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INTERVISTA Io che ho “inventato” i foil. Parla Guillaume Verdier

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Quando il 6 settembre 2012 l’AC72 di Emirates Team New Zealand volò sui suoi foil nel golfo di Hauraki, in Nuova Zelanda, la vela entrò in una nuova era che ha certamente in Guillaume Verdier il suo massimo artefice. Francese, classe 1970, laurea in architettura navale a Southampton, Verdier ha firmato, tra gli altri, i progetti dei nuovi Imoca 60 dotati di foil, protagonisti dell’ultima Vendée Globe; il 100 piedi Comanche, tra i monoscafi più veloci al mondo; l’AC50 vincitore dell’America’s Cup 2017 con il team neozelandese e i due maxi-trimarani dotati di foil Gitana 17 e Banque Populaire IX. Infine, è tra i principali estensori della stazza del monoscafo-foil con cui si correrà l’America’s Cup 2021.

Il trimarano Mod 70 Gitana 17 che è diventato poi Maserati di Giovanni Soldini. Verdier l’ha progettato e poi modificato aggiungendogli i foil.

Com’è nata la decisione di diventare uno yacht designer?
Nel 1978, quando avevo 8 anni, partecipai a Brest, in Bretagna, ai miei primi campi estivi di vela. Il mio istruttore mi disse che sarebbe andato in Inghilterra per frequentare una scuola di architettura navale. Me ne sono ricordato. E quando, dieci anni più tardi, mi annoiavo alle Mathématique Supérieures (una specie di corso post liceo francese, ndr) mi sono detto: “Alt!”. Ho cercato quella scuola. E l’ho trovata all’università di Southampton!

Comanche, il 100 piedi detentore del record di traversata dell’Atlantico. Viene considerato il monoscafo più veloce del mondo.

Ha progettato barche di tutte le dimensioni, monoscafi e multiscafi. Quali preferisce: mono o multi? C’è un progetto preferito, al di là del risultato conseguito?
Mi piacciono i mono e i multiscafi. I monoscafi sono molto complicati, specialmente quelli della Vendée Globe perché ci sono molti parametri come assetto, zavorra, inclinazione della chiglia, regolazione dei foil, stabilità dinamica e tanti altri. Soprattutto c’è un fattore umano molto importante da tenere in considerazione. Ma i multiscafi sono macchine incredibili. Mi appassiono a una barca quando il progetto si sviluppa bene e la storia della sua concezione è bella. Stiamo terminando un progetto con il team della Volvo Ocean Race guidato da Nick Bice (responsabile del settore barche e manutenzione, ndr). È stato molto piacevole ed è per noi un’avventura molto bella che avrà come risultato molti nuovi Imoca 60. L’America’s Cup è un’altra cosa, ma è stata anche questa un’avventura molto avvincente. Infine, il maxi trimarano Gitana 17 è per noi un’altra bella storia. Abbiamo l’impressione di essere chi cerca di decifrare codici segreti. Grazie a questo progetto abbiamo trasformato un classico multiscafo oceanico, il Mod 70 Gitana XV, nel mezzo che può davvero volare ed è affidabile che oggi è il Maserati Multi 70 di Giovanni Soldini.

L’IMOCA 60 Safran

Anche se i vostri progetti sono molto diversi tra loro, sono uniti da un’unica filosofia? Qual è?
Una barca che sia lenta o veloce, monoscafo o multiscafo, con foil oppure senza resta semplicemente un oggetto che segue le leggi del galleggiamento e dell’attrito. Almeno da un punto di vista umano, il nostro studio è unico. Siamo un gruppo di collaboratori che vengono da diversi settori. Non siamo raggruppati in un unico ambito di lavoro. Abbiamo tutti progetti separati ma ci piace lavorare in sieme. Sono i miei collaboratori che decretano il successo di questi progetti. Devo citarli tutti. È molto importante. Ne va della coesione dello studio! Ecco i nomi: Romaric Neyhousser, architetto; Herve Penfornis, strutture, gestione del progetto e coperta; Morgane Schlumberger, strutture e gestione del progetto; Bobby Kleinschmit, architetto e performance; Véronique Soule, fluidodinamica e performance; Nick Holroyd, architetto; Leonard Imas e Romain Garo, entrambi fluidodinamica; Louis Pillot, disegni. Il gruppo dello studio Pure en Structure in Nuova Zelanda è diretto da Giovanni Belgrano e conta su Adam Greenwood, Andy Kensington e Martin Bivoit.

Il cat volante Emirates Team New Zealand che ha partecipato alla Coppa America del 2013

Fino al 2013 non molti conoscevano il nome di Guillaume Verdier. Dall’America’s Cup del 2013 tutti conoscono i foil e “l’uomo che fa volare le barche”. Com’è nata l’idea di far volare il catamarano neozelandese?
Non è stata una mia idea, ma la direzione in cui ci siamo mossi assieme a Emirates Team New Zealand perché sapevamo che lì c’era il maggior potenziale da sfruttare. Tuttavia non sapevamo come risolvere i problemi di stabilità. Ci siamo detti: non sappiamo se ci arriveremo, ma faremo di tutto per arrivarci! Ci siamo messi d’impegno e abbiamo sviluppato ottimi strumenti per comprendere meglio i problemi. Abbiamo tratto beneficio dalle conoscenze acquisite e l’abbiamo unita alla nostra esperienza nelle barche oceaniche per applicarle su progetti futuri. Che oggi significano una ventina di barche per il giro del mondo in solitario.

Una delle poche barche da crociera progettate da Verdier, lo Shipman 63

Quali sono state le difficoltà nell’applicare i foil a un monoscafo? Funzionano meglio con questo tipo d’imbarcazione oppure con un multiscafo?
Abbiamo avuto problemi nel far funzionare i foil su un monoscafo. Oggi si aprono nuove strade e il problema è come sfruttare la potenza che è in mano a una sola persona. O poi, ci sono i problemi di stabilità nel mare formato.

Il classe C Groupama condotto da Franck Cammas, una delle prime barche su cui sono stati sperimentati da Verdier i foil

Con i foil che sono diventati elementi dominanti, il design della carena e dello scafo rimane sempre cruciale?
Sì perché le barche devono affrontare anche situazioni meteo di vento leggero. Inoltre la possibilità di una collisione e di danneggiare i foil è piuttosto alta. Quindi lo scafo resta molto importante.

Durante l’ultima Vendée Globe, le barche dotate di foil sono rimaste danneggiate nell’impatto contro gli oggetti alla deriva. Naturalmente, questo incidente può capitare a tutti, ma l’uso del foil è forse limitato alle regate sulle boe che si svolgono in spazi di mare protetti?
Niente affatto. I foil stanno diventando importanti nella navigazione d’altura. Ma, ancora una volta, dobbiamo prevedere gli incidenti provocati da oggetti alla deriva.

E a questo proposito, i multi oceanici sono un’opportunità o un limite? La domanda viene dalle disavventure di Maserati Multi 70 di Giovanni Soldini.
Penso che siano un’opportunità. Giovanni Soldini sta davvero ridefinendo la vela d’altura con dei foil che permettono di volare. Non ci arrendiamo (Verdier lavora a stretto contatto con Soldini e il team Maserati, ndr) nonostante le numerose collisioni subite, specialmente nel Pacifico. E stiamo modificando l’architettura dei foil e dei timoni per proteggerli meglio dagli impatti.

Probabilmente alla prossima Volvo Ocean Race ci saranno anche degli Imoca 60 Open con foil. Come cambierà una barca nata per essere condotta da un solitario quando diventerà uno scafo per la conduzione in equipaggio?
Aumenteranno sicuramente i parametri di stabilità e i sistemi di controllo delle appendici. Non c’è dubbio ci saranno delle alette con effetto di sollevamento sui timoni. L’equipaggio sarà ben protetto dal mare e passerà non poco tempo a regolare le appendici.

Il rendering della nuova barca per la prossima Coppa America del 2021, un monoscafo dotato di foil zavorrati e senza bulbo

Parlando di America’s Cup, avete contribuito a sviluppare le regole di classe del nuovo AC 75. Quali saranno i punti cruciali che faranno la differenza nei diversi progetti?
In Nuova Zelanda avevo incontrato Howard Spencer, un cliente che mi chiese di disegnare una barca monoscafo non convenzionale per navigare nella baia di Auckland. Con Ray Davis (tattico di Emirates Team New Zealand, ndr) avevamo in mente un progetto preliminare. Poi Ray mi ha detto: Guillaume devi togliere la chiglia, c’è qualcosa di troppo in acqua. Alla fine gli dissi che probabilmente avremmo potuto provare a fare come con il monoscafo con doppie chiglie inclinabili di Martin Defline. Quindi ho inserito il piombo nei foil ed erano una volta e mezza più efficienti dei foil abbinati a una chiglia basculante. L’idea è stata presentata in occasione della creazione della regola di stazza dell’AC75 che è stata poi sviluppata da tutto il team. Saranno cruciali la randa che non sarà rigida ma che, grazie a speciali sistemi avrà un certo spessore, la forma dello scafo e i foil. La regola di stazza della nuova barca è abbastanza aperta.

Ad Auckland, nel 2021, per la prima volta, vedremo un’America’s Cup con monoscafi con foil. Ci sarà ancora il circling pre-partenza o sarà impossibile?
Avremo circling e duello stretto!

Se si potranno applicare i foil alle imbarcazioni “normali”, vedremo una barca da crociera firmata Verdier?
Non so se desiderare i foil nella crociera. Ma non sai mai.

Ultima domanda. Progettare, costruire e varare la prima barca è emozionante. Cosa ricorda della prima volta?
Il mio grande ricordo è l’arrivo della Transat Jacques Vabre del 2008, a Salvador de Baja, in Brasile. Marc Guillemot e Charles Caudrelier su Safran 1 fecero una grande gara e Giovanni Soldini con Pietro D’Alì vinse nei Class 40.

Emilio Martinelli

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Leatherman Story: come una Fiat 600 scassata ispirò il coltello dei velisti

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leathermanSe “l’uomo di terra” ha il coltellino svizzero, il velista ha “il Leatherman”. Il nome del prodotto americano è diventato sinonimo dell’attrezzo multifunzione che non può mancare nelle tasche dei velisti.

Tim Leatherman con la sua Fiat 600 “da incubo”

UN VIAGGIO DA INCUBO
Sapete come venne l’idea a Tim Leatherman? Nel 1975, con la moglie, intraprese un lungo viaggio (dall’Europa fino a Teheran) con una Fiat 600 del 1969 che lo lasciava continuamente in panne. Diventò pazzo, ogni volta, a fermarsi nelle piazzole di sosta e con il suo coltello da boyscout per procedere con le riparazioni.

Visto che il budget dei Leatherman era ridotto, la coppia si fermava spesso a dormire in delle vere e proprie topaie. Immaginate in est europa negli anni ’70! E anche lì, rubinetti che gocciolavano, tubature che esplodevano: il coltellino non bastava.

LA NASCITA DI UN MITO
Tim capì che era necessario aggiungere un paio di pinze al coltello. Tornato in Oregon, si chiuse in un garage: prima partì dalla carta, poi dal legno, prima di arrivare al metallo, come vi mostriamo in questa gallery qua sotto, tratta da gizmodo.com. La moglie lavorò duro per mantenere la famiglia nel frattempo…



Cinque anni dopo, brevettò il suo primo coltello multifunzione. Paradossalmente, impiegò anni a trovare un compratore che commercializzasse la sua idea: i produttori di coltelli dicevano “è un attrezzo, non ci interessa”, i produttori di attrezzi per la casa dicevano “è un gadget, non ci interessa”. Nel 1983 Tim riuscì a convincere un vecchio compagno di college e insieme crearono la Leatherman Tools.

Dai 2.000 ordini iniziali, l’anno successivo già erano 30.000. Nel 1993 il numero di “Pocket Survival Tool” prodotti, il classico “Leatherman” era di un milione. Oggi l’azienda fattura 100 milioni di dollari con i suoi coltelli. Tutto “per colpa” di una Fiat 600 scassata.

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Coyote, arriva il film che celebra la vita di Mike Plant

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Non tutti si ricordano di Mike Plant. Mike (1950-1992) era un grande velista solitario che partecipò a regate come il BOC Challenge e il Vendée Globe: espertissimo, aveva oltre 100 mila miglia sul groppone, e aveva pure circumnavigato il globo in 135 giorni in solitario senza scalo (nessun navigatore americano aveva fatto meglio di lui).


Forse per via di quel suo essere così “americano”, con gli occhi azzurri e i capelli biondo castani, che lo facevano assomigliare a un divo di Hollywood più che a un rude marinaio, nell’Europa velica “filofrancese” fu sottovalutato.


Nel 1992, alla vigilia del suo quarto (sic!) giro del mondo in solitario (all’epoca solo in cinque lo avevano compiuto tre volte)
, Mike era partito da New York con il suo Open 60 Coyote in direzione Les Sables-d’Olonne, luogo di partenza del Vendée. A un certo punto si persero i contatti, di Mike nessuna traccia. La barca, scuffiata e senza bulbo, venne ritrovata 32 giorni dopo. Plant aveva 42 anni.

UN FILM PER CELEBRARE MIKE PLANT
Adesso un docufilm celebra la sua vita di uomo di mare, si chiama Coyote: The Mike Plant Story. Coyote, come la barca su cui trovò la morte. La pellicola è stata realizzata dal nipote di Plant, Thomas Simmons.

Chi ha visto il film, lo ha definito eccellente. Come eccellenti sono state le recensioni della critica sui più importanti quotidiani americani (e i colleghi di Sailing Anarchy lo hanno definito “miglior film di vela di sempre”): sarà distribuito nelle sale statunitensi a partire da questa settimana. Speriamo che arrivi anche sul mercato italiano, noi lo guarderemo in lingua originale e vi faremo sapere!

GUARDA IL TRAILER

A questo link trovate il sito ufficiale del docufilm dove è possibile acquistarlo in preorder su Vimeo (a 8,41 dollari, poco più di 7 euro): www.coyotedocumentary.com

 

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Quando barca e sogno coincidono: vi portiamo a bordo del Southern Wind 96. FOTO

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Mettete insieme un armatore ambizioso e dalle possibilità importanti, con due degli studi di design navale più importanti al mondo (Farr e Nauta Design), uniteli con un cantiere di indiscussa eccellenza come Southern Wind, il risultato sarà quello che vi mostriamo in queste pagine, il SW 96 Seatius, secondo modello della miniserie di 96′ ideata dal cantiere e personalizzata sulle esigenze dell’armatore. In questo caso il committente cercava una barca dalle alte prformance, ma che fosse capace di girare il mondo in totale comfort.

Era quindi obbligatorio disegnare una carena potente ma versatile, un piano velico equilibrato capace di esprimersi sia nelle brezze ma restare facile da gestire nel vento forte, senza dimenticare un’attenzione meticolosa ai pesi per quanto concerne la costruzione. Una barca che deve trovare un equilibrio tra performance e sicurezza e comodità è un mix difficilissimo da realizzare, una vera sfida per i progettisti soprattutto quando le dimensioni sono decisamente XXL come in questo caso.

Siamo stati a bordo del Southern Wind 96 Seatius in occasione del Salone di Cannes e siamo rimasti decisamente stupiti da tanti particolari. Anche se si tratta di una barca di quasi 30 metri, l’attenzione ai pesi è stata curata come su un One Off da regata. Ovunque possibile si è cercato il risparmio di qualche chilo, a partire per esempio dai candelieri in titanio o dalla scelta del teak sintetico per il ponte.

Dentro spazio a un design misurato e senza eccessi. La scelta dell’armatore è stata quella di affidare parte del design interno allo stesso architetto che ha concepito la propria abitazione, così da avere una totale continuità tra spazio domestico e barca.




Importante anche il contributo del made in Italy, oltre a Nauta Design che ha concepito la coperta e i layout interni, grande contributo da parte di Cariboni che si è occupata dei sistemi idraulici, incluso quello cruciale della lifting keel. 

Lunghezza f.t. 31,41 mt

Lunghezza gall. 26,80 mt

Larghezza 6,95 mt

Immersione 3,4-5,5 mt

Dislocamento 58.500 kg

www.sws-yachts.com

 

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Jean-Jacques Savin, ovvero come attraversare l’Oceano a 72 anni… in un barile di legno

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savin
Con che cosa, al giorno d’oggi, non si è ancora attraversato l’Oceano?
C’è chi lo ha fatto con microbarche, come lo svedese Sven Yrvind, chi con auto piene di polistirolo, come i fratelli Amoretti, chi senza equipaggio, con una barchetta della Lego. Ma provarci chiusi all’interno di un barile di legno di dieci metri cubi, sperando soltanto nelle correnti e nella spinta degli alisei, è da fuoriclasse (o da fuori di testa?).

fonte immagine: bateaux.com

Controllate pure la data, non è il primo di aprile. E’ tutto vero. Il Diogene moderno si chiama Jean-Jacques Savin, ha 72 anni ed è francese. Si tratta di un cosiddetto “pensionato dinamico”: è un ex atleta di Triathlon di livello, ha servito da paracadutista nei militari ed è stato pilota d’aereo. Il congedo non lo ha bloccato dato che per festeggiare i suoi 70 anni ha scalato il Monte Bianco, e adesso tenta l’impresa della vita (partirò dalle Canarie a gennaio del 2019, destinazione… da qualche parte nei Caraibi).

L’Atlantico in un barile alto un massimo di 2,10 metri e largo 1,70, che può portare 300 kg di peso (Savin compreso): per quanto riguarda l’opera viva, il barile avrà due pinne stabilizzatrici e anche una deriva in modo tale da non farlo rotolare sulla superficie marina. Nella parte superiore, un boccaporto a cupola simile a quello dei sottomarini, mentre il barile è dotato di numerosi oblò che consentiranno a Savin di guardarsi attorno.

fonte immagine: bateaux.com

Nel suo barile, Jean-Jacques Savin porterà oltre alle provviste due anfore da dieci litri di vino, per vedere come l’alcol invecchia in mare, e un laboratorio di psicologia seguirà anche il suo comportamento.

L’arzillo vecchietto ha detto di volersi ispirare ad Alain Bombard, il biologo francese che nel 1952 si lanciò nella traversata atlantica con un gommone Zodiac a vela di 4 metri e mezzo, l’Hérétique, senza provviste. Voleva dimostrare che i naufraghi muoiono per cause psicologiche e non per mancanza di cibo e acqua. Ci riuscì, sbarcando alle Barbados (da Tangeri), dopo 65 giorni alla deriva, durante i quali si cibò di plancton e bevve acqua di mare, calcolata per non rischiare di morire. E speriamo ci riesca anche Savin, senza farsi male: ma soprattutto, senza scomodare i soccorsi…

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“Così ci siamo trovati nel cuore della tempesta (e ci siamo salvati la pelle)”

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Fabio Portesan e la sua famiglia (la moglie Marina, due figli piccoli, i due gatti), i velisti giramondo che hanno deciso di mollare tutto per vivere a bordo della loro Gentilina, Beneteau Oceanis 430 (QUI LA LORO STORIA), se la sono vista brutta in Grecia. Ecco come hanno affrontato una tempesta improvvisa con 70 nodi di vento e travolgente bomba d’acqua .

Fabio Portesan prima della tempesta

CAVALCARE LA TEMPESTA

“Partiamo da Kithnos l’8 settembre 2018. Una bellissima navigazione fino dopo Capo Sounion, mare piatto e no vento. Salutiamo il Tempio dedicato a Poseidone, costruito, si dice, proprio nel luogo in cui Egeo si gettò in acqua dando così il suo nome al Mare, il mare Egeo.

Tutto bene, il vento comincia a rinforzare e finalmente tiriamo su tutto, Genoa e Randa. Sui 20 nodi Gentilina taglia il mare come una lama, le vele sono tese e viaggiamo a circa 8-8,5 nodi. Wow, ma…

…ecco che sopra Egina vediamo una brutta nuvola nera che arriva dal Peloponneso. Noi ci stiamo dirigendo proprio la, direzione Moni, per fermarci a vedere i cervi e i pavoni allo stato brado. Non mi faccio intimorire, e, controllando, direzione vento, meteo e satellite decido di puntare dritto verso la nostra destinazione.

La nuvola sopra Egira

Abbiamo quasi terminato il corridoio del Pireo facendo lo slalom tra navi di grossa stazza quando proprio davanti a noi cominciano i fulmini.

Ecco, i fulmini in barca fanno paura.. senza farla troppo lunga la maniera migliore di “non” prendere un fulmine è continuare a navigare. L’acqua è più interessante del nostro albero e, nel 99% dei casi, saremo al sicuro spostandoci.

Nel frattempo la nuvola è diventato un mostro nero. Guardo Marina ed insieme decidiamo di puntare verso Salamina, dato che la nuvolaccia si sta dirigendo verso le Cicladi. Tutto bene fino a che la tempesta in arrivo decide di girare, e, indovinate un pò che direzione prende? Esatto, la nostra.

Poco male, di botte ne abbiamo già prese anche oltre i 40 nodi a piene vele. Ti si stringe un pò il culo quando la barca si butta verso il mare ma dura qualche secondo e poi, piano piano si torna in posizione.

Riduciamo le vele, prima il fiocco e poi la randa. Accendo il motore. Giubbottini per i bimbi e gatti sottocoperta. Mentre stiamo scherzando arriva il vento.

Arriva il vento.. e la prima raffica è oltre i 45 nodi al traverso e Gentilina, quasi a secco di vele, si inclina e vediamo la testa d’albero a due metri sopra l’acqua. Ci rendiamo conto in quel momento che sarà un’esperienza tosta. Con un grido riesco a far virare la barca nella direzione del vento e cominciamo a cavalcare la tempesta, come cantavano i Doors.

Gentilina vola a 12,5 sulle onde che ci spingono com cavalli furiosi. Non so spiegare ma in una situazione del genere i sensi sono sovraeccitati dal mare, dal vento, dal rumore assordante, dalla luce e tu sei lì. Il passato ed il futuro si annullano, esiste solo quel momento. Nella mia mente mi sono stupito di non provare paura. Il colore predominante è il viola. Pare di essere nel cavo di un fulmine.

Il mio lavoro è solo tenere la barca dritta in favore della tempesta. Marina si è comportata come la regina della barca. Si è occupata prima dei ragazzi, li ha portati in camera nostra e li ha rassicurati. Esce dal tambucio e corre alla randa, il lazy bag si è strappato e ha liberato una fazzoletto di randa. Mentre è lì che tenta di chiudere il lazy, una scotta del Genoa cede (..appena cambiato tutte le cime..), un angolo si srotola e comincia a sventagliare sempre più forte fino a che anche l’altra scotta cede e libera completamente la vela oltre la prua. Per questo piccolo inconveniente la barca corre come un fulmine!

Marina deve correre in pozzetto a rollare dal winch del 40 per tentare di rollare la vela di nuovo.

Dopo mezz’ora di cavalcata io e Marina, gridando per sentirci, concordiamo di virare di 180 gradi e risalire la tempesta. Questo perchè abbiamo percorso più di sei miglia, ancora un pò ed atterriamo ad Atene. L’ultima volta che ho visto la velocità del vento era 47 nodi di poppa, più la nostra di 12,5 quindi circa 60 nodi. Poi è aumentato e la pioggia ha cominciato a battere forte sulla schiena e su tutto il resto. Per dare un’idea dal tambucio ha piovuto fino sopra i letti dei bimbi a prua.

Il pericolo più grande è rappresentato dalle mega navi in transito. Il plotter viene colpito dalla pioggia talmente forte che fa quello che vuole lui, la visibilità non va oltre la nostra prua e quindi spero che le navi ci vedano sul loro radar.

Ok, si vira. Con uno sforzo enorme giro il timone e, gridando, porto piano piano la prua al vento sfruttando il cavo di un’onda. Risaliamo la tempesta fino ad esserne finalmente fuori.

Gentilina dopo la tempesta

Il tutto è durato poco meno di un’ora ma per noi sono passati solo due minuti, non di più. Leilani e Valerio escono dalla camera una volta che tutto finisce annunciando che “Abbiamo fame..”.

Ormeggiamo ad Agios Marina, Aegina, e facciamo la conta dei danni, lazy bag, genoa strappato, etc..Abbiamo preso vento classificato forza 12, il vento di un uragano, circa 130 chilometri orari. Pioggia fortissima. Ma fortunatamente le onde non hanno fatto tempo ad alzarsi oltre i due metri e questo in qualche modo ci ha aiutato, e non poco.

Gentilina ha dimostrato di essere una barca a tutta prova, io e Marina di essere un equipaggio unito, ed i bimbi di essere veri marinai che hanno dato piena fiducia a capitano e primo ufficiale..

L’esperienza che abbiamo fatto è stata agghiacciante ma assieme meravigliosa, un evento primitivo che ha smosso per un attimo qualcosa di sopito e addormentato da lungo tempo dentro di noi.

Non vi sto augurando che vi capiti una situazione simile o forse si, perchè in un certo qual modo la consapevolezza dei propri limiti si palesa in tutta la sua concretezza, e la paura di non essere all’altezza rimpicciolisce fino a rincantucciarsi in un angolino lasciando in verità un sapore dolce per aver stupito se stessi..

QUI IL LINK AL BLOG DEI PORTESAN

l’immagine di copertina è puramente indicativa e non si riferisce ai fatti raccontati nel testo

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Cinque frecce azzurre per le Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires

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Gli azzurri in aeroporto prima della partenza per l’Argentina

Sono cinque le frecce dell’arco azzurro nella vela alle Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires 2018, in programma dal 6 al 18 ottobre. Atleti di alto profilo che lasciano ben sperare per la spedizione azzurra nelle acque sudamericane di San Isidro, celebri per il loro colore nocciola a causa della vicina foce del Lujàn. Giorgia Speciale sarà in regata nel Techno 293 femminile, Nicolò Renna nella stessa categoria maschile, nel Nacra 15 sarà la coppia mista formata da Andrea Spagnolli e Giulia Fava a difendere i colori azzurri, completa il nostro quintetto di atleti la fortissima kiteboarder Sofia Tomasoni.

GIORGIA SPECIALE

Vero fenomeno della vela azzurra. Ha conquistato quest’anno l’europeo giovanile in RS:X, il mondiale e l’europeo Techno 293, il bronzo al mondiali ISAF giovanili in RS:X. Vera forza della natura, classe 2000 da Ancora, è una delle speranza di medaglia più concrete in Argentina.

NICOLO’ RENNA

Nel 2018 ha conquistato il bronzo al mondiale giovanile RS:X, argento ai mondiali ISAF giovanili in Texas, in più si è laureato campione europeo e mondiale nella classe Techno 203. Gardesano, appena diciottenne, va in Argentina per puntare al massimo.

SOFIA TOMASONI

La kiter più promettente in Italia, una delle più forti al mondo. Nel 2018 ha vinto il titolo continentale e quello mondiale nella disciplina del Twin Tip Racing, ad appena 16 anni la giovane bolognese è una grande rivelazione e punta decisa a una medaglia.

SPAGNOLLI-FAVA

Sono uno degli astri nascenti del catamarano Nacra, regatano ancora sul 15 in attesa di passare al 17 e quest’anno hanno centrato l’argento al mondiale ISAF avendo avuto poco tempo per regatare insieme. Giulia Fava ha già ottenuto importanti risultati internazionali nella classe 420.

 

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VMG? Non basta! Quattro “modi di navigare” per fregare gli avversari

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vmgLa ricerca della perfetta VMG (Velocity Made Good, ovvero la proiezione della velocità sull’asse del vento indicata sugli strumenti di bordo: per ottimizzarla dovrete conoscere alla perfezione i diagrammi polari della vostra barca), non basta per tagliare la linea d’arrivo prima di tutti in regata. Non dovete dimenticare mai che state correndo contro altre barche. E le scelte tattiche e strategiche degli avversari condizioneranno necessariamente le vostre. Qui arriviamo al nocciolo della questione, come variare la vostra andatura sulla base del contesto. Il più classico degli esempi: subito dopo la partenza, sottovento a voi si trova un gruppo di barche, e voi dovete “steccare” per evitare di scadere e finire nei rifiuti. Oppure il vostro tattico vede un cambio di direzione del vento o di intensità: se volete essere i primi ad entrarci magari dovrete poggiare (di bolina) oppure orzare (alle portanti).

Prendiamo spunto da un’utile schematizzazione realizzata da Andy Horton e Dave Powlison sulla rivista Sailing World. I due individuano quattro modalità di navigazione in regata, a seconda di esigenze tattiche:

– Di bolina, poggiati e più veloci
– Di bolina, orzati e più lenti
– Alle portanti, orzati e più veloci
– Alle portanti, poggiati e più lenti

La differenza, espressa in gradi, di queste andature, differisce di 3-5° rispetto alla VMG per quanto riguarda le “lente” (sia di bolina che alle portanti) e fino a 10° per le “veloci”. L’errore comune, ovviamente, è passare da una modalità all’altra semplicemente orzando o poggiando.

1. DI BOLINA, POGGIATI E PIU’ VELOCI
Situazione tipo, con vento medio: vi trovate di bolina sottovento alle altre barche, mure a dritta, state seguendo la rotta tenendo conto della vostra VMG. Viaggiate come loro, né più, né meno. Se virate dovrete dare la precedenza a tutti, un suicidio. Decidete di “fuggire” poggiando, in modo tale da riuscire, in futuro, a passare davanti all’incrocio una volta effettuata la virata.

Per aumentare la velocità dovrete si poggiare, ma capire anche come gestire al meglio l’angolo di sbandamento: più vi allontanate dal vento, la potenza del piano velico aumenterà incrementando l’inclinazione. Quest’ultima farà sì che la barca tenda all’orza e dovrete correggerla con un maggiore angolo della pala del timone. Non siamo sulla strada giusta, l’attrito vi rallenterà non poco. Quindi, dovrete cercare di ridurre lo sbandamento, perlomeno rendendolo pari a quello di quando navigavate seguendo la VMG. In primis, se ancora non lo avete fatto, fate spostare l’equipaggio sopravvento e “fuori tutti alle draglie!”: questo vi consentirà di poggiare un paio di gradi senza inclinarvi di più. Se non basta, iniziate a smagrire le vele.

Cazzate il paterazzo per appiattire il fiocco e aprire la balumina della randa, questo funzionerà per i primi gradi al di sotto della VMG. Il passo successivo è mollare il carrello della randa: attenzione, potreste anche lascare il fiocco, ma arrivereste a un punto in cui la vela diventa troppo panciuta e crea un attrito maggiore. Se avete la possibilità di regolare il carrello del fiocco in 3D, spostare il punto di scotta verso l’esterno vi aiuterà. Ricordatevi che mentre poggiate e lascate il carrello randa, dovrete stare attenti che la balumina di randa e fiocco siano parallele tra loro lascando anche il carrello fiocco.

Quando tutto quello che abbiamo detto non funziona e vi ritroverete a soffrire sbandati? Quando, ad esempio, ci sono 15 nodi d’aria e avete armato (erroneamente) un genoa ad alta sovrapposizione, se avete uno scafo stretto oppure dotato di un basso momento raddrizzante. Capirete se la modalità “Poggiati e più veloci” funziona osservando la barca sopravvento a voi: quando nonostante abbiate poggiato non scadrete e guadagnerete velocità, starete facendo le cose nel modo giusto. Se invece sarete voi a scadere, vuol dire che avete oltrepassato o non raggiunto il punto in cui vi conviene poggiare: posto che stiate portando la barca al meglio, probabilmente, in quel frangente, dovrete cambiare strategia e riportarvi sulla VMG oppure, come vediamo qua sotto… “steccare”.

IN BREVE, PER STARE PIU’ POGGIATI RISPETTO ALLA ROTTA DELLA VMG
-spostare il peso dell’equipaggio sopravento
-smagrire randa e fiocco (tesare paterazzo, eventualmente base)
-lascare carrello randa e scotta randa
-lascare carrello fiocco e scotta fiocco (ma attenzione al canale randa-fiocco)

2. DI BOLINA, ORZATI E PIU’ LENTI
Situazione tipo: dopo la partenza, siete sopravento rispetto a una barca: non volete scadere sulla sua poppa ed essere costretti a virare. Quella di navigare di bolina con angoli più stretti rispetto alla VMG (leggi: “steccati”) è una tecnica che, in situazioni circostanziate e per brevi periodi, che difficilmente arrivano al minuto (post-partenza, in lay line vicini alla boa), può dare delle soddisfazioni. Se guardate i diagrammi polari, per il 99,99% delle barche la VMG letteralmente tracolla quando stringete troppo il vento. Se randa e fiocco fanno il palloncino, comincerete, prestissimo, a scadere e per voi saranno dolori.

In questa modalità, in condizioni di vento leggero o medio, è fondamentale ricercare qualche grado in più di inclinazione e cazzare quasi a ferro la randa portando il carrello sopravento. Lo stesso vale per il fiocco ma in misura minore: se impedite al vento di fluire lungo il canale randa-fiocco, siete fregati e il sistema andrà in “stallo”. Se i filetti della balumina sulla randa, quando state navigando sulla VMG, rimarranno “afflosciati” per il 50% del tempo, qui saremo sull’80%. La randa cazzata crea una maggiore forza laterale sullo scafo e meno avanzamento, ma con un’inclinazione maggiore della barca (spostate l’equipaggio sottovento) contrasterete lo scarroccio laterale. Bilanciando bene questi fattori, riuscirete a “steccare” senza scadere sulla poppa degli avversari, oppure riuscire a salire in prua a qualcuno che, sopravento rispetto a voi, non sta portando la barca al massimo o è appena uscito da una virata…

IN BREVE
-aumentare lo sbandamento
-cazzare maggiormente randa
-portare carrello randa sopravento
-cazzare fiocco ma in misura minore rispetto alla randa

3. ALLE PORTANTI, ORZATI E PIU’ VELOCI
Situazione tipo: state navigando in poppa, vento medio leggero, mure a dritta. Il vostro tattico vede un aumento di pressione del vento a ore 13: è il caso di orzare un pelo per essere i primi a entrare nella zona di maggior pressione. Alle portanti, in caso di modalità “orzati e più veloci” l’obiettivo, come già visto per la bolina veloce, è quello di minimizzare carichi e attriti sul timone. Per iniziare, spostate l’equipaggio verso poppa, e… fuori i pesi!

Vi aiuterà a mantenere più pala del timone in acqua, creare una forma dello scafo immerso più performante e migliorare il momento raddrizzante. Se questo non è sufficiente, lascate un pelo di randa: per i primi due gradi al di sopra della VMG, basterà lascare randa, orzando di più dovrete intervenire mollando scotta randa e vang progressivamente. Idealmente, dovreste cercare di rendere paralleli la balumina della randa e quella dello spinnaker. Se la randa comincerà a fare il palloncino sulla caduta prodiera, starete orzando troppo. La vostra VMG sarà orribile.

IN BREVE
-spostare i pesi verso poppa
-spostare i pesi sopravento
-lascare eventualmente un po’ di randa e vang

4. ALLE PORTANTI, POGGIATI E PIU’ LENTI
Situazione tipo: siete vicini alla boa di poppa, mure a dritta. Avete deciso che, nonostante siate leggermente sopra la layline, una doppia strambata vi costerebbe di più rispetto a un’andatura strapoggiata. In questa modalità, il parametro chiave è la pressione sulle vele. Il trimmer dovrà essere bravo a dare al timoniere un costante feedback sulla pressione. Una volta che questa viene a mancare, le perdite in termini di passo sono disastrose. Ridurre l’attrito di superficie dello scafo è altrettanto importante, quindi spostate i pesi verso prua e cercate di mantenere la barca leggermente inclinata sottovento: quando si sceglie di navigare lenti, l’attrito di superficie è più importante di quello di chiglia e timone. In altre parole: se navigate piatti, state lasciando l’impronta più grande possibile in acqua.

IN BREVE
-costante comunicazione trimmer/timoniere
-ridurre attrito di superficie inclinando la barca sottovento
-spostare i pesi verso prua

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Mirabaud Yacht Racing Image of the Year: sostenete i fotografi “nostrani”!

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mirabaud
Anche quest’anno, al Mirabaud Yacht Racing Image of the Year, il più importante concorso fotografico di vela, sono tanti i fotografi italiani selezionati tra gli 80 finalisti che sono ancora in corsa per il premio del pubblico
(per quanto riguarda il premio della giuria, la selezione dei 20 “top” è già stata effettuata, la trovate QUI). Ecco chi sono e con quali scatti sono stati selezionati. Votateli, ricordando che potete assegnare un “like” a tutti loro!


Tra gli italiani in gara, c’è il nostro collaboratore Mauro Giuffrè, con la sua adrenalinica foto “rubata” sul campo di regata del Campionato Italiano Classi Olimpiche di Genova. Protagonisti della spettacolare cuffia gli specialisti del Nacra 17 Ugolini/Giubilei. POTETE VOTARLA QUI


Alessandro Spiga
è entrato tra gli 80 finalisti grazie all’immagine “surreale” ottenuta con un tempo di esposizione e una apertura del fuoco ‘inusuale’. Ritrae il J-Class Velsheda alla Rolex Maxi Yacht Regatta di Porto Cervo. POTETE VOTARLA QUI


La foto di Max Ranchi selezionata ritrae l’armatore timoniere Guido Miani e il suo compagno d’equipaggio Martino Tortarolo in azione alle M32 Series di Valencia. POTETE VOTARLA QUI


Alexander Panzeri
è riuscito a riunire in uno scatto l’anima più antica e più moderna, hi-tech della vela: alla partenza della Giraglia 2018, il 15 m. S.I. Mariska è sottovento ai velocissimi Maxi 72. POTETE VOTARLO QUI


Mauro Melandri
ha fissato per sempre in una foto il momento di gioia condivisa tra Alberto Rossi e la figlia Claudia, dopo la vittoria di Enfant Terrible-Adria Ferries agli Europei di Vigo. Claudia, su Petit Terrible, è arrivata sesta. POTETE VOTARLA QUI


Il sorriso di Franziska Maege mentre sta volando sul suo Moth al Campionato Europeo in Svezia. Passione, adrenalina, felicità. Brava la fotografa Martina Orsini. POTETE VOTARLA QUI

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Spada laser di Guerre Stellari? No, è il primo VHF gonfiabile della storia

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“Sembra la spada laser di Star Wars”, ha scherzato qualcuno in redazione. In realtà si tratta di un’antenna VHF d’emergenza… gonfiabile. Prodotta da Shakespeare Marine, si chiama Galaxy INFL8, e si gonfia fino a 1,6 metri di altezza. Così l’antenna di 3dB, dicono i produttori, ha una “portata fino a tre volte maggiore di qualsiasi antenna di emergenza elicoidale esistente”.

I colori accesi e strisce riflettenti integrate ne consentono la visualizzazione giorno e notte. L’antenna è montata con cinghie a strappo e gancio per consentire un’installazione facile e veloce in qualsiasi condizione atmosferica, e grazie al suo design e alla valvola manuale può essere sgonfiata e riposta in modo sicuro fino (può essere stivata in uno spazio largo 25 cm!) a quando non è necessario.

L’antenna viene inoltre fornita con un connettore per giunzione su misura, che consente una connessione rapida ed efficiente con i cavi radio esistenti, migliorando ulteriormente la portata della trasmissione (altra novità).

Potrete toccare con mano questa novità al METS di Amsterdam. Cosa ne pensate? http://shakespeare-ce.com/marine/

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I geni volanti del Nacra 17: a tu per tu con Ruggero Tita e Caterina Banti

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Foto Martina Orsini

Il loro peggiore risultato stagionale è stato il secondo posto nella tappa di Coppa del Mondo di Enoshima, li dove si disputeranno le olimpiadi di Tokyo 2020. E bastava osservare la faccia di Ruggero Tita nelle interviste post regata per capire quanto non vincere e chiudere così la stagione in maniera impeccabile gli bruciasse. Più compassata e sorridente Caterina Banti, ma con il medesimo spirito battagliero del suo timoniere. Da anni la vela italiana stava aspettando un equipaggio di un livello così siderale. Ruggero Tita e Caterina Banti sul Nacra 17 foil in questo 2018 hanno letteralmente fatto a pezzi la concorrenza: campioni europei, campioni del mondo, vincitori di tutte le tappe di Coppa del Mondo a cui hanno partecipato a parte quella giapponese dove hanno chiuso con un più terrestre secondo posto. Proprio in questi giorni la notizia della loro nomination per il Rolex World Sailor of the Year, una sorta di pallone d’oro della vela. Inutile dire che il pensiero va alle olimpiadi e a quella medaglia nella vela che sfugge da tanto, troppo tempo. Li abbiamo contattati per un’intervista e per farci raccontare un bilancio della loro stagione.

Partiamo dall’ultima scena, le vostre facce dopo il secondo posto a Enoshima, che sapore aveva?

Ruggero: sul momento ci è sembrata una sconfitta, eravamo in testa e abbiamo perso la posizione durante la meda race pur facendo una bellissima regata. Complimenti agli australiani che sono stati perfetti. In quel momento bruciava molto ma abbiamo metabolizzato perché guardandoci indietro la stagione è stata bellissima, questo secondo posto sarà una grande motivazione per le regate che arriveranno.

Caterina: questi episodi vanno presi con filosofia ed è importante capire quello che è successo, poi va detto appunto che gli australiani sono veramente forti. Bruciava moltissimo, ma va bene così, l’importante è capire e imparare.

Foto Martina Orsini

Come spiegate in questo momento la vostra supremazia? Qual è il segreto “indicibile”?

Ruggero: la verità è che non ci sono segreti, ma piuttosto una lunga serie di dettagli che sommati fanno davvero tanto. Abbiamo lavorato in maniera capillare sulla barca, lavorando per avere le appendici più veloci possibili, abbiamo ottimizzato l’attrezzatura di coperta per ridurre il più possibile il windage, abbiamo lavorato tantissimo sulla parte atletica, per esempio anche se facciamo tre prove in una giornata riusciamo a essere freschi e in una classe come il Nacra fa la differenza.

Caterina: chiaramente se scopriamo qualcosa di nuovo siamo molto accorti nel mostrarlo, l’importante è arrivare per primi su certe cose ma poi bisogna anche saperle mettere in pratica. Il vero segreto è stato il lavoro in allenamento e l’attenzione maniacale ai dettagli. Poi un punto importante del nostro equipaggio è la fiducia reciproca, la volontà di remare insieme verso lo stesso obiettivo. Siamo diversi, con pregi e difetti, ma ci completiamo molto e questo è importante. E siamo entrambi piuttosto razionali nella gestione della pressione.

Ruggero qual è la vostra giornata tipo?

Sveglia presto, alle 7,30 siamo già in palestra, intorno alle 10 al club per preparare la barca per la giornata. in media si sta in acqua dalle due ore e mezza alle tre ore e mezza, al rientro si sistema tutto quello che abbiamo rotto, poi cena e subito a letto.

Cosa siete disposti a sacrificare per arrivare a quella medaglia?

Ruggero: la vita di un velista che sogna le olimpiadi è piena di rinunce. Sacrifici enormi per prepararsi bene, il che significa potere vedere poco la famiglia, la propria ragazza, trascurare magari gli studi (Ruggero Tita studia Ingegneria Informatica ndr), ma tutto questo la fai per un obiettivo enorme e diventa quindi una motivazione.

Caterina: sacrifichiamo tutto, è una vita che ti prende a 360 gradi, proprio in tutto. Dobbiamo essere sempre in forma perfetta, quindi l’alimentazione, il sonno, tutto deve essere programmato e gestito. Dedichi la tua vita 24h su 24h a quest’obiettivo, devi essere pronto a fare sacrifici di qualsiasi tipo. Le persone che ci stanno accanto ci danno un grande supporto, la famiglia, i tecnici, il nostro coach, il loro ruolo è fondamentale.

Ruggero raccontaci qual è il tuo posto preferito dove allenarti

Ruggero: potrà sembrare strano, ma mi è rimasto in mento il lago di Caldonazzo (Trentino ndr) dove abbiamo fatto una settimana di allenamenti pazzesca. In inverno siamo stati a Cagliari che è un posto fantastico ma quasi sempre hai vento da terra quindi con poca onda, per questo Ganga (l’allenatore Gabriele Bruni ndr) stava pensando a Trapani per il prossimo inverno.

Caterina raccontaci com’è il vostro rapporto con il coach Gabriele Bruni

Caterina: mi ricordo che la prima cosa che ci ha detto Ganga è che la squadra è importante. Allenarsi con Vittorio e Maelle, con Rufo e gli altri ragazzi del giro della nazionale (Vittorio Bissaro, Maelle Frascari, Lorenzo Bressani detto Rufo ndr) per noi è fondamentale ed è molto importante. Il rapporto che abbiamo con Ganga in questo senso è di totale fiducia, sappiamo quanto vale e che regalante di livello è.

Ruggero, possiamo affiancare al tuo nome quello di Luna Rossa?

Posso dire che qualcosa c’è, ma ci tengo a dire che entrare o meno nel team di Luna Rossa non andrà a influire sulla campagna olimpica, anzi può essere solo uno stimolo e un aiuto in più.

Cos’è per Caterina Marianna Banti la vela

Per me la vela è semplicemente tutto. Per mia indole la vedo molto da un punto di vista agonistico, ovvero professionale, perché è questo che faccio nella vita. Ma per me la vela è tutto, non a caso mi capita di andare anche in vacaza in barca a vela.

Ruggero e Caterina

Ruggero Tita è nato il 20 marzo 1992 a Rogoredo. Dall’età di 12 anni conquista in Optimist il titolo italiano, svizzero ed europeo. Successivamente regata in classe 29er e in breve passa al 49er. Con la stessa imbarcazione, rappresenta l’Italia ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro del 2016. Dopo le Olimpiadi decide di mettersi in gioco sul Nacra 17. Studia Ingegnerie Informatica. Caterina Marianna Banti, da Roma, nata il 13 giugno 1987, Comincia a praticare agonismo sui catamarani sportivi nel ruolo di prodiera. Nel 2013 decide di cimentarsi nella campagna olimpica verso Rio 2016 in Nacra 17. Inizia l’avventura con Tita solo nel 2017. Ha conseguito la laurea magistrale in Studi Islamici.

Mauro Giuffrè

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Questa barca prenderà il posto del Laser alle Olimpiadi?

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Questa barca la conoscete: si chiama RS Aero ed è prodotta da quello che, dati alla mano, è il più grande produttore di derive al mondo, RS Sailing. Sarà lei a prendere il posto del Laser, la deriva più diffusa al mondo, a partire dalle Olimpiadi di Parigi 2024?

COSA E’ ACCADUTO
Che cosa è successo? Alcuni produttori di barche hanno intrapreso un’azione contro i monopoli nella vela sportiva. Azione che è arrivata agli uffici antitrust della Comunità Europea. In effetti, classi come Laser, Nacra 17, 49er ed RS:X sono in mano a singoli produttori e questo va contro ai principi di libero mercato.

Il melges 14

Così World Sailing (la Federvela internazionale) sta organizzando delle selezioni per capire se la mitica deriva progettata da Brice Kirby e Ian Bruce nel 1969 potrà essere sostituita come classe singolo maschile e femminile (Radial) alle Olimpiadi. Tra i candidati l’RS Aero, appunto, che ha riscosso molto successo tra i giovani nel mondo, e i meno diffusi ma più “sportivi” D-Zero di Devoti Sailing e Melges 14. Ai “trial”, però, potrà partecipare anche il Laser stesso.

Il D-Zero

DUE POSSIBILI SCENARI
Cosa potrà succedere? Ipotesi 1: effettivamente una di queste derive prenderà il posto del Laser, causando una vera e propria rivoluzione nella vela mondiale. Andrà da sé che RS, Melges o Devoti dovranno aprire la produzione ad altri cantieri per gli scafi e le componenti per evitare il monopolio, magari accordandosi sui diritti da farsi versare (le cosiddette “royalty”) in quanto detentori del brand.

Ipotesi 2: la ILCA, l’associazione internazionale Classe Laser, accetterà di aprire la produzione a diversi cantieri e il problema monopolio sarà risolto, senza “sconvolgere” la filiera della vela internazionale.

Molto dipenderà dai criteri sui quali si baseranno i “trial”, ma World Sailing è stata chiara: la possibilità dell’apertura a nuovi produttori sarà un parametro determinante per capire su che barca saranno assegnate le medaglie di singolo maschile e femminile a Parigi.

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Tutte le FOTO più belle da Les Voiles de Saint Tropez

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L’estate è finita ma non in Costa Azzurra, non a Saint Tropez, dove si respira ancora un’aria tiepida, sia pur già rinfrescata da un proverbiale colpo di Mistral, che ha accolto gli equipaggi de Les Voiles de Saint Tropez, in programma fino al 7 ottobre. Per chi non conosce quest’evento, anche se è quasi impossibile non averne sentito parlare, basti pensare che si tratta di una delle regate più “cool” al mondo. Nelle stesse acque in cui si disputa la mitica Rolex Giraglia, con una formula simile per quanto riguarda i percorsi (ovvero grandi triangoli costieri), ma con una flotta che rappresenta la quinta essenza della bellezza di ciò che ha prodotto la storia del design navale. A parte la classica flotta IRC, in acqua abbiamo infatti i super maxi, le più belle barche d’epoca ad oggi naviganti, i tecnologici Wally, i sempreverdi J Class. Un concentrato di bellezza difficile da ritrovare in qualsiasi altro evento velico.

Nutrita solitamente la rappresentanza italiana, che anche quest’anno sta partecipando a Les Voiles de Saint Tropez. A tal proposito dopo i primi giorni di regata, uno saltato per Mistral troppo forte, si segnala in IRC A il secondo posto provvisorio del maxi 72 Cannonball di Dario Ferrari, e il primo posto momentaneo dell’X-35 Foxy Lady di Giuseppe Gambaro.

LE FOTO DI GILLES MARTIN-RAGET

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FOTO Albero spezzato e affondato! Che paura per l’equipaggio del Fulmar a Saint Tropez!

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fulmarOk, il mistral soffiava forte, come spesso accade in questo periodo dell’anno nel golfo di Saint Tropez. Ma l’equipaggio dell’8 metri Stazza Internazionale Fulmar, uno dei partecipanti a Les Voiles de Saint Tropez, non si sarebbe certo aspettato che l’albero si troncasse di netto, affondando con tutte le vele. I due scatti di Gilles Martin Raget hanno documentato l’accaduto e ora stanno facendo il giro del web.


CHE BARCA E’ IL FULMAR

Fulmar, varata con il nome di Oonah, è un 8 Metri S.I. (Stazza Internazionale), classe di imbarcazioni costruite nel mondo in circa 450 unità. Tra il 1934 e il 1936, sotto la proprietà dei fratelli Robert e John Aspin, ha dominato le regate degli 8 Metri S.I. sul Clyde, in Scozia. Nel 1953 è stata acquistata da un membro del Royal Vancouver Yacht Club.

Anche in Canada conquistò ottimi piazzamenti in regata. Rimasta fuori dall’acqua per tutti gli anni Ottanta, nel 1991 è stata rivenduta a due velisti monegaschi e trasferita via cargo e camion presso Fairlie Restorations, il cantiere inglese di Hamble, vicino a Southampton, specializzato nel recupero degli scafi costruiti da Fife. Nel 2008 la barca ha subìto un nuovo restauro presso il cantiere Gilbert Pasqui di Villefranche-sur-Mer, in Francia. L’anno successivo ha partecipato al Portofino Rolex Trophy.

I NUMERI DI FULMAR
Anno 1930
Cantiere William Fife & Son (Fairlie – Scotland)
Progetto William Fife III (Fairlie – Scotland)
Lunghezza f.t. 14,64 m
Lung. al galleggiamento 9,14 m
Larghezza 2,63 m
Pescaggio 1,95 m
Dislocamento  7,9 tons
Superficie velica  76 m2

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Vele di prua avvolgibili, senza cavo antitorsione: ecco come ci è riuscita OneSails

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OneSails presenta IFS (Integrated Furling System), la nuova tecnologia per realizzare vele di prua avvolgibili prive di cavo antitorsione, grazie all’impiego delle tecnologie a filo continuo da sempre sviluppate da OneSails.

COME FUNZIONANO
Ed è proprio grazie a queste tecnologie che è possibile implementare direttamente nell’inferitura della vela avvolgibile un reticolo di fibre strutturali a filo continuo non rendendo più necessario l’utilizzo del cavo antitorsione. I vantaggi di questa tecnologia sono apprezzabili sia dal punto di vista della forma e della prestazioni della vela sia per quanto riguarda la sua maneggevolezza in issata ed ammainata.

Grazie ad una tensione di drizza inferiore del 30-35% rispetto ad una vela con cavo antitorsione, è possibile semplificare anche l’attrezzatura non rendendo necessaria l’adozione di una drizza demoltiplicata e riducendo sensibilmente il carico strutturale su bompresso o definiera, tutto a vantaggio della sicurezza.

SEMPLICI DA USARE
IFS è un sistema che OneSails applica a diversi tipi di vela dal Code 0 fino al Gennaker in Nylon. Oltre alla performance derivate dal profilo senza compromessi, tutte le vele con IFS risultano facili da usare, maneggevoli e sicure, perché esenti dalle incognite derivanti dal cavo antitorsione.

OTTO CONSIGLI PER UTILIZZARLE                                                                                        

  • Per avvolgere e svolgere la vela non è necessaria molta tensione nella drizza, giusto il minimo per renderla quasi rettilinea.
  • Avvolgere con il vento in poppa cercando di limitare il vento apparente.
  • Non lascare completamente la scotta ma di frizionarla.
  • Avvolgere la vela sempre dalla stessa parte. L’avvolgimento della parte alta risulterà migliore e più sicuro.
  • Prima di issare la vela avvolta, controllare che l’avvolgimento della parte alta sia corretto. Nell’ammainata e nello stivaggio si potrebbero perdere alcuni giri.
  • Quando la vela è aperta, regolare la tensione della drizza per ottenere la forma desiderata (più lasca per andature larghe, più cazzata per andature strette).
  • La vela non necessita di molta tensione di drizza ne per l’avvolgimento ne per la navigazione, nonostante ciò la struttura integrata (IFS™) è in grado di sopportare carichi importanti. Prestare quindi attenzione a non cazzare troppo la drizza per non danneggiare le attrezzature.
  • Non lasciare la vela issata quando avvolta in condizioni di vento apparente superiori ai 12 nodi.

LE CARATTERISTICHE IN 12 PUNTI

  • Nessun compromesso sul profilo aerodinamico.
  • Struttura integrata nella vela
  • che permette l’avvolgimento senza la necessità di cavi antitorsione.
  • Minor tensione della drizza
  • di circa il 65% rispetto ad una vela con cavo antitorsione.
  • Inferitura proiettata in avanti
  • che consente di navigare con angoli più larghi rispetto ad una vela con cavo antitorsione.
  • Semplice da manovrare
  • La vela avvolta, priva del cavo antitorsione, risulta leggera e maneggevole e si piega facilmente su se stessa.
  • Balumina con profilo stabile anche se stazzato come gennaker in base a regolamenti ORC e IRC.
  • Minor peso della vela grazie all’assenza del cavo antitorsione.
  • Finiture e accessori dedicati al sistema.

www.onesails.com/international/technology/ifs/integrated-furling-system

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PROVATE. Dufour 390 e 430, l’evoluzione della specie. FOTO

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Foto Giuffrè/Giornale della Vela

Il Salone Nautico di Genova era finito da pochi giorni e avevamo una breve finestra temporale per provare insieme i due nuovi Dufour, il 390 e il 430, prima che le barche salpassero alla volta di Barcellona. La location era una di quelle che ci piace di più, ovvero il Golfo dei Poeti, e nonostante le previsioni meteo non fossero delle migliori abbiamo raggiunto le barche a La Spezia. Giornata grigia dai tratti autunnali, con rischio di temporali e colpi di vento.

I due nuovi Dufour ci aspettavano in banchina, due barche che esteticamente si collocano a pieno nella gamma del cantiere francese ma presentano alcuni particolari del tutto nuovi rispetto ai precedenti modelli.

Dufour 430

Foto Giuffrè/Giornale della Vela

La pioggia cade battente nel Golfo, uno scampolo di vento da nord sembra ancora tenere e allora entriamo nella baia delle Grazie per sfruttarlo al meglio e per avere uno scenario di livello per scattare alcune foto. La prima sensazione che si ha conducendo il nuovo Dufour 430 è di trovarsi su una barca più piccola tanta è la facilità di gestione. La barca è del tutto docile, con un layout di manovre perfettamente studiato per essere pulito, semplice ed efficace. I due winch a ridosso del timoniere fanno il grosso del lavoro, quelli sulla tuga lo completano. Osservando la barca navigare dall’esterno, mentre scattiamo le foto, possiamo notare come i volumi anteriori siano decisamente consistenti. Un particolare che può consentire alla barca di essere un po’ più asciutta quando l’onda sale, navigare in sicurezza quando ha vento forte in poppa, e avere una buona volumetria interna soprattutto per quanto riguarda la cabina di prua.

Dufour 390

Foto Giuffrè/Giornale della Vela

Le condizioni sembrano promettere un repentino peggioramento, un groppo minaccioso si muove all’orizzonte e dobbiamo affrettare il passo. Il Dufour 390 presenta caratteristiche estetiche e funzionali del tutto simili alla sorella maggiore, del resto non per caso fanno parte della medesima famiglia Grand Large.

Foto Giuffrè/Giornale della Vela

Lo scafo del 390 fa parte di una generazione di carene completamente nuove concepite dallo studio Felci per la casa francese. I volumi interni sono aumentati grazie alla larghezza pronunciata, la carena piatta garantisce una notevole stabilità di forma grazie anche ai volumi di poppa caratterizzati da uno spigolo pronunciato che si va gradualmente addolcendo verso prua. A vela le sensazioni sono le medesime che sul 430, grande manovrabilità, un piano velico veramente adatto a tutti che concede anche gli errori dei meno esperti, un’organizzazione delle manovre pensata per navigare con la famiglia.

LA PROVA COMPLETA DEI DUFOUR 430 E 390 SUI PROSSIMI NUMERI DEL GIORNALE DELLA VELA EDIZIONE CARTACEA 

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TENDENZE E se noleggiassi la barca a lungo termine?

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La barca noleggiata a lungo o lunghissimo termine, proprio come sempre più persone fanno con le automobili. Eresia? Mica tanto, se ci pensate un attimo. Se è innegabile che spesso sussista un forte rapporto tra l’armatore con la propria barca, un amore a volte “irrazionale” e quindi senza prezzo, è anche vero che, come tutti i beni materiali, un’imbarcazione prima o poi invecchia, necessita di costante (e cara) manutenzione, cala di valore.

Tenendo conto di una spesa accessoria non da poco (posto barca e ormeggi), il noleggio a lungo termine porterebbe un grosso vantaggio: quello di poter “godere solo il bello della barca, ossia la navigazione, le vacanze, le regate, senza tutte le incombenze tecniche, economiche e burocratiche”, come ha fatto notare il giornalista David Ingiosi sul blog di Magellanostore, che ci ha spinto a indagare un po’ di più su quella che è già qualcosa di più di una tendenza. Ci sono già alcune società di charter, italiane e non, che propongono già il noleggio a lungo termine (alcune le trovate in calce all’articolo: ancora grazie al buon Ingiosi).

Una formula ideale per chi ha voglia di mollare tutto e partire per lunghe navigazioni, ma non ha tempo di preparare la barca nei minimi dettagli: non sorprende che vada già forte ai Caraibi, dove si incontrano famiglie di professionisti che hanno deciso di concedersi un anno sabbatico all’insegna della vela. I prezzi? Per sei mesi, abbiamo trovato proposte dai 10 ai 20.000 euro (per un 40 piedi), a seconda dei modelli di barca. All’aumentare della durata del noleggio, i costi si riducono per cui su base annuale il risparmio è maggiore.

Noleggiando a lungo termine, poi, potrete avere l’opzione del riscatto: se decidete a fine noleggio di acquistare la barca su cui avete navigato così a lungo, potrete comprarla pagando la differenza tra il prezzo di vendita, pattuito ad inizio noleggio, e quanto già pagato per la locazione. Cosa ne pensate?

UN FENOMENO IN CRESCITA
Ecco alcune delle società di charter che propongono la formula di noleggio a lungo termine (dal mese in su):

www.progettoceano.com
www.zenasail.it
www.hi-performanceitalia.com
www.skippertech.it
http://noleggiobarchechioggia.it
www.longtermcharters.com
www.moonlightsailing.com
www.catamaran-polynesie.com
www.moorings.com
https://www.a2a-yachting.net/

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Quelle situazioni che… ti rendono un velista frustrato

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frustrazioneRegatanti, crocieristi, navigatori. Le situazioni frustranti, in mare, sono dietro l’angolo. Eccone quindici, ma siamo certi che potrete arricchire la lista con tanti vostri “che frustrazione”… Contribuite con un bel commento!

CHE FRUSTRAZIONE…

… quando speri di ormeggiare alla prima perché hai a bordo tanta gente e ci tieni a fare bella figura, ma entra all’improvviso una raffica di venti nodi dalla tua sinistra e ti traversi brutalmente mentre i saputelli da banchina ti ridono in faccia.

… quando il wc di bordo si intasa dopo che il tuo intestino ha fatto i capricci. E non sei sulla tua barca, ma su quella di conoscenti alla lontana.

… quando hai fatto la regata perfetta, che neanche Torben Grael, ma in compensato scopri di essere arrivato quarto.

… quando speri di andare bene alla regata del Panzerotto con il tuo Jeanneau Sangria del ’77, ma sulla linea trovi schierati cinque RC 44, due TP52 e sei Maxi.

… quando per tutta la durata della crociera (tre settimane) hai il vento sul muso. Stai andando verso sud-est e hai lo scirocco. Frustrato vai a nord: tramontana.

… quando speri di passarci mure a sinistra ma non ci passi perché ti dà scarso.

… quando hai le lenze in acqua. Senti il rumore di un motoscafo che sfreccia verso di te, e calcoli che con le eliche ti trancerà i fili. Tu ti sbracci, ma niente. Lui ti passa sopra e zac! Tu smoccoli e gesticoli infuriato. E chi sta al timone del motoscafo… saluta.

… quando sei in layline perfetta, mure a dritta e ti dà scarso all’ultimo: devi virare e sei costretto a passare sulla poppa di 120 barche che hanno avuto la fortuna di essere pochi metri sopravvento rispetto a te.

… quando il vento cala vicinissimo alla boa e la corrente ti ci porta contro.

… quando uno scafavango degli anni ’70 con vele marce in dacron ti sfila sottovento e tu hai il gioco in laminato di carbonio, il tacktick e i guantoni da vela.

… quando giri la prima boa in testa, per l’emozione vai subito in poppa dimenticandoti della boa di disimpegno.

… quando giri la boa primo, con una manovra da manuale issi lo spi. Ma dalla bugna.

… quando in bolina tenti il bordo della vita: la flotta a destra, tu a sinistra. E a metà bordo, mentre sei ancora mure a dritta, cominci a orzare…

… quando sei sicuro di aver dato fondo sulla sabbia. Ma l’ancora non viene su…

… quando risali gli scalini del quadrato e appena il tuo busto esce… “Già che sei lì…”

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TENDENZE In windsurf? Da oggi ci vai sdraiato: ecco la “follia” di una start-up italiana

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Da oggi in windsurf potrete andarci… sdraiati.
Avete capito bene. L’idea (che sarà presentata al Sun di Rimini dal 10 al 12 ottobre) è della start-up Flo’Sail, che si è inventata la tavola a vela multifunzione gonfiabile… a conduzione coricata.

COME FUNZIONA?
L’armo (brevettato con il nome di “vela vincolata”) è costituito da una vela inferita in un albero realizzato in composito (carbonio) che è direttamente inserito nella coperta della tavola; il taglio e la foggia della vela è studiata per passare sopra al corpo del conduttore (trimmer) che è coricato sulla tavola.

La soluzione adottata ha il vantaggio di non far abbassare il conduttore (trimmer) per il passaggio della vela, in quanto la conduzione è coricata (sdraiata, supina); ciò è possibile perché l’albero è vincolato su sé stesso, libero di girare nel bicchiere che funziona da scassa, in questo modo l’albero non si abbatte in acqua come nei windsurf. Il Trimmer nelle manovre (virata e strambata) si aiuterà con le mani o i piedi come se fossero dei timoni.

Si tratta di un armo velico, mai visto prima su una tavola, la cui conduzione viene effettuata da sdraiati, apparentemente sembra una posizione innaturale perché abituati alla posizione in piedi, però dopo un po’ di confidenza, assicurano quello di Flo’Sail, “si comprenderanno subito i vantaggi”.

MULTITASKING
La tavola consente di fare su un’unica tavola più attività sportive: vela vincolata, windsup, kayak, snorkeling, spiaggetta Sub, tavola salvataggio, adaptive disabili, tavola da relax. Flo’Sail è dotato di due “anse lunate” una innovazione molto originale che accresce la performance idrodinamica della tavola e di uno schienale (cislonga) che permette nuovi gesti tecnico sportivi.

Perplessi? Quelli di Flo’Sail saranno lieti di soddisfare tutte le vostre domande. Andateli a trovare a Rimini oppure mandate una mail a info@flosail.com

www.flosail.com

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VIDEO La Rolex Middle Sea Race si avvicina: la superintervista multipla al team di Bora Fast

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La 50esima edizione della Rolex Middle Sea Race si avvicina (20 ottobre) e noi ci siamo divertiti a scherzare con l’equipaggio del Sun Fast 3600 Bora Fast
: il team messo in piedi dall’armatore Piercarlo Antonelli conta su nomi grossi, come Ambrogio Beccaria, il fenomeno del momento in fatto di vela oceanica, o come Giovanni Bonzio, supervelista plurititolato sui Contender. A tutto l’equipaggio che si prepara alle 606 miglia di regata (con partenza da Malta, giro in senso antiorario della Sicilia e ritorno a Malta passando per Stromboli, Favignanana, Pantelleria e Lampedusa) abbiamo posto una serie di domande: professione, la barca su cui hanno fatto le prime esperienze, ruolo a bordo, come si arrabbiano con il prodiere, se hanno mai vinto su un Mini 6.50, Come ci si comporta a un incrocio, l’obiettivo di Bora Fast alla Middle. Ecco cosa ne è venuto fuori!

UN PO’ DI DOMANDE A…

PIERCARLO ANTONELLI

AMBROGIO BECCARIA

GIOVANNI BONZIO

FEDERICO BOCCASINI

GIANLUCA FOLLONI

EDOARDO IMPERIQUE

Bora Fast, il Sun Fast 3600 di Piercarlo Antonelli, ci ha appassionato lo scorso anno alla Rolex Middle Sea Race della burrasca; una edizione molto dura che ha visto poche barche tagliare la linea d’arrivo. Bora Fast ha condotto una regata importante sempre nelle posizioni di testa. La classifica finale l’ha vista 4° assoluta e 3° di classe in ORC e 9° assoluta e 3° di classe in IRC; ha, tra l’altro, avuto l’onore di essere stata la prima barca italiana classificata.

QUI LA PRIMA PUNTATA DI “BORA FAST VERSO LA MIDDLE”

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