in italia (isole Eolie, Sardegna, Toscana, Pontine e Costiera Amalfitana), Italy Charter offre imbarchi da sogno.

ponza chiaia di lunaCome scoprirli? Basta andare sul sito web italiano dell’operatore e, in pochi click, costruire l’itinerario preferito, confrontando i prezzi in tempo reale e le condizioni di noleggio tra tutte le barche e i catamarani disponibili, che sono oltre 7.000, accuratamente scelti tra i migliori charter e prodotte dai cantieri più importanti. Sempre alla ricerca di nuovi itinerari da proporre Italy Charter ha sviluppato sul sito una guida per velisti con tutte foto dall’alto. Molte realizzate col drone in crociera, come potrà fare chi prenota una vacanza tra la costa est e quella sud della Sardegna. Italy Charter, tel. 348.3337796, www.italycharter.it

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