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Sette cose che dovete sapere sulle microplastiche (e sui loro effetti)

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Si parla tantissimo del problema plastica e delle microplastiche
: qualche giorno fa, mentre discutevamo sulle prossime tappe del progetto Medplastic (l’iniziativa che abbiamo lanciato per la salvaguardia del Mediterraneo, ci siamo resi conto che la domanda “che cosa c’è da sapere davvero sulle microplastiche?” non ce la eravamo ancora posta. Così lo abbiamo chiesto a Camilla Carla Parenti, che fa parte del team di Ecotossicologia al dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano e ci ha inviato questa chiara (e finalmente esaustiva) lista delle sette cose che non si sanno sulle microplastiche e i loro effetti.

1. SONO PRIMARIE E SECONDARIE
L’origine delle microplastiche (dimensione sotto ai 5 mm) può essere primaria o secondaria. L’origine primaria deriva da prodotti che contengono direttamente microsfere di plastica, come creme esfolianti (scrub), dentifrici, smalti e altri cosmetici, ma anche dal lavaggio di vestiti che contengono fibre sintetiche (es. pile). Questi prodotti costituiscono la maggior parte delle microplastiche rilasciate in ambiente, attraverso le acque di scarico. Si stima ad esempio che ogni ciclo di lavaggio di capi d’abbigliamento sintetici rilascia in acqua circa 700.000 microfibre. L’origine secondaria, non per questo meno importante, si riferisce alle microplastiche derivanti da frammentazione di rifiuti o altri prodotti in plastica di maggiori dimensioni.

2. SONO IMMORTALI
Anche se fossimo in grado di bloccare completamente le immissioni in ambiente di microplastiche, esse non cesserebbero di esistere, anzi continuerebbero ad aumentare per via della frammentazione della plastica già diffusa in ambiente, soprattutto quella costituita da materiale non biodegradabile, come PET (es. bottiglie o pellicole) e PVC (es. giocattoli o food-packaging).

3. E’ ANCHE COLPA DELLE GOMME DELLA VOSTRA AUTO!
La maggior parte delle ricerche scientifiche si concentrano sulla diffusione delle microplastiche negli oceani, ma vengono altrettanto rilasciate nei sistemi di acqua dolce e terrestri (ad esempio le microfibre derivate dall’abrasione dei pneumatici sulla strada).

4. LE TROVATE ANCHE A 2 KM DI PROFONDITA’!
I frammenti di plastica, a seconda della loro origine, hanno una densità maggiore, minore o uguale a quella dell’acqua, quindi le microplastiche si distribuiscono non solo sulla superficie, ma anche lungo la colonna d’acqua, a diverse profondità (oltre i 2000 metri) e sul fondale.

5. POCO SI SA SULL’INGESTIONE MA QUEL POCO E’ PREOCCUPANTE
Mentre gli effetti dell’ingestione di plastica di grande e media dimensione da parte degli organismi acquatici sono abbondantemente conosciuti, poco si sa sugli effetti dell’ingestione di microplastiche, anche se è ampiamente dimostrato il loro accumulo all’interno del tratto gastrointestinale.

6. SONO PORTATRICI DI SOSTANZE INQUINANTI
Bisogna sempre tener presente che, oltre agli impatti fisici diretti delle stesse microplastiche, i frammenti ingeriti possono agire da mezzo di trasporto per concentrare e trasferire sostanze agli organismi. In particolare, le microplastiche potrebbero trasportare: a) sostanze chimiche presenti in ambiente (es. oli per motori o pesticidi) che aderiscono alla loro superficie, o b) sostanze chimiche che vengono aggiunte alla loro composizione (es. plasticizzanti) durante il processo di produzione della plastica.

7. SFUGGONO AI FILTRI DEI DEPURATORI
Le microplastiche, e le sostanze da loro trasportate, si spostano per lunghissime distanze, arrivando a contaminare anche ambienti remoti (es. regioni polari). Inoltre, siccome i nostri depuratori e impianti di potabilizzazione non possiedono sistemi in grado di filtrarle, possono arrivare anche all’acqua che beviamo e al cibo che mangiamo.

(lista di Camilla Carla Parenti)

 

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TEMPO DI AGIRE
Time to Take Action (tempo di agire) è lo slogan di Medplastic, il progetto del GdV e di Barche a Motore per la salvaguardia del Mediterraneo. Iscrivetevi al gruppo Facebook MedPlastic Team, lì potete postare notizie, progetti, fotodenunce, video. Partecipate poi al contest Instagram NO Plastic (mandando una foto alla nostra inbox instagram – @giornaledellavela – o sul gruppo Medplastic Team, come hanno fatto tutti gli autori delle foto che vi mostriamo qui): premieremo le migliori testimonianze al VELAFestival 2019. In più, se avete progetti strutturati da proporre che pensate possano essere utili alla “causa”, mandate una mail a savethemed@gmail.com. www.medplastic.org

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Febbre dell’oro in Argentina, Sofia Tomasoni è la prima campionessa olimpica di kiteboard

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L’Italia può sorridere perché alle Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires, in Argentina, i nostri ragazzi sono stati super. Dopo l’oro di Giorgia Speciale e l’argento di Nicolò Renna nelle tavole, una strepitosa Sofia Tomasoni conquista l’oro nel kiteboard dopo un finale incerto fino all’ultimo metro. Alla prima apparizione del kiteboard TT:R (Twin Tip Racing)  alle Olimpiadi (per ora solo quelle giovanili) l’Italia sale subito sul tetto del mondo con una straordinaria Sofia Tomasoni, reduce da una stagione ricca di soddisfazioni.

Dopo un’ottima settimana condotta nelle zone alte della classifica Sofia si è presentata alla vigilia di questa giornata in seconda posizione. La chiave della vittoria è stata la concentrazione ed il sangue freddo della giovane promessa del kite che ha vinto in condizioni molto difficili, riuscendo a sfruttare al meglio gli errori delle avversarie per agganciare l’oro. In un anno ha trionfato al mondiale giovanile in Argentina, all’europeo giovanile Dakhla in Marocco, al mondiale kitesurf di Gizzeria in Calabria ed anche ai campionati giovanili in singolo di Viareggio, oltre all’argento ai mondiali giovanili di TT:R di Boao in Cina. In una classe nuova come il kiteboard che farà la prima apparizione alle Olimpiadi solo nel 2024, possiamo già vantare una campionessa con la passione per l’oro, un po’ come l’altra campionessa olimpica giovanile, Giorgia Speciale.

 

 

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Scompare in mare senza lasciare traccia a Capri. Cosa è accaduto al velista israeliano Doron Nahshony?

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doron nahshony
Si chiama Doron Nahshony, il velista israeliano di 62 anni scomparso la sera del 10 ottobre nelle acque di Capri dopo essersi allontanato alle 19.45 dalla Marina Piccola
, per un’uscita in mare su un piccolo gommone. Un tender grigio con motore fuoribordo da quattro cavalli. Le ricerche proseguono da cinque giorni ma Nahshony sembra essere svanito nel nulla.

Ingegnere e appassionato velista, stava godendosi una crociera con una flottiglia composta da quattro barche a vela (noleggiata da Sail Italia) nel Golfo di Napoli, con partenza da Procida. Anche del gommone non c’è traccia: la Capitaneria di Porto sta perlustrando senza esito grotte, calette, insenature e anfratti. Anche con gli elicotteri, niente di niente.

Una foto di Nahshony in barca (fonte facebook)

LE IPOTESI
Cosa può essere successo? Per adesso le ipotesi sembrano essere due. La prima, più accreditata, è quella di una collisione con uno yacht di grandi dimensioni o un motoscafo lanciato a tutta velocità. E’ plausibile, visto il traffico nelle acque delle isole Flegree, intenso anche in ottobre per il clima mite (quella sera c’era caldo e il mare era piatto, la visibilità però non era perfetta). In questo caso si potrebbe spiegare la sparizione dello skipper e del tender, travolti e affondati.

L’avviso di ricerca di Doron Nahshony

Più debole pare l’ipotesi del rapimento (Doron Nahshony è I&C Engineer del Galil Engineering Group, grossa società multidisciplinare di Ramat). Da escludere, probabilmente, la possibilità di un malore perché visto il traffico nelle acque e le ricerche capillari il tender sarebbe dovuto venire fuori.

C’è anche chi sostiene che Nahshony abbia voluto far perdere le sue tracce, visto che non aveva con sé lo smartphone e che secondo alcuni colleghi pare avesse “qualche problema di salute”. In effetti, uscire da soli in tender la sera senza reali motivazioni è strano. Ma anche in questo caso, con un quattro cavalli e un tender non puoi allontanarti più di tanto. Cosa è successo a Doron Nahshony?

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Hylas 48: anche a Taiwan sanno costruire i blue water!

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Il suo debutto ai saloni nautici americani di Newport e Annapolis è stato un successo: l’Hylas 48 è la dimostrazione di come sia possibile realizzare un blue water marino e sicuro senza rinunciare all’eleganza.
La barca è realizzata a Taiwan e sfata il mito delle “cinesate”. Il progetto di questo semi-custom è di Bill Dixon che ha lavorato sodo per garantire ai futuri armatori sicurezza (grazie anche al pozzetto centrale in cui vengono rinviate tutte le manovre), comfort negli interni e semplicità di conduzione.

GUARDA LE FOTO


























 

La disposizione degli interni è disponibile in due differenti configurazioni (due e tre cabine), ma è possibile lavorare con il cantiere per un’ulteriore customizzazione degli spazi. Di questo Halas 48 ve ne parleremo più nel dettaglio nei prossimi numeri del Giornale della Vela, intanto, fateci sapere cosa ne pensate!

IL VIDEO DELL’HYLAS 48 IN NAVIGAZIONE

I NUMERI DELL’HYLAS 48
LOA: 48’0”-14.63 m
Length of Waterline: 42’0”- 12.80 m
Beam: 14’6” – 4.42 m
Shoal Draft: 4’11” – 1.5 m
Standard Draft: 6’6” – 1.98 m
Displacement: 35,360 lb. – 16,039 kg
Water Tankage: 119 US gal. – 451 liters
Fuel Tankage: 290 US gal. – 1,100 liters
Engine: Yanmar, 75-hp diesel – saildrive gearbox
Designer: Bill Dixon
CE Certification: Category A – Ocean

CONTATTI PER L’EUROPA
www.grabauinternational.com
michele@grabauinternational.com

Il sito del cantiere: www.hylasyachts.com

IL CANTIERE
Gli Hylas Yachts sono costruiti da Queen Long Marine, Taiwan, il brand è stato fondato nel 1985. Il cantiere Queen Long è stato costruito ancora prima, nel 1978, dalla famiglia Huang. Con oltre 520 imbarcazioni lanciate finora, che vanno dai 44 ai 70 piedi, Hylas offre yacht di lusso affidabili e a conduzione semplice. Il team di progettazione presenta nomi di livello mondiale del design internazionale come Sparkman & Stephens, Germán Frers, Bill Dixon, Dean Salthouse e Doug Zurn.

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Gli inglesi contro Ben Ainslie: “Il tuo sponsor distrugge la nostra terra”

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Sir Ben Ainslie vuole vincere la Coppa America. Dopo 167 anni, che la vecchia Brocca tornasse in Inghilterra lo vorrebbero in molti suoi conterranei. Per farlo, servono soldi e, dicevano i latini, “pecunia non olet”. Il denaro non puzza. Ma ne siamo proprio sicuri? Quello che il baronetto ha preso dal suo sponsor principale INEOS (per la cronaca, 110 milioni di sterline), odora di gas. Di gas di argille, precisamente, quello di cui l’azienda si autodefinisce “più grande produttore in Gran Bretagna”.

Ben Ainslie, a sinistra, sorridente con Jim Ratcliffe, CEO di INEOS, dopo la firma del contratto di sponsorship da 110 milioni di sterline

La partnership ha causato furibonde proteste nel Regno Unito, con tanto di lettera aperta a World Sailing (la federvela mondiale) da parte di un nutrito pool di organizzazioni no-profit e accademiche, inglesi e internazionali. Lettera in cui si chiede di non accettare che uno sport in teoria puro ed ecosostenibile come la vela scenda a compromessi con realtà dannose per l’ambiente, e quindi di escludere la sfida inglese dalla Coppa se continuasse la partnership con INEOS.

Ben Ainslie posa per una bibita ecosostenibile nel 2014 (credit onedition)

La reputazione di Sir Ben, il velista olimpico più titolato della storia, inizia a vacillare. Anche perché nella sua precedente campagna di Coppa, con Land Rover, aveva puntato molto sul tema della sostenibilità ambientale e aveva siglato accordi con tante aziende operanti nel “green”, guadagnandosi la fama di eco-atleta.

I RISCHI AMBIENTALI
Non è il gas in sé il problema, ma il modo in cui viene estratto, ovvero la cosiddetta “fratturazione idraulica”, che comporta l’iniezione sottoterra di grandi quantitativi di sabbia e acqua (diluita con componenti chimici biocidi) per spaccare il suolo e far fuoriuscire il gas.

L’acqua viene recuperata solo al 50/70%, ciò significa che una consistente quantità di acqua addizionata rimane nel sottosuolo, diventando un potenziale inquinante. Poi, nelle prime fasi di estrazione si libera in atmosfera una piccola quantità di gas metano, uno dei principali responsabili dell’effetto serra.

C’è anche la questione dell’impatto estetico: vista la necessità di effettuare numerose perforazioni per produrre quantità economiche di gas da argille, il paesaggio per tutta la permanenza delle torri di perforazione (che può variare dalle settimane ad alcuni mesi), viene caratterizzato dalla presenza dei tipici impianti di perforazione con alte torri metalliche.

Infine, l’operazione di fratturazione idraulica effettuata durante la fase di completamento di un pozzo per gas di argille, prima di poterlo mettere in produzione, è stata indicata quale causa di incremento del rischio sismico anche in aree tradizionalmente non interessate.

MEGLIO UN AMBIENTE SANO CHE LA COPPA AMERICA!
INEOS ha la licenza per esplorare il sottosuolo inglese, in cerca di gas d’argille, per una superficie di oltre un milione di acri. Gli inglesi sono un popolo orgoglioso, ma pratico. Capite bene che se per vincere un trofeo, pur prestigioso, devono andare incontro a rischi di inquinamento e terremoti, la loro reazione sarà molto chiara: “al diavolo la Coppa, al diavolo Ben Ainslie!”.

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Ai soldi e al sogno americano, Raffaella e Richard hanno preferito una barca a vela. E non tornerebbero mai indietro!

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Nascere in un piccolo paese nella provincia di Varese, trasferirsi negli States alla ricerca del sogno americano per poi mollare tutto e salpare su una goletta d’acciaio di 15 metri alla scoperta del mondo
. Questa è la storia di Raffaella Saggin, che con il marito Richard Murphy e i due figli, Sebastian (11 anni) e Matthew (9) ha deciso di cambiare radicalmente vita. Quello che doveva essere un anno sabbatico nel segno della vela si è trasformato in un viaggio senza fine. Ecco come è stato possibile.

Raffaella e Richard alle Grenadine

LA SPLENDIDA STORIA DELLA FAMIGLIA DI SAILING SABBATICAL

“Ciao a tutti,

mi chiamo Raffaella: sono nata e cresciuta in un piccolo paese in provincia di Varese e da 16 mesi sono in viaggio in barca a vela nei Caraibi con mio marito Richard e i nostri due bambini, Sebastian di 11 anni e Matthew di quasi 9. Vi racconto cosa ci ha portato a fare una scelta che ai più può apparire alquanto “strana”.

Per diversi anni abbiamo approfittato di ogni giorno di vacanza per andare in barca a vela in posti incantevoli in Europa (Inghilterra, Francia, Italia, Spagna), Stati Uniti e Caraibi. Ogni vacanza, seppur favolosa, ci lasciava sempre con un po’ di amaro in bocca! I giorni in barca sembravano sempre pochi, avevamo voglia di continuare a navigare per scoprire il prossimo porto o la prossima baia e la vita in uno spazio così ridotto ci sembrava molto più semplice di quella a terra.

QUEL DESIDERIO SEMPRE PIU’ FORTE…
Per anni siamo andati avanti a parlare del desiderio di mollare tutto per vedere il mondo in barca a vela. Abbiamo aspettato pazientemente che i bambini crescessero un po’ e nella primavera del 2016 io e Richard ci siamo parlati e abbiamo ammesso di essere stanchi e quasi demotivati della vita che conducevamo. La bella casa americana con grande giardino era più un peso che una gioia e i ritmi frenetici del lavoro e le attività dei bambini non ci consentivano di passare abbastanza tempo insieme.

Nel giugno del 2016 abbiamo deciso di staccare la spina e di prenderci un anno di congedo dal lavoro per viaggiare in barca a vela dal nord America ai Caraibi. Una volta presa questa decisione radicale, abbiamo passato un anno a organizzare il nostro viaggio. C’erano tanti dettagli di cui occuparsi e tanti dubbi da risolvere ma la nostra esperienza lavorativa ci ha aiutato a organizzare tutto quanto e a dividere bene i compiti. Le decisioni più impegnative sono state la scelta della barca e l’educazione dei bambini, ma l’attività in assoluto più stressante è stata la vendita della casa.

LA SCELTA DELLA BARCA
Prima di tutto avevamo bisogno di una barca a vela costruita e attrezzata per la navigazione offshore o in mare aperto. La mia unica richiesta era che la nostra nuova casa avesse tre cabine in modo che i nostri bambini avessero la propria camera e il proprio spazio. Mio marito dopo aver letto vari articoli e libri si era impuntato di voler comprare una barca in acciaio per la sua stabilità e sicurezza, soprattutto per la navigazione in luoghi con molte barriere coralline.

La nostra scelta dipendeva però ovviamente anche dal nostro budget, un budget sufficientemente ridotto da giustificare una “nuova” casa per solo 12 mesi. Sono iniziate le ricerche e dopo un po’, nelle bellissime isole de la Madeleine in Quebec (Canada), abbiamo trovato la nostra nuova barca: Numada.

Numada è una goletta in acciaio di 15 metri di lunghezza, 4.5 metri di larghezza e 20 tonnellate di peso. È stata costruita in Quebec nel 1981 da un architetto nautico franco canadese. All’attivo già aveva parecchie traversate in mare aperto, dal Canada alla Francia e ai Caraibi. Numada aveva decisamente tutto l’occorrente! Era già attrezzata con pannelli solari e turbina eolica per produrre energia elettrica, serbatoi molto capienti per l’acqua e il gasolio e molti tipi di vele adatte a navigare sia con venti leggerissimi che molto forti. Il nome Numada poi ci è piaciuto da subito e abbiamo deciso di mantenerlo! Numada significa amico/amica nella lingua indigena garifuna dell’Honduras dove il vecchio proprietario aveva vissuto per 12 anni.

L’EDUCAZIONE DEI BAMBINI
Una volta comprata la barca ci siamo focalizzati sull’educazione dei nostri figli ovvero la scuola in barca. Devo dire che per novelli come noi scegliere i libri e il materiale scolastico giusto è stato intimidatorio. Si possono trovare tante opzioni più o meno costose in Internet, incluse scuole private a distanza che oltre ad avere prezzi elevati richiedono una buona connessione Wifi tutti i giorni. Io e mio marito alla fine abbiamo optato per dividerci le materie in base alle nostre capacità, predisposizioni e preferenze e abbiamo deciso di seguire vari programmi scolastici internazionali a seconda della materia: per esempio abbiamo scelto la Singapore Math per matematica e scienze.

COME LIBERARSI DI TUTTO O QUASI
Ci siamo posti un budget da raggiungere e abbiamo iniziato a sbarazzarci di tutto “il di più”: casa, arredamento, auto, abbigliamento, ecc. Abbiamo apprestato una vendita nel giardino della casa, proprio come si vede nei film americani, e collaborato tutti insieme alla migliore riuscita dell’operazione “pulizia vs budget”! Un processo devo dire veramente liberatorio e catartico che consiglio di provare.

In Canada

L’INIZIO DELL’AVVENTURA
Nel giugno del 2017 la nostra avventura è iniziata! Eravamo ovviamente molto stanchi, un po’ dubbiosi ma anche molto eccitati, e soprattutto assai desiderosi di iniziare a vedere il mondo. Abbiamo trascorso il mese di giugno nelle isole della Madeleine a bordo di Numada. Tutto il mese lo abbiamo dedicato a preparare la barca per il nostro viaggio e il 2 luglio del 2017 abbiamo lasciato il porto sicuro alla volta della “nuova vita” dando ufficialmente il via al nostro viaggio.

Da luglio a fine ottobre abbiamo navigato in Canada attraversando Quebec e Nuova Scozia, siamo arrivati negli Stati Uniti passando dal Maine le navigato ungo la costa atlantica fino alla Virginia. È stato davvero molto emozionante arrivare a New York e passare sotto il mitico ponte di Brooklyn a bordo di Numada. A inizio novembre 2017 abbiamo partecipato alla Carib 1500 (traversata di 1500 miglia, ovvero circa 2400 chilometri in mare aperto dalla Virginia alle Isole Vergini Inglesi organizzata dal gruppo Arc) e a metà novembre siamo finalmente arrivati nei Caraibi dove abbiamo iniziato a visitare tante isole da sogno! Strada facendo abbiamo incontrato persone meravigliose, condiviso favolosi paesaggi ma soprattutto passato momenti indimenticabili insieme ai nostri bambini.

L’occasione da “una volta nella vita” era da condividere e così ho aperto il blog Sailing Sabbatical, che è più di un diario di viaggio, è la condivisione di un’avventura davvero ricca interiormente e umanamente, ed è anche un modo per far sapere ai nostri cari che tutto va bene e che stiamo bene. Abbiamo anche un profilo Instagram #sailingsabbatical perché sono convinta che a volte le immagini dicano molto più delle parole.

LA SCELTA PIU’ RADICALE: MAI PIU’ A TERRA
E adesso dove siamo? Un anno è passato! Avremmo dovuto concludere l’anno sabbatico nel giugno del 2018 e invece??? Ebbene sì viviamo ancora su Numada e non in una bella casa con un grande giardino. Questo viaggio ci ha cambiato radicalmente! Con grande naturalezza abbiamo deciso di non ritornare alla vita di prima ma di reinventarci strada facendo. Numada adesso è ormeggiata all’ancora a Grenada, una bellissima isola “speziata” a sud dei Caraibi. Siamo arrivati qui a luglio, cercando rifugio durante la stagione degli uragani, e ci siamo talmente innamorati di quest’isola e della gentilezza e bontà dei suoi abitanti da decidere di fermarci per un po’. Quanto sia questo “un po’” ancora non lo sappiamo…

Prossima puntata della famiglia di Sailing Sabbatical….la scoperta delle isole della Madeleine.

Raffaella Saggin

www.sailingsabbatical.com

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Renzo Piano l’archistar-velista e i suoi due “Kirribilli”

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renzo piano
Al cinema è uscito un bel documentario sull’archistar genovese Renzo Piano
: “L’architetto della luce” di Carlos Saura, nelle sale fino al 17 ottobre.

Il docufilm si sofferma sul lato più conosciuto di Piano, celebrandone il processo creativo passando per arte e letteratura: ma forse non tutti sanno che l’architetto, classe 1973, è un appassionato velista. “Fin da bambino ho sempre amato il mare e la vela” ha ricordato in un’intervista tempo fa, “ricordo che a otto anni ho costruito una barca in garage, con le mie mani. Ero sicuro di avere preso le misure giuste, invece poi per portarla fuori abbiamo dovuto smontare la porta, con mio padre che si arrabbiò molto”.

Piano ha progettato, per sé e la sua famiglia, due barche davvero “speciali”, entrambi dal nome “Kirribilli”, che in lingua aborigena vuol dire “luogo pescoso” (oltre a essere il nome del quartiere di Sydney dove Piano ha costruito una torre a forma di vela).


IL KIRRIBILLI DI PIANO-VISMARA (2001)

La prima, varata nel 2001, in collaborazione con lo studio Vismara, lunga 60 piedi (18,60 x 4,80 m), si legge sul sito di Vismara, nasce dall’idea di disegnare un’imbarcazione da crociera veloce, che esprimesse tutte le caratteristiche dei più moderni maxi yacht e la sobrietà e l’essenzialità dei famosi J Class, che negli anni 30’ regatavano per la Coppa America. Venne costruita nei cantieri Mas di Como.

La caratteristica principale di questa imbarcazione è quella di unire un’avanzata tecnologia costruttiva, la ricerca nell’idrodinamica e nelle performance, ad una sobria eleganza in perfetto stile Piano. Il design non è mai fine a sé stesso ma è inteso come tramite per creare un ambiente ideale all’impiego dei materiali compositi. Non ci sono “orpelli” inutili. Tutto è funzionale

La valenza tecnicoarchitettonica è ottenuta integrando le strutture dello scafo agli interni ed alla coperta. Le strutture e le piastre di rinforzo dell’attrezzatura di coperta sono lasciate a vista, esaltando così la congruità tra la tecnologia dei materiali ed il loro impiego strutturale ed estetico.

La struttura monoscocca con scafo e coperta a sandwich ad alto spessore consente inoltre l’eliminazione quasi totale delle strutture di rinforzo secondarie, lasciando superfici lisce e continue all’interno della barca. Si percepisce così la continuità costante tra tutte le superfici di scafo, coperta e paratie, che sono raccordate da ampie raggiature che creano una struttura continua, un componente monolitico uniforme.

Molto interessanti la prua apribile che contiene l’ancora e la timonerie di design.

La suddivisione degli spazi in cabine esiste, ma la compartimentazione è ottenuta in modo lineare e simmetrico, così che si veda l’intera imbarcazione da poppa a prua, percependo le forme esterne e l’ordine strutturale. Scafo, coperta e paratie sono verniciati in color madreperla, ed i mobili, caratterizzati dalla semplicità delle forme e dalla cura del dettaglio, sembrano quasi sculture in legno. La barca è leggera (14.000 kg) per le sue dimensioni e tipologia di equipaggiamenti.


IL KIRRIBILLI II DI PIANO-NAUTA-REICHEL PUGH (2007)

Nel 2007, Renzo Piano contattò uno degli studi di progettazione più noti al mondo, Nauta Yachts Design, per realizzare un Kirribilli più lungo, 72 piedi (all’incirca 22 metri per 5,68 di baglio). La progettazione avvenne in totale collaborazione tra Nauta e Piano, lo scafo e le appendici vennero firmati dallo studio californiano Reichel Pugh, la costruzione affidata al cantiere italiano Indiana Yachting.

Il risultato fu uno yacht davvero particolare, che sfugge a una precisa catalogazione. Una barca dal design molto aggressivo, pensata per camminare e macinare ottime prestazioni. Una caratteristica per l’epoca molto lungimirante è la propulsione ibrida: oltre all’entrobordo diesel, ce n’è uno elettrico.

Ecco cosa ci aveva raccontato Mario Pedol di Nauta.

L’elegantissimo Kirribilli, lo sloop co-progettato in totale sintonia con il suo armatore: Renzo Piano. Come in un workshop?
Renzo Piano si è presentato alla prima riunione con la pianta degli interni da lui disegnata. Ha avuto le idee molto chiare su come avrebbe voluto la propria barca: elegante, veloce, sensibile sotto vela e… divertente!

Si è creato un buon feeling fin dal primo incontro e dopo un quarto d’ora ci davamo già del “tu”. Ho apprezzato in particolare una sua frase: “Mi piace il vostro lavoro perché dà una sensazione di calma”. In effetti non è nella nostra natura cercare gli eccessi, che spesso sono fini a sé stessi, e questo aspetto caratteriale credo sia uno dei motivi per cui ha scelto noi come partner nella progettazione della sua barca. È una persona intelligentissima, ed è stato molto stimolante e gratificante passare insieme delle giornate a progettare… incontrandoci nei medesimi percorsi mentali.

Ma il Kirribilli rimarrà una “barca-laboratorio” per sempre?
Credo che non avrà mai fine, a meno che Renzo Piano non decida di farne un’altra…

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Splendide storie (normali) di Barcolana: “Va vissuta, assaporata, sentita e ascoltata”

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“Era la mia prima Barcolana..non avevo la più pallida idea di cosa mi aspettasse ..oggi faccio ancora fatica a …scendere a terra… la Barcolana non si più raccontare
..va vissuta…assaggiata come un ottimo formaggio, assaporata con un buon vino…sentita e ascoltata come il rumore del mare che si infrange sulle barche”. Roberto Peri sintetizza così l’esordio in Barcolana, la regata che ogni velista deve fare almeno una volta nella vita.

Quest’anno la classica triestina, giunta alla cinquantesima edizione, è stata anche la sfida tra i due giganti Spirit of Portopiccolo (vincitore) e CQS Tempus Fugit (vinto). Ma è stata soprattutto quella delle altre 2.687 barche in mare, con a bordo velisti “normali” come Roberto. O come Cristina Ribolla, di cui condividiamo la splendida testimonianza post-Barcolana:

Viviamo lontani da Trieste. Abbiamo pagato un extra per avere la barca a disposizione un giorno prima e una notte in più, garantendo cosi all’equipaggio la comodità di Molo San Giusto. Lunedì (dopo la Barcolana, ndr) ci svegliamo e non riconosciamo Trieste.

È vuota, senti solo il rumore di operai che smontano la festa, la stanchezza prende il posto dell’euforia. Riusciamo a far colazione, consegnare le chiavi della barca sperando di averla pulita abbastanza da far “bella figura” e ci mettiamo in viaggio.

Odiamo il fuggi-fuggi a fine imbarco: ma la barcaaa???
Sarà un viaggio silenzioso, tu e lui siete ancora immersi nel turbinio delle emozioni appena vissute. Lui guida, tu ti lanci sui social, per far durare il piú possibile la magia.
Avevamo un obiettivo (prima barca tra i first 31.7 e ce l’abbiamo fatta).

Vorremmo già fissare il nuovo obiettivo per Barcolana 51, ma forse non ne abbiamo il coraggio.
Dopo circa 7 ore e tanti autogrill arriviamo a casa. Sfiniti. Con dolori ovunque. Un paio di lavatrici e facciamo una pennichella che si trasforma in sonno fino al mattino dopo. E al risveglio, purtroppo, il letto è solo un letto, non una cabina. Il pavimento è fermo, nessun cigolio di bitta, non c’è bora. Un bacio, un caffè e...

C’è solamente l’attesa della prossima Barcolana. E del prossimo obiettivo.
Insieme!

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Niente panico! Vi sveliamo quattro dritte per non finire in banchina…

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Che brutta scena quella che vedete nella foto… Purtroppo è facile vedere incidenti e “botti” nei porti affollati. Ecco perché vogliamo darvi quattro consigli per rendere le  manovre di ormeggio il più rapide possibile, con la speranza che, negli orari estivi nei quali i marina sono più affollati e tutti lottano per aggiudicarsi gli ultimi posti, voi abbiate una marcia in più per arrivare prima.

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Storie di Barcolana: Force 9 of London, la splendida “vecchietta” che ospita i giovanissimi

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Era una delle barche alla mitica seconda edizione della Whitbread (1977-78), il giro del mondo a tappe che oggi si chiama Volvo Ocean Race
. Allora Force 9 of London, Swan 65 armato a ketch (progetto di Sparkman & Stephens), era timonato da Clare Francis, la prima donna skipper nella storia della durissima regata oceanica. E chiuse al quinto posto.

Oggi la splendida “vecchietta”, lo ha dimostrato alla Barcolana, sa ancora dire la sua e avvicina tanti giovani alla vela d’altura. Arrivata a Trieste dopo aver un trasferimento di oltre 1000 miglia da Porto Cervo, ha chiuso al sesto posto nella sua categoria (72ma in reale su 2.689 imbarcazioni) ma sarebbe potuta andare molto meglio: se non fosse stato per una collisione  alla prima boa che Carlo Borlenghi ha documentato con questa splendida foto (senza colpe da parte di Force 9, tiene a precisare chi era a bordo).

A bordo di Force 9 of London, oltre all’esperto skipper Giorgio Pitter (veneziano di 54 anni), l’armatore e due “canuti” velisti, soltanto giovanissimi. Gli atleti della Società Triestina della Vela.

I ragazzini, di età compresa tra i 17 e i 25 anni si sono dimostrati all’altezza della situazione e sono parsi a loro agio a bordo di una barca nata almeno venticinque anni prima di loro. Ma è stato impegnativo per chi si occupava della cambusa: “Non avete idea di quanto mangiano gli adolescenti: almeno il doppio degli adulti”, ci hanno fatto sapere da bordo.

A proposito della collisione di cui sopra. La Giuria ha dato ragione a Force 9: “Sapevamo di non avere alcuna responsabilità perché ci avevano strambato davanti alla prua”, ha detto Pitter, “la decisione della giuria certifica la correttezza del nostro comportamento. Abbiamo poggiato per evitare la collisione, ma purtroppo hanno manovrato troppo vicino, l’importante è che nessuno si sia fatto male!”. E sicuramente i ragazzi, regatanti presenti e futuri, avranno fatto tesoro dell’esperienza…

Il sabato prima della regata l’equipaggio di Force 9 si è recato presso lo stand del suo principale sponsor, Slam, per firmare la Charta Smeralda, il codice etico per la salvaguardia del mare promosso dalla One Ocean Foundation.

LA BARCA IN BREVE
Force 9 of London è  uno yacht armato a ketch (due alberi) del 1974, il nono Swan 65 uscito dal celeberrimo cantiere finlandese Nautor, ed è lungo poco meno di 20 metri fuori tutto. Una barca sua gemella, Sayula, resterà per sempre nella storia dello yachting per aver vinto la prima edizione del giro del mondo a vela. Anche Force 9, come detto, prese parte alla medesima regata nel lontano 1977 con il nome ADC Accutrac, al comando di Clare Francis. Lo Swan 65 è uno dei progetti più riusciti del mitico designer Olin Stephens, è considerata da molti esperti la barca più bella del mondo, lo yacht a vela per antonomasia, per aver saputo unire a un’ eleganza assoluta ottime prestazioni, comfort e un’ eccellente tenuta del mare.

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Storie di Barcolana: la regata a bordo del maxi 100 Tempus Fugit. FOTO

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Erano arrivati a sorpresa, rubando la scena mediatica nella settimana che precedeva la Barcolana 50. Stiamo parlando del maxi 100 CQS Tempus Fugit, ex Nicorette, secondo classificato dietro Spirit of Porto Piccolo a circa un minuto di distacco. Se la gloria finale è stata dei fratelli Benussi e del loro maxi di 86 piedi, a Tempus Fugit e al suo equipaggio va dato il merito di avere fatto tutto il possibile in pochissimo tempo per provare a vincere, animando di fatto da un punto di vista sportivo una sfida per la vittoria della Barcolana 50 che altrimenti sarebbe stata pressoché nulla dato che Spirit of Portopiccolo non aveva dei veri rivali nel resto della flotta. Per farci raccontare il dietro le quinte di questo secondo posto abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Andrea Casale, uomo North Sails e regatante professionista di livello internazionale nonché ex nazionale di Laser, che su Tempus Fugit nel ruolo di randista era parte della nutrita rappresentanza italiana in un equipaggio con molti australiani e uno skipper finlandese, Ludde Ingvall.

Andrea Casale

L’obiettivo era cercare di assorbire il più possibile sulla conduzione della barca nella settimana precedente la regata che avevamo a disposizione per l’allenamento. A facilitarci il compito c’era una componente importante di ragazzi australiani che fanno parte dell’equipaggio di CQS, alcuni con esperienza di Volvo Ocean Race,  che hanno coperto una parte cruciale della barca, ovvero la prua. Avendo navigato su CQS erano i più adatti a conoscere tutti i sistemi di bordo per murare e issare le vele”.

La settimana dell’equipaggio di Tempus Fugit di fatto è stata un conto alla rovescia e una corsa contro il tempo per cercare di condurre al 100% la barca, studiare il corredo delle vele e i sistemi idraulici di bordo. “Abbiamo iniziato lunedì, con un allenamento condotto di fatto dallo skipper finlandese coadiuvato dai ragazzi australiani che è servito per scoprire come funzionava la barca. Poi nel corso della settimana c’è stato il progressivo cambio di guardia al comando come previsto. Mitja Kosmina è andato al timone ed Enrico Zennaro alla tattica, Andrea Visentini come navigatore. Ci siamo allenati soprattutto su due cose, riuscire a tenere la barca quasi ferma e in controllo per simulare la fase complessa del pre partenza, che alla Barcolana con un 100 piedi è come essere con un Boeing che rolla sulla pista di partenza in mezzo a dei Cessna da turismo. Abbiamo simulato più volte il primo lato al lasco che sapevamo sarebbe stato quello decisivo, provando tutte le combinazioni delle vele a disposizione in condizioni ventose come quelle dei giorni precedenti alla regata.” A proposito di vele, uno dei talloni d’Achille di Tempus Fugit è stato il corredo vele, in particolare quella usata per il primo lato al lasco. “Sapevamo che il primo lato era cruciale, e in base a direzione e intensità del vento eravamo consci di non avere la vela più adatta. Avevamo provato varie soluzioni: le vele in nylon da andature portanti, i vari fiocchi a disposizione e questa famosa vela, una specie di Code Zero enorme che in realtà ha come definizione corretta G2 (dove G sta per gennaker). Un Code vero da traverso-lasco stretto è molto più piccolo e magro. Le vele in nylon erano per andature decisamente più poggiate, con i fiocchi rischiavamo di essere decisamente sotto potenza per quello che sarebbe stato un lasco-traverso, la decisione è caduta sul G2 consci del “rischio” che correvamo”.

E alla fine è arrivata la partenza con le decisioni cruciali da prendere. “Con una linea lunga due miglia, tra il Pin e la barca comitato, con direzione prima boa, tra i due estremi c’è una differenza di 30° di angolo reale al vento. La nostra vela aveva i suoi range ottimali intorno ai 100 gradi con aria medio leggera, 130 con tanta aria. Abbiamo deciso di partire da un punto in cui avevamo circa 107 gradi al vento da tenere per la prima boa, leggermente sottovento a Spirit of Portopiccolo, prevedendo che l’aria potesse calare lungo il lato come da previsione. In realtà l’aria non è calata e anzi è andata in scarso come direzione mettendoci in difficoltà. Avevamo più vento e a un angolo più stretto rispetto al range ideale della nostra vela. Di conseguenza eravamo decisamente sovrapotenza. Nelle immagini si vede infatti che eravamo costretti a lascare randa per depotenziare e abbiamo iniziato a navigare più bassi rispetto alla posizione della boa, fino a quando siamo stati costretti a issare il fiocco per evitare di fare troppa strada in più. Stimo che in quella situazione stessimo portando la barca al massimo al 90% del suo potenziale, ma non avevamo molte scelte diverse da poter fare. Col senno di poi è facile dire che partendo leggermente più sopravvento potevamo riuscire a tenere il G2 su tutto il lato in piena potenza, ma abbiamo fatto comunque una partenza fantastica ed eravamo avanti nelle prime battute. Ci sono anche gli avversari e Spirit of Portopiccolo, che aveva un vero Code ideale per l’andatura, ha fatto una regata perfetta, sono stati bravi, complimenti a loro”. 

Il momento del sorpasso è stato inevitabile, proprio lungo il primo lato, quando il vento ha avuto la rotazione decisa verso est. “Ci hanno passato sopravvento, sapevamo che era un momento importante, ma non ci sono stati drammi, in quel momento anche se eravamo consci che di bolina non si sarebbero fatti superare facilmente marcandoci, poteva ancora succedere di tutto, il vento era comunque dato in netto calo e poteva esserci un’opportunità per noi, che invece non è arrivata perché l’aria è rimasta costante come intensità, è calata solo successivamente”.

La Barcolana però non è solo la regata, e l’equipaggio di Tempus Fugit, come gli altri 2688 iscritti, ha avuto modo di respirare l’atmosfera a terra. “Eravamo alloggiati in una posizione fantastica, vicino la chiesa ortodossa, abbiamo vissuto la città che si riempiva con l’arrivo di tutti gli equipaggi e del pubblico. La Barcolana è un evento unico al mondo, come prestigio possiamo paragonarlo al top degli eventi velici mondiali come, faccio un esempio, una Cowes Week che si svolge nel tempio della vela chiamato Solent. La Barcolana non è solo la regata, ma tutta la settimana di eventi a terra, e secondo me potrebbe essere ancora di più di quello che è. In futuro sarebbe bello vedere nel programma della settimana della Barcolana anche la vela olimpica, o per esempio un Italiano d’Altura, può crescere ancora e diventare ancora più importante per il nostro movimento”.

Mauro Giuffrè

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Storie di Barcolana: quanto ne sanno i velisti della plastica? Lo abbiamo scoperto con il Medplastic Team!

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Medplastic è arrivato anche alla Barcolana: con il testimonial Luca Rosetti, uno dei protagonisti alla prossima Mini Transat, nel ruolo di intervistatore, abbiamo cercato di capire quanto ne sappiano i velisti sulla plastica…

E abbiamo scoperto che…

TEMPO DI AGIRE
Time to Take Action (tempo di agire) è lo slogan di Medplastic, il progetto del GdV e di Barche a Motore per la salvaguardia del Mediterraneo. Iscrivetevi al gruppo Facebook MedPlastic Team, lì potete postare notizie, progetti, fotodenunce, video. Partecipate poi al contest Instagram NO Plastic (mandando una foto alla nostra inbox instagram – @giornaledellavela – o sul gruppo Medplastic Team, come hanno fatto tutti gli autori delle foto che vi mostriamo qui): premieremo le migliori testimonianze al VELAFestival 2019. In più, se avete progetti strutturati da proporre che pensate possano essere utili alla “causa”, mandate una mail a savethemed@gmail.com. www.medplastic.org

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Rivoluzione Bavaria: ecco il piano per il rilancio della produzione del colosso tedesco

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L’autunno sarà la stagione della definitiva ripartenza di Bavaria, che ha deciso di puntare su una delle sue eccellenze per il rilancio, ovvero la completa produzione 100% in casa, presso il proprio sito di Giebelstadt. Una scelta che in un certo senso guiderà l’intera filosofia commerciale del cantiere, dato che verranno eliminati i siti esterni e Bavaria procederà a un deciso svecchiamento, con un’inevitabile razionalizzazione, della gamma.

Con il marchio di qualità “Made in Giebelstadt”, sia la vela che le barche a motore saranno prodotte e consegnate ai clienti in Franconia. Lo yacht a motore R55, precedentemente prodotto in Croazia, sarà per la prima volta costruito a mano nella sede centrale dell’azienda nella prima metà del 2019. Gli stampi e gli attrezzi vengono trasportati dalla Croazia alla Germania e installati a Giebelstadt.

“Vogliamo che i nostri dipendenti straordinariamente ben addestrati e impegnati sviluppino e costruiscano tutti i nostri yacht principalmente sotto la propria direzione: la forza lavoro si identifica fortemente con Bavaria Yachts, è la caratteristica fondamentale della nostra azienda”, spiega l’amministratore delegato Erik Appel, che è stato capo operativo di Bavaria Yachts da dicembre 2017. “Ecco perché intendiamo aumentare ulteriormente il personale permanente e contemporaneamente ridurre la proporzione di lavoratori temporanei, contribuendo in modo considerevole a ridurre i costi di produzione.Per aumentare l’efficienza del cantiere navale, concentrarsi sulla nostra stessa ingegneria, ovvero lo sviluppo tecnico degli yacht”.

La produzione in serie che Bavaria Yachts sta per essere portata a nuovi livelli. Per fare ciò, sarà necessario ridurre notevolmente la complessità emersa negli ultimi anni. L’attuale portafoglio comprende 26 modelli: entro i prossimi tre anni sarà focalizzato su 10-12 modelli che sono efficienti e apprezzati sul mercato. “La nostra gamma di modelli sarà più attraente e allo stesso tempo di una qualità altamente affidabile, con un portafoglio delle stesse dimensioni”, aggiunge Erik Appel.

Il lavoro è già iniziato e la produzione è stata modificata per alcuni aspetti importanti: il Bavaria C65, presentato nel 2018 ma non andato a buon fine, non sarà più costruito; la E-Line (propulsione elettrica e yacht ibridi) è stata interrotta. La barca a vela C50 è stata rimossa dalla produzione in serie e tecnicamente rielaborata come prototipo. A seguito di una riprogettazione il C50 tornerà alla produzione in serie da novembre 2018. I risultati di questo processo verranno ora trasferiti all’ammiraglia BAVARIA C57 e alla sua sorellina BAVARIA C45.

Dal 2019 sono previsti nuovi sviluppi oculati con la possibilità del lancio  di  due o tre nuovi  prodotti all’anno.

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Vele Storiche Viareggio: la carica delle 60 per il raduno da non perdere

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E’ uno degli appuntamenti classici per gli amanti delle vele d’epoca e quest’anno può contare su una flotta eterogenea e numerosa di vere e proprie regine del mare. Stiamo parlando delle Vele Storiche di Viareggio, un must per le barche classiche, che animerà le acque toscane fino al 20 ottobre.

Una flotta di oltre 60 barche come non se ne erano mai viste a Viareggio. Dalla goletta Orion del 1910, lunga quasi 50 metri, al piccolo cutter inglese Star 1907 sul quale presso l’isola di Wight si addestravano alla vela i futuri Re d’Inghilterra Edoardo VIII e Giorgio VI. Insieme a loro altre barche ultracentenarie, Margaux e Onkel Adolph arriveranno dall’Austria, e tanti scafi in legno varati tra i primi del Novecento e i giorni nostri.

IN BANCHINA LA STORIA DELLA VELA
Tra le partecipanti alle regate ben cinque barche scuola della Marina Militare (Artica IICaroly, ChaplinGrifoneStella Polare), una decina di scafi costruiti dallo storico cantiere ligure Sangermani, che si contenderanno il Trofeo Challenge dedicato a Cesarino Sangermani scomparso lo scorso maggio, e una flotta di 5.50 metri Stazza Internazionale, l’ex classe olimpica nata nel 1949 che vanta circa 800 esemplari costruiti nel mondo. Proprio su Grifone, presente a Viareggio, l’eroe della vela italiana Ammiraglio Agostino Straulino nel 1965 vinse a Napoli il Campionato del Mondo di Classe. Sira è invece la replica della fortunata serie Vertue di Laurent Giles, che verrà presentata sabato pomeriggio in conferenza dai costruttori Nikola Kaljevic e Carol Petek. Moltissime le richieste arrivate sul nostro sito per seguire le regate dal mare, su scafi anche loro in tema con il Raduno: il veliero Nellie è infatti la replica di una barca da pesca di Boston di metà Ottocento, mentre la goletta di 30 metri Pandora è la ricostruzione di un antico postale già impiegato come set galleggiante per i film ‘Elisa di Rivombrosa’ e ‘N io e Napoleone’ di Paolo Virzì.

TRE REGATE VISIBILI DALLE SPIAGGE
Le tre regate in programma, una al giorno da venerdì a domenica, si correranno in tempo reale e l’AIVE, Associazione Italiana Vele d’Epoca, sarà responsabile della stazzatura delle imbarcazioni e delle classifiche per coloro che avranno scelto di regatare in tempo compensato con il certificato di stazza CIM. Le regate si potranno seguire anche dalle spiagge della Versilia. Molti gli eventi di cultura nautica che accompagneranno il raduno. Venerdì 19 ottobre è prevista nel pomeriggio la visita guidata dei restauri in corso; in questa occasione il Dipartimento Vela dell’associazione Marevivo presenterà l’app Occhio al mare, strumento per segnalare in navigazione avvistamenti di specie animali o di elementi inquinanti, contribuendo così al monitoraggio e alla salvaguardia delle nostre coste. Sabato 20 ottobre alle 17 presso il Club Nautico Versilia, il navigatore Patrick Phélipon racconterà il viaggio sulla Lunga Rotta di Bernard Moitessier 1968-2018 e l’architetto Pier Maria Gibellini, presidente della Riva Historical Society, presenterà i volumi Baglietto Varazze 1854-1939 e 1940-1983 sulla storia di uno dei più gloriosi cantieri navali italiani. Sabato sera festa grande nei capannoni del Cantiere Del Carlo in Darsena Italia per la tradizionale cena per gli equipaggi. Per tutta la durata della manifestazione, presso il Club Nautico Versilia, sarà possibile ammirare una mostra di acquerelli della pittrice Emanuela Tenti, autrice del dipinto ufficiale dell’evento raffigurante Gazell del 1935 presente al raduno, e le immagini di barche d’epoca del fotografo Marco Trainotti. Sempre al CNV, domenica alle 16.30, si svolgerà la cerimonia di premiazione.

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Mamma ho perso l’aereo… ma sono riuscito a provare il Lagoon 46!

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Il viaggio-odissea del nostro collaboratore per provare il nuovo cat Lagoon 46 a La Rochelle (e non solo): alla fine, ne è proprio valsa la pena!

Ero in Irlanda in vacanza con gli amici, quando mi arriva la chiamata dalla redazione: “Lagoon ci ha invitato a provare il loro nuovo catamarano da crociera, il Lagoon 46…”, “Dove?” rispondo io. “A La Rochelle, in Bretagna, vuoi andare tu? Partenza dopodomani”. Senza pensarci mezzo secondo ho accettato con un “Ma certo!”. Cosa può volere di più un velista se non andare nel tempio della vela, con la prospettiva di fare due bordi in oceano?!

IL VIAGGIO INIZIA MALISSIMO
Bene, questo è stato l’incipit del mio viaggio alla scoperta del nuovo Lagoon 46, viaggio non senza imprevisti, stancante ma… se lo rifarei?! Decisamente si! Ore 01:30, Galway, Irlanda. Mi metto in viaggio alla volta di Dublino. Alle 6:30 parte il mio volo per Nantes, quindi sono tranquillo. Peccato che dopo 20 km mi ritrovi imbottigliato in una coda che neanche sulla Salerno-Reggio Calabria! Ciao ciao volo!

L’unico mio pensiero durante quelle 9 ore di ricerca matta e disperatissima di un volo sostitutivo era che non potevo perdere l’occasione di navigare in un posto che per tutti quelli che di vela sono “malati” ė sacro!!! La mia determinazione ha avuto la meglio e alle 18:00 atterro a Bordeaux. Da lì a La Rochelle a questo punto è solo questione di poco. Ce l’ho fatta!

L’indomani mattina, io e alcuni colleghi veniamo accolti nella hall dell’albergo da tutto il team Lagoon che ci intrattiene con la presentazione del nuovo catamarano di 46 piedi: e finalmente, dopo un pranzo passato a confrontarmi con i francesi circa la possibilità di una futura applicazione dei foil nella vela per tutti, arriva il momento di muoverci verso il porto: si va in barca…

IN NAVIGAZIONE SUL LAGOON 46
Appena arriviamo al pontile il tempo naturalmente peggiora. Comincia a piovere e sparisce il vento ma gli ormeggi vengono comunque lasciati. Per fortuna la barca è estremamente spaziosa e tutti passiamo la prima parte della prova a goderci la possibilità interna del mezzo.

Partendo dai letti queensize (misure da casa), passando per all’ampiezza incredibile dei bagni e delle docce, tanta possibilità di stivaggio e arredi curati nei minimi particolari. Anche all’esterno non è male per nulla. Impavidi contro la pioggia raggiungiamo il comandante sul fly deck dove noto da subito un’ottima disposizione dei rimandi delle manovre. Sono tutte disposte vicino alla timoneria, che a sua volta è stata spostata a centrobarca. Questo rende la conduzione in solitario facile e sicura.

Purtroppo anche le condizioni del vento sono avverse alla nostra prova. Con picchi massimi di 6 nodi, l’unica possibilità che abbiamo ė di armare il code zero che, naturalmente in andature portanti, ci spinge fino a 5/6 nodi di SOG (Speed Over Ground).

Riavvolgiamo il frullone, ammainiamo la randa e si comincia con la prova a motore. La sensazione al timone è strana: per rendere agevole l’ispezione dei motori e recuperare spazio all’interno dell’imbarcazione, i motori sono stati messi poppavia alla timoneria la quale è stata avanzata più verso centrobarca (questo rende la risposta degli scafi un po’ lenta).

Ovviamente troverete la prova completa nei prossimi numeri del Giornale della Vela.

Qui i numeri della barca:
Lunghezza fuori tutto 13,99 m
Larghezza fuori tutto 7,96 m
Pescaggio 1,3 m
Dislocamento 16,6 t
Superficie della vela di bolina 140,1 m²
Randa 87 m²
Motorizzazione std 2 x 45 o 2 x 57 CV
Serbatoi Carburante 2 x 520 l
Capacità acqua dolce 2 x 300 l
Posti letto da 6 a 12

LA VISITA IN FABBRICA
L’indomani mattina si parte alle 8:00 alla volta di alcuni siti dei cantieri Beneteau, in particolare quelli preposti alla produzione Lagoon, a Belleville e Poiré (ricordiamo che il colosso Beneteau, nel 1996, con l’acquisizione di Jeanneau, si assicurò anche il marchio Lagoon).

La visita è impressionante. I capannoni sono immensi. Ne ho visti di cantieri nella mia vita ma questo sembra una catena di produzione automobilistica!

Tutto è ponderato al millimetro, nulla è lasciato al caso. Una barca ogni 5 ore viene ultimata, e l’attenzione ad ogni particolare di produzione e massima. Abbiamo fatto un tour lungo tutta la catena di produzione, facendoci spiegare la loro metodologia costruttiva, le tecniche usate per la laminazione, parlando con operai e responsabili per toccare con mano il mondo Lagoon: è qui che nascono i catamarani da 38 a 46 piedi.

GUARDA LA GALLERY DEL LAGOON 46

Il volo da Parigi delle 18:30 mi impone di abbandonare la visita al secondo sito di capannoni Beneteau, sito nel quale vengono costruiti oltre che i multiscafi Lagoon anche alcuni monoscafi Beneteau e Jeanneau.

“Tornerò sicuramente con più calma, perché l’universo Beneteau merita di essere esplorato nei minimi dettagli”, penso sulla via verso casa. Alle 2:30 del mattino finalmente tocco il letto, stanco e scombussolato ma col sorriso sulle labbra l’odore di resina nelle narici e il suono delle onde dell’oceano che ancora rimbomba in tutta la mia piccola stanza. www.cata-lagoon.com/it

Bacci Del Buono

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Sei un velista “fighetto” o no? Scoprilo in quindici punti

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fighetti
I veri velisti, si sa, odiano i “fighetti”.
Quelli che vivono la barca per un breve periodo l’anno, ma quando questo accade, si sentono nel cuore della “Milano da bere”. Se non volete rischiare di essere malmenati in banchina da rudi marinai, vi consigliamo di controllare questa lista in quindici punti per verificare che non siate, in realtà, dei “velisti fighetti” (come quello ritratto in foto).

Siamo sicuri che manchino molti punti. Aiutateci a completare la lista con un bel commento!

In barca, sei un “fighetto” se…

… la cerata al di sotto dei 1.500 euro non la prendi neanche in considerazione. Poi la usi solo un weekend all’anno per la regata del Panzerotto Fritto.

… ti presenti a bordo con le valigie Louis Vuitton tempestate di diamanti, lapislazzuli. Ovviamente rigide e ingombrantissime!

… i mocassini da barca tipo Sperry li indossi (rigorosamente con fantasmino invisibile) anche quando vai in gita alla sagra del fungo della Val Brembana.

… hai diluito nell’acqua dolce di bordo un’essenza da 1.000 euro in modo tale da farti la doccetta profumata al tramonto in rada. Poco importa, poi, se l’acqua per la pasta sappia di Calvin Klein perché hai un serbatoio unico.

… l’ultima volta che la tua mano ha toccato una scotta è stato quando, con occhio da intenditore, ne valutavi  l’elasticità e la maneggevolezzaallo shipchandler (anche se non distingui lo spectra dalla paglia intrecciata e credi che il Dyneema sia un esplosivo)

… parcheggi il SUV vicino alla barca. E il tuo posto barca è in fondo a un pontile galleggiante da 70 cm di larghezza.

… per realizzare la tua cuscineria di bordo sono state estinte tre specie di leopardo albino protoafricano.

… a prua, invece della calavele, hai una cantina termocontrollata con 500 etichette provenienti dai migliori chateau del Perigord. O almeno, la avevi fino a quando hai deciso di assumere due prodieri triestini.

… hai il supermegaorologio ipersatellitare che ti dice l’angolo di incidenza della chiglia in navigazione rispetto alle dime fornite da un centro di ricerca specializzato svizzero e che proietta le tue polari nel cielo tipo Batman (ma alla fine lo usi solo per sapere l’ora di pranzo).

… “io o sto al timone o faccio la tattica”.

… a bordo invece della classica borraccia da passarsi con tutto l’equipaggio, hai solo le bottiglie di plastica brandizzate da Chiara Ferragni.

… l’unica traversata che hai fatto è stata quella tra Portofino e Santa Margherita Ligure, ovviamente a motore, ma te la tiri come se fossi alla quindicesima Volvo Ocean Race.

… se hai deciso di realizzare il tavolo da pozzetto a specchio in modo tale che quando sei al timone il sole riflesso massimizzi l’abbronzatura.

… hai ufficio stampa, social media manager, press kit, account manager per quanto riguarda barca ed equipaggio. Ma non hai mai fatto una regata.

… hai montato un motore entrobordo di 600 cavalli su un 12 metri. E quando navighi a manetta la tua barca sembra lo Steamboat Willie di Topolino, senza contare gli tsunami causati dallo spostamento d’acqua.

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Rolex Middle Sea Race: che la battaglia navale abbia inizio, aspettando il ventone

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Una suggestiva immagine del Comet 45 Libertine immortalato da Kurt Arrigo durante la Middle Sea Race 2015

Vincerla non è facile ed è uno degli obiettivi di chi partecipa ad alto livello alle regate offshore. La Rolex Middle Sea Race, con partenza il 20 ottobre, compie cinquant’anni e lo fa con 149 barche iscritte in rappresentanza di 32 nazioni, con ben 22 italiane al via alcune delle quali partono dichiaratamente per vincere la regata. Il percorso è uno dei più belli al mondo: partenza da Malta, circumnavigazione della Sicilia in senso anti orario lasciando a sinistra Stromboli, Favignana, Pantelleria e Lampedusa, con arrivo ancora a Malta dopo 607 miglia.

Il meteo come sempre non sarà banale, con una partenza sotto un robusto est sui 15-20 nodi con onda formata residua da scirocco. Un regime di levante-grecale che dovrebbe accompagnare la flotta almeno fino allo Stretto di Messina. Poi occorrerà valutare l’evoluzione meteo, perché sembra essere dietro l’angolo una rotazione verso Nord, Nordest, con un rinforzo deciso causato dall’ingresso di un fronte freddo dai Balcani quando la flotta starà percorrendo il lato settentrionale della Sicilia. Quanto forte? Ancora è presto per dirlo, ma scommettiamo che molti equipaggi stanno sperando non arrivino i 30-35 nodi predetti da alcuni modelli, sperando che le previsioni che lo danno fino a 25 siano più attendibili, il dato certo è che ci sarà un drastico calo delle temperature e la vita a bordo diventerà decisamente dura e molto bagnata. La buona notizia è che non sarà una bolina secca, ma larga fin quasi al traverso e oltre, con velocità però molto alte e comfort di bordo ridotto al minimo per usare un eufemismo, dato il moto ondoso previsto oltre i due metri. Il vento forte arriverà, come spesso accade alla Middle Sea Race, nella seconda parte di regata, quella più complessa per la tenuta fisica degli equipaggi e più complessa anche per la zona da attraversare, il temuto Canale di Sicilia con i suoi bassi fondali che causano un onda ripida e corta.

LE ITALIANE IN REGATA

Occhi puntati soprattutto su due barche: il Coockson 50 Endlessgame di Pietro Moschini con a bordo Gabriele Bruni come skipper e Pietro d’Alì in equipaggio. Lo Swan 42 BeWild di Renzo Grottesi con alla tattica Andrea Casale e Andrea Caracci come navigatore. Sono sicuramente le due frecce più pericolose della flotta italiana, e partono per fare il grande risultato.

A provare a vincerla in tempo reale ci sarà il MOD 70 Maserati di Giovanni Soldini, che per l’occasione schiera alla tattica il talento dei Nacra 17 Vittorio Bissaro, per la linea d’onore dovranno vedersela con l’altro MOD 70, Powerplay, e probabilmente anche con il “solito” Rambler 88. Ci saranno poi Duffy, Dufour 34e di Enrico Calvi, il First 44.7 Sciara di Lancellotti, il Comet 50 Carbon Verve Camer di Greco ,  il Neo Zero, Neo 400 Carbon di Paolo Semeraro. Non poteva mancare poi il Sun Fast 3600 Bora Fast di Piercarlo Antonelli che avrà a bordo per l’occasione Ambrogio Beccaria. La flotta italiana continua con il Mylius 15e25 Ars Una di Vittorio Biscarini e il Mylius 60 Fra Diavolo di Vincenzo Addessi, gli Azuree 40 Catty Sark di Buonfantino e Preferisco di Ballerini, l’IMX45 Tetta di Dell’Aria che insieme a Bora Fast è una delle due barche italiane che l’anno scorso hanno concluso la regata; il GS34 Performance Aygilion di Sanguelotta/D’Ubaldo, il Fast Atame di Bisotto, lo Swan 65 Force 9 of London di Giorgio Pitter, il J122 Joy di Giuseppe Cascino, l’open 35 Megaptera di Tellarini, l’X-362 Oxygene di Cerulli Irelli, il GS 40 Renoice di Pellegrini, il Sidney 39 Sir Biss di Perego, il Tripp 40 Striptease di Serrano’, il Dufour 405 Tattoo di Paoletti.

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Nathanael Greene Herreshoff, ovvero il Leonardo da Vinci della Vela. PRIMA PARTE

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Porto Santo Stefano, Italy – 18 June 2017, Panerai Classic Yachts Challenge 2017, Argentario Classic Week 2017, Linnet crossing Spartan. Ph: Guido Cantini / Panerai

Qualche tempo fa in redazione, mentre ci stavamo documentando su un moderno daysailer con armo a “wishbone” (il doppio boma usato per manovrare la randa delle tavole a vela), è venuto fuori che questa soluzione era stata applicata per la prima volta da un signore di nome Herreshoff. Solo pochi giorni prima, nel realizzare un servizio sull’evoluzione delle barche, avevamo scoperto che il primo catamarano sportivo da regata era datato 1876 e portava anch’esso la firma di Nathanael Greene Herreshoff (1848-1938). Per farla breve, “Captain Nat” (così era conosciuto dagli amici), entrato nella storia per aver conquistato cinque volte la Coppa America con gli yacht da lui ideati, è stato il progettista più influente nel mondo della nautica. Il “Mago di Bristol” (altro dei suoi nickname) ha inventato tutto. Moltissime delle soluzioni nate dal suo genio sono tutt’oggi utilizzate sulle barche di serie (e non solo) più moderne.

IL LEONARDO DA VINCI DELLA VELA MODERNA

Permetteteci di affibbiargli un ulteriore soprannome: il Leonardo da Vinci della vela. Con il maestro fiorentino condivide, oltre alla capacità di saper precorrere i tempi e sperimentare, una vulcanicità fuori dal comune: ci ha lasciato più di 18.000 tavole tra progetti, schizzi e disegni. Nato nel 1848 a Boston, si laureò nel 1870 in ingegneria meccanica al prestigioso MIT (Massachussets Institute of Technology): fin da giovanissimo disegnò barche (la prima a 16 anni), nel ’76 stupì tutti con il succitato catamarano, Amaryllis. Si presentò infatti alla Centennial Regatta di New York al timone della barca di 25 piedi e alla prima regata doppiò l’intera flotta di monoscafi (ma venne squalificato a seguito delle proteste dei concorrenti). Inizialmente lavorò per una compagnia di Providence (Rhode Island) che produceva motori a vapore. Pare che nel 1888 un incidente in una caldaia, durante un test in mare, gli sia costato il posto (anche qui, il parallelismo con il lato “pasticcione” di Da Vinci è evidente). Questa sarà la sua più grande fortuna. Nat, che si trasferì a Bristol fondando assieme al fratello la Herreshoff Manufacturing Co., cominciò a occuparsi professionalmente della progettazione di barche a motore e a vela. Acquisì subito notorietà nel settore per la bellezza e velocità dei suoi yacht, fino a essere ingaggiato dai magnati del mitico New York Yacht Club.

CHIGLIA A PINNA, DERIVE MOBILI & CO.

Per comprendere appieno la grandezza di Herreshoff dobbiamo necessariamente passare in rassegna le sue invenzioni. Il primo grande “passo” lo compì tra il 1891 e il ’92, quando progettò tre barche all’epoca iper avveniristiche: Gloriana, Dilemma e Alpha. Gloriana (21,40 m) fu, di fatto, la prima barca da regata di concezione moderna: se fino a quel momento non si percepiva la differenza tra uno yacht da competizione e uno per la crociera (arredamenti interni pesanti, lussuosi e dal look “casalingo”), la barca disegnata da Herreshoff presentava interni essenziali, aveva la struttura in acciaio e il centro di gravità molto basso, con il 60% del peso concentrato nella chiglia corta. Con Dilemma (11,38 m) il progettista sperimentò la chiglia a pinna sottile con bulbo a siluro (sic!), esaltandone, primo a riuscirci, tutte le potenzialità. Per Alpha, si inventò un sistema a deriva mobile (soluzione già esistente per barche che dovevano navigare su bassi fondali) e poca zavorra, sfruttando il peso dell’equipaggio come zavorra.

IL SENSO DI “CAPTAIN NAT” PER LA COPPA AMERICA

Il suo genio non passò inosservato: nel 1892 il New York Yacht Club gli affidò il delicato compito di progettare una barca per difendere la Coppa America. Herreshoff vara il Vigilant (opera morta in acciaio e chiglia in lega di bronzo), con cui prima vinse facilmente le selezioni statunitensi (sbaragliando la concorrenza delle barche di Paine e Burgess, i grandi progettisti del momento), poi difese con successo la “vecchia brocca” contro gli inglesi nel 1893. Da qui, iniziò il periodo d’oro del Mago di Bristol, i cui yacht vinceranno altre cinque America’s Cup fino al 1920: Defender, nel 1895 (primo scafo in alluminio nella storia della Coppa), Columbia (1899 e 1901), Reliance (1903) e Resolute (1920). Senza contare che anche le vincitrici delle edizioni del 1930 (Enterprise) e del ’34 (Rainbow), pur non progettate da Captain Nat, uscirono dai cantieri Herreshoff.

LE REGATE A COMPENSO? “COLPA” DEL MAGO DI BRISTOL

Una delle barche più estreme (ed influenti) della storia fu proprio Reliance: lunga 27,4 metri al galleggiamento e 43,5 fuori tutto, misurata dalla punta del bompresso alla fine del boma era lunga 60 metri: quando era sbandata l’opera morta si trasformava in linea di galleggiamento rendendola molto più performante. Le caratteristiche fuori dal comune di questa barca, che superava spaventosamente, a livello di concezione, le vecchie regole costruttive di Coppa, spinsero all’adozione di un nuovo sistema di compenso, sviluppato proprio da Herreshoff. La cosiddetta Regola Universale di Compenso, rimasta in auge fino al 1952 e considerata, di fatto, la prima formula di handicap moderna e affidabile. Si basava sul confronto delle dimensioni di una barca (relative alle variabili fondamentali) con quelle di un modello “virtuale”, inseriva tra i fattori anche il dislocamento e suddivideva gli yacht per classi (proprio come oggi!), in virtù del rating assegnato a ciascuna imbarcazione.

HERRESHOFF E I MONOTIPI

Pur ideatore di sistemi a compenso, Herreshoff non disdegnava certo la monotipia o le classi governate da una box-rule rigida: dal 1919 al ’41 furono varate 95 barche monotipo della S-Class: di questi divertenti e veloci scafi (8,38 m), sulle coste americane, navigano ancora 75 esemplari. Numeri da J/70, Mumm 30 e Melges 24! Fu grande anche il successo dei New York 30 commissionati ad Herreshoff dagli armatori del NYYC nel 1905: ne vennero realizzati 18 esemplari. Uno di loro è tutt’oggi protagonista dei circuiti di regate Panerai e vince di frequente. E’ il Linnet di Patrizio Bertelli.

LA PREZIOSA EREDITA’ DI CAPTAIN NAT

Ma come abbiamo detto all’inizio, oltre alle barche furono le soluzioni sperimentate dal Leonardo Da Vinci della vela a renderlo immortale. Tornando al Reliance, vi basti sapere che fu la prima barca ad avere la modernissima soluzione dei verricelli sottocoperta. Sviluppò poi un sistema scientifico per il calcolo del dimensionamento delle strutture di una barca (ossatura, fasciame, alberature) in un’epoca in cui la maggior parte dei progettisti si affidavano a regole tradizionali ed empiriche per determinarle: questo gli consentì di utilizzare per primo alberature leggere in metallo piuttosto che in legno. Sappiate inoltre che se oggi issate la randa con comodità, grazie ai garrocci che entrano nella canaletta, lo dovete a lui, che inventò questo sistema in sostituzione dei tradizionali “canestrelli”. Ideò poi il taglio del tessuto delle vele a strisce perpendicolari alla balumina (cross-cut sail, si usano ancora adesso!): all’epoca, sul Gloriana, lo fece soprattutto per contrastare la tendenza della tela di cotone a deformarsi sotto carico. Per non parlare delle prime eliche a pale abbattibili, il winch moderno, l’idea di attaccare sartie e stralli all’albero tramite linguette metalliche, l’invenzione dell’arridatoio come lo intendiamo oggi, il filo intrecciato per le sartie. Non c’è attrezzatura di coperta che Herreshoff non abbia perlomento contribuito ad innovare e rendere più comoda. Se per caso passate da Bristol (Rhode Island), fate un passo all’Herreshoff Marine Museum: entrerete nella mente dell’uomo che ha inventato la vela moderna.

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Ben tornato carrello del fiocco! Ecco come si evolve una regolazione che sembrava fuori moda. FOTO

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C’è stato un periodo che sembrava quasi passato di moda, sostituito da un comodo ma tecnicamente poco efficiente punto fisso. Ma il carrello del fiocco, in un periodo in cui le barche sportive autentiche, i veri performance, stanno tornando di moda, sembra avere voglia di riprendersi tutta la scena. E non soltanto il semplice carrello del fiocco, ma anche soluzioni prese dal mondo dei racer veri che si possono adattare anche a quello dei performance cruiser di razza.

Un esempio concreto lo abbiamo avuto dal Grand Soleil 48 Race che monta sulla tuga un carrello trasversale, senza rinunciare alla regolazione longitudinale, offrendo di fatto a tutti gli effetti la possibilità di una regolazione in 3D come nelle foto che vi mostriamo.

Il carrello trasversale del GS 48. Si nota il sistema di paranchi “destra/sinistra” che regola il dentro/fuori della vela. Più il vento è intenso e la bolina stretta più la bugna del fiocco verrà avvicinata all’albero e viceversa. Il movimento viene facilitato da una rotaia che si muove su cuscinetti a sfera.

Dentro l’anello passa la scotta del fiocco. L’anello può salire o scendere in altezza: se l’anello sale otterremo di svergolare il fiocco, aprendo la balumina nella parte alta. Al contrario chiamando l’anello verso giù chiuderemo la parte alta della vela, nel caso in cui per esempio ci sia vento leggero o la bolina non è molto stretta. Questa regolazione verticale si affianca a quella orizzontale sull’asse destra/sinistra

Il sistema di doppi paranchi, adeguatamente demoltiplicati, per gestire la regolazione del carrello

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Un’elica migliore, quale scegliere e perché: abbattibili, orientabili o fisse?

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L’elica è una delle componenti vitali della nostra barca. A lei affidiamo i nostri spostamenti a motore e da lei dipendono in maniera decisiva anche le performance a vela. La domanda fondamentale da applicare anche all’elica è: cosa voglio farci con la barca e quanto voglio spendere per l’acquisto dell’elica? Ogni modello ha infatti dei punti deboli e dei punti forti: le eliche in commercio si differenziano tra loro in maniera sostanziale per le performance a vela, a motore e per i relativi costi. Le grandi famiglie tra le quali possiamo scegliere sono tre: quelle a palle fisse, abbattibili o orientabili. Ovviamente dentro questi tre gruppi esistono varie sfumature e modelli differenti per forma e numero di pale. In linea teorica possiamo affermare che le performance migliori a motore sono garantite dalle eliche a pale fisse (anche se a marcia indietro la loro efficienza diminuisce a causa della forma pensata principalmente per la propulsione in avanti), mentre il top a vela lo danno le abbattibili. Un compromesso, ma più costoso, è quello delle pale orientabili e tra queste ci sono quelle a passo modificabile.

La scelta dell’elica è tutt’altro che casuale e va studiata nei minimi dettagli con un tecnico o con il cantiere della nostra barca. Il dimensionamento (diametro), è fondamentale per consentire al motore di sviluppare tutto il suo potenziale. Un errore in questa scelta ci renderà la vita difficile soprattutto in crociera per gli spostamenti a motore. Un parametro su cui ragionare, oltre ad avere chiaro il tipo di utilizzo del nostro mezzo, sono i cavalli.

A parità di lunghezza della barca va valutata la potenza del motore per individuare il modello più adatto. Una buona elica montata in coppia con un motore “sbagliato” dà dei pessimi risultati. Oltre a questo va poi considerata la lunghezza della barca ed il suo dislocamento, senza dimenticare la discriminante linea d’asse/S-drive. In definitiva la scelta di un’elica non è facile e vanno considerati numerosi fattori, tutti rilevanti. Da produttore a produttore possono esserci anche altre differenze: per esempio un modello di una casa di una determinata misura può andare bene per una certa barca, l’equivalente misura di un altro produttore no. Questo perché le forme e l’ingegnerizzazione cambiano in base alle aziende. Andiamo a vedere, sul segmento di motori tra i 20 e gli 80 hp, le forbici di prezzo del mercato e le caratteristiche generali dei vari modelli, con alcuni consigli utili su come tenere pulita l’elica.

ABBATTIBILI

Performanti a vela, ma attenzione a motore contro onda, Le abbattibili quando si richiudono hanno “ingombro idrodinamico” contenuto e assumono una forma (quella che si può chiamare “becco d’anatra” nei modelli a due pale) perfetta per non creare turbolenze e non frenare l’avanzamento della barca. La forma in base al modello può variare: lo spessore delle pale in quelle specificamente pensate per la regata è sottile e l’uscita della pala risulta rastremata per minimizzare la resistenza idrodinamica. Di contro le performance a motore possono essere problematiche, soprattutto nei modelli a due pale, molto meglio quelle a tre, quando dobbiamo navigare contro onda e vento. Non a caso le barche che prendono parte a stagioni intense di regate, con trasferimenti lunghi, hanno in dotazione una doppia elica: abbattibile per le regate, fissa per i trasferimenti. Sul segmento 20-80 hp il prezzo oscilla dai 400 fino ai 2900. La differenza di prezzo tra due e tre pale è sensibile, minore quella tra linea d’asse e Sail-drive.

FISSE

Bene a motore, lente a vela Fisse, a due o tre pale, sono delle eliche estremamente performanti a motore come velocità di punta, meno in manovra. E’ un’elica che non ha paura di spingere la barca contro vento e contro mare, Di contro sono eliche penalizzanti a vela. Una 3 pale fisse genera una resistenza idrodinamica pari quasi a metà della resistenza generata dall’intera carena, 8 volte superiore rispetto a quella di una 3 pale abbattibili. Il prezzo di mercato sul segmento di motori 20-80 hp oscilla dai 200 euro fino a poco più di 1000, in base al diametro, alle pale ed al tipo di trasmissione (linea d’asse o Sail-drive).

 

ORIENTABILI

Un buon compromesso ad un costo più elevato Si tratta di un compromesso tra fissa e abbattibile. Buone le performance a motore anche se, per ragioni idrodinamiche nella posizione di riposo/vela, non hanno una forma particolarmente “a cucchiaio” e le velocità di punta non saranno ottimali in tutte le condizioni. Di norma offrono il vantaggio di potere regolare il passo per ottimizzare la spinta. A vela le pale si orientano “a bandiera” così da offrire alla resistenza dell’acqua solo il loro spessore, ovvero pochi millimetri di superficie esposta. Nel segmento 20-80 hp i prezzi oscillano da poco più di 1000 euro fino anche ai 3.000.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come mantenere pulita l’elica

La pulizia dell’elica è un problema ricorrente. Spesso capita di alare la barca dopo una stagione e trovare la carena in buone condizioni ma l’elica è praticamente infestata di vegetazione. Questo perché i prodotti appositi hanno difficoltà ad aderire. Non esiste una soluzione assoluta a questo problema, l’elica tenderà a sporcarsi sempre in misura maggiore rispetto al resto della barca, si può però concretamente limitare il fenomeno. Come? Preparando a dovere la superficie prima di applicare i prodotti antivegetativi. I materiali con cui sono fatte le eliche (leghe di alluminio e vari tipi di bronzo) sono notoriamente supporti che necessitano di particolari accorgimenti dal punto di vista della preparazione superficiale. Si procede con la pulizia asportando sempre tutti i vecchi cicli di pitturazioni. Risulta fondamentale irruvidire la superficie con mezzi meccanici o manualmente con l’utilizzo di carta abrasiva. Serve a creare un fondo ruvido, che abbia un buon grip per il ciclo di pitturazione che applicheremo. Importante assicurarsi che la superficie non sia liscia, da ciò dipenderà la resa successiva dei prodotti che applicheremo: la vernice potrebbe volare via dopo poche ore di moto. Occorre poi pulire con un detergente liquido, facendo attenzione a non utilizzare solventi e trattare la superficie utilizzando guanti protettivi. Prima di applicare il ciclo di verniciatura verificate che l’elica sia completamente asciutta. Rispettate sempre i tempi tecnici dei prodotti da applicare.

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