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Tag Heuer VELAFestival, ma quante barche! Ci sarà anche il colosso Dufour

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Il Dufour 460

Portano la firma di Umberto Felci e ormai vanno considerati come una garanzia per il mondo della crociera. Stiamo parlando dei Dufour, che saranno tra gli indiscussi protagonisti del prossimo Tag Heuer VELAFestiva, a Santa Margherita Ligure dal 3 al 6 maggio. Confermata anche la Dufour Cup all’interno della VELACup.

Dall’entry level 310 all’ammiraglia Exclusive 63, i Dufour rappresentano, soprattutto con gli ultimi modelli lanciati sul mercato, il mondo della crociera di qualità e di grande serie. Barche dalle buone performance medie, con buone rifiniture interne e caratterizzate da soluzioni pratiche molto intelligenti e utili per il crocerista, soprattutto per gli interni.

Come vi abbiamo raccontato con il nostro test del Dufour 520 GL (leggilo QUI), il colosso francese sta cercando di rendere sempre più evolute le sue barche con una serie di migliorie che possono sembrare solo dei dettagli ma in realtà sono decisive per migliorare in maniera netta la qualità della barca, come avrete modo di apprezzare anche sul nuovo 360. Dalla scelta dei legni alla modularità di alcuni elementi interni, fino ad arrivare a un’attrezzatura di coperta ben dimensionata e di qualità.

E in ultimo, ma non certo per importanza, la grande novità in casa Dufour è il lancio del primo catamarano della sua storia, il Dufour Cat 48 (LEGGI QUI). Anche questo disegnato da Umberto Felci, rappresenta la versione sul versante multiscafi della filosofia del cantiere.

LA GAMMA DUFOUR (IVA esclusa versione base)

Dufour 310 GL 92.040

360 GL 104.117

382 GL 138.644

36 Performance 140.586

412 GL 169.315

460 GL 231.150

520 GL 293.625

56 Exclusive 416.008

63 Exclusive 895.000

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IRC vs ORC: chi fa le barche più belle? Super sfida tra l’NMD 43 e l’Aquatich 40

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Nelle regate a rating, ad alti livelli, non si vince mai per caso. Il risultato è un mix di fattori dove conta senza dubbio la bravura e la tecnica dell’equipaggio ma tutto parte dal progetto della barca, studiato su un regolamento o su un determinato tipo di regate.

Prendiamo come esempio due barche di ultimissima generazione e di recente varo, entrambe costruite con materiali ad alta tecnologia dal cantiere sloveno Oceantec. Uno è un progetto IRC, l’ NMD 43, progettato da Nivelt-Muratet Design. L’altro un progetto ORC, l’Aquatich 40, disegnato da Rob Humphreys.

NMD 43

Acquatich 40

I progetti IRC spesso sono pensati per partecipare alle grandi classiche regate offshore che si corrono tutte con questo regolamento. Fastnet, Middle Sea Race, Sydney to Hobart, RORC 600, regate dove spesso la differenza la possono fare i lunghi bordi alle andature portanti. Ed ecco che infatti l’NMD 43 presenta tutte quelle caratteristiche tipiche della barche IRC che corrono forte al lasco: doppio timone, baglio massimo arretrato che prosegue fino a poppa, chiglia a L per non penalizzare le velocità al lasco con una T rovesciata, spigoli a poppa, tuga leggermente pronunciata per proteggere il pozzetto dall’acqua quando la barca vola ad alta velocità sotto asimmetrico.

NMD 43

Aquatich 40

Tutti elementi che sono generalmente piuttosto penalizzanti con il rating ORC: un regolamento che non premia particolarmente, anzi le danneggia, in termini di rating le barche larghe, con doppio timone e spigoli. Ed ecco che arriviamo infatti al disegno di Rob Humphreys, l’Aquatich 40. Qui gli spigoli a poppa spariscono, il baglio massimo è decisamente più contenuto, i volumi della carena decisamente morbidi e rotondi, la chiglia a T rovesciata. Il disegno della tuga è morbido e vasso sulla coperta, la pala del timone rigorosamente singola.

Scheda tecnica NMD 43

Lunghezza: 13.07 m

Lunghezza al galleggiamento: 11.50 m

Baglio massimo: 4.15 m

Immersione: 2.60 m

Superficie velica di bolina: 105 m²

Dislocamento: 6.500 kg

Scheda tecnica Aquatich 40

Lunghezza 12.20 m

Lunghezza al gall. 11.00 m

Baglio max 3.80 m

Immersione 2.55 m

Dislocamento 5920 kg

Zavorra 3300 kg

Superfice velica di bolina: 97

www.oceantec.eu

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Vestirsi a strati? Come farlo al meglio ve lo spiega Fonmar al VELAFestival

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Come vi abbiamo racconto in questo articolo, la migliore tecnica per vestirsi in barca è quella degli “strati”: è meglio sovrapporre diversi strati di indumenti piuttosto che ricercare abbigliamento “pesante” che limita la libertà di movimento (pericoloso) e che spesso non protegge dal freddo. Generalmente, gli strati sono tre, e per ognuno di essi i capi devono avere delle caratteristiche ben precise.

Ma ci stiamo dilungando troppo. Tutti i segreti per vestirvi al meglio in barca e vivere la vostra passione 365 giorni l’anno potete scoprirli al TAG Heuer VELAFestival: vi basterà farvi un giro allo stand di Fonmar, che commercializza il brand Sea Storm. Vi anticipiamo soltanto alcuni capi (e il relativo strato di riferimento) tra i tanti che potrete provare a Santa Margherita. Senza dimenticare che avrete a disposizione un vero e proprio “bazar” all’aperto, con tutti i migliori capi tra giacche, stivali, guanti, accessori, giubbotti salvagente e molto altro…

1° STRATO – CALZAMAGLIA ARCTIC LIGHT
Calzamaglia con flap anteriore, realizzata con tessuto light Polytech in fibra cava, tutte le cuciture sono rigorosamente piatte anti abrasione, elastico in vita. SCOPRI DI PIU’

2° STRATO – BOSTON SOFT SHELL ARTIC GILET
Gilè termico, traspirante ed impermeabile, due tasche laterali con cernierere impermeabile, cerniera anteriore impermeabile con flap di protezione interna, collo sagomato, bordature inLycra. SCOPRI DI PIU’

3° STRATO – NEW CHALLENGE JACKET
La linea di cerate New Challenge è traspirante e realizzata con il tessuto Seatech e garantisce durante le condizioni di tempo brutto ottima traspirabilità, impermeabilità e di conseguenza comfort. SCOPRI DI PIU’

CALZATURE – STIVALI PRO RACER
Stivale con tomaia in pelle ingrassata, su tutta la parte anteriore e posteriore fino alla caviglia, parte superiore realizzata in pelle martellata per dare il massimo della morbidezza e di conseguenza massimo confort durante l’utilizzo, fodera interna in Sympatex cucita e termonastrata per rendere lo stivale completamente traspirante ed impermeabile, suola in gomma antiscivolo con il nuovo disegno/tecnologia Drainage System, ideale per l’utilizzo tecnico invernale, e, per il tempo libero. SCOPRI DI PIU’

GUANTI – COASTAL GLOVE
Guanto con taglio preformato ergonomico, massima protezione sulle dita, rinforzi nei punti di maggiore usura con materiali antiscivolo per fornire il massimo grip in tutte le condizioni e su tutti i materiali, regolazione in velcro al polso. SCOPRI DI PIU’

 

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Come si chiama la mia barca con la nuova legge?

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Il nuovo Codice della Nautica (leggilo QUI) ha rivisto la classificazione delle imbarcazioni da diporto. Per non sbagliare, ecco come la nuova legge definisce le barche. Con una polemica, perché le barche sono storiche solo sopra i 24 metri? Tutti le chiamiamo genericamente “barca” ma secondo la legge italiana esiste una nuova classificazione precisa per ogni tipo di barca da diporto. Il nuovo Codice della Nautica, il regolamento che a fine febbraio e’ diventato operativo, anche se mancano ancora i decreti attuativi (maledetta burocrazia!), ha infatti rivisto le categorie con cui devono essere denominate le barche.

State attenti quindi a definire la vostra barca. Sembra tutto semplice, ma in realta’ esistono delle belle differenze che influenzano quale tipo di patente, quale assicurazione e i costi di gestione. Con un’attenzione da da tenere ben presente, non e’ la lunghezza fuoritutto o quella dello scafo a determinare le classificazioni, ma un misura unificata europea che il costruttore vi deve fornire. Un’ultima annotazione: non capiamo perché il legislatore classifica come barche storiche (dal 1967) solo quelle sopra i 24 metri e non anche quelle di lunghezza scafo inferiore. Una svista o una discriminazione? Se volete sapere qual’e’ la definizione esatta con cui la legislazione italiana classifica le barche adibite al diporto, ecco qual’è la nuova classificazione:

LA DEFINIZIONE GENERALE CHE RAGGRUPPA OGNI BARCA DA DIPORTO E’ QUESTA:

– UNITÀ DA DIPORTO È ogni imbarcazione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto

SE LA BARCA SUPERA I 24 METRI DI LUNGHEZZA SCAFO SI CHIAMA IN TRE MODI:

– NAVE DA DIPORTO MAGGIORE è’ un’ imbarcazione con lunghezza scafo superiore a 24 metri e di stazza superiore alle 500 “gross tonnage” ovvero a 600 tonnellate di stazza lorda

– NAVE DA DIPORTO MINORE è’ un’ imbarcazione con lunghezza scafo superiore a 24 metri ma che ha una stazza fino a 500 “gross tonnage” ovvero a 600 tonnellate di stazza lorda

SE LA BARCA SOPRA I 24 METRI DI LUNGHEZZA MA E’ COSTRUITA PRIMA DEL 1967 VIENE DEFINITA:

– NAVE DA DIPORTO MINORE STORICA è’ un’ imbarcazione con lunghezza scafo superiore a 24 metri con stazza fino a 120 “gross tonnage” ovvero 100 tonnellate di stazza lorda, costruita prima del 1° gennaio 1967

SE LA BARCA È LUNGA DA 10 A 24 METRI SI CLASSIFICA COME:

– IMBARCAZIONE DA DIPORTO è’ un’ imbarcazione con lunghezza scafo compresa tra 10 e 24 metri

SE LA BARCA È LUNGA SINO A 10 METRI SI CHIAMA:

– NATANTE DA DIPORTO è’ un’ imbarcazione con lunghezza scafo pari o inferiore a 10 metri. Vi ricordiamo che le barche sotto i 10 metri non sono immatricolate e non necessitano di patente se il motore è inferiore ai 40 cv di potenza. ATTENZIONE! LA MISURAZIONE VERA DELLA LUNGHEZZA SCAFO AI FINI DELLA CLASSIFICAZIONE deve essere misurata secondo la norma armonizzata UNI/EN/ISO/8666.In parole povere il cantiere costruttore dell’imbarcazione fornisce questa misurazione nei documenti, così come i dati relativi alla stazza per le barche sopra i 24 metri.

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Al VELAFestival si respira aria d’Oceano: arrivano anche i Pogo

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Il Pogo 12.50 durante la nostra prova. Foto James Robinson Taylor

Come definire i Pogo? Sicuramente sono delle barche per lunghe navigazioni, anche e soprattutto oceaniche, certamente sono delle barche sportive, anche da regata, per chi sa adattarsi e vuole navigare a vela ad alte velocità sono anche delle barche da crociera. E senza dubbio le troverete al Tag Heuer VELAFestival 2018, a Santa Margherita dal 3 al 6 maggio. 

Quando abbiamo provato una delle ultime nate, il Pogo 12.50 (LEGGI QUI IL NOSTRO TEST), l’abbiamo definita come “una barca con cui potere fare l’Oceano in modalità cruise ma vivendo le sensazioni di un vero open capace di regalare, in totale sicurezza, velocità costantemente a due cifre non appena le condizioni si fanno toste”. Barche con un baglio massimo pronunciato e molto arretrato, con uno spigolo fino a metà nave, capaci di esprimere il meglio alle andature portanti sotto i grandi gennaker. Hanno le caratteristiche di un Class 40, ma con maggiore facilità di gestione e con interni perfettamente sfruttabili in crociera.

E allora a Santa Margherita Ligure porteremo anche un po’ di Oceano e invitiamo tutti gli amanti di questa filosofia di barche a venirci a trovare e a parlare con gli esperti Pogo per scoprire le caratteristiche di questi “bolidi” da crociera oceanica.

LA GAMMA POGO (PREZZI IN EURO IVA ESCLUSA)

Pogo 3 44.820

Pogo 30 90.333

Pogo 36 133.000

Pogo 40 S3 250.000

Pogo 12.50 211.249

Pogo 50 524.821

www.pogostructures.com

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La pesca in crociera? Proviamo lo spinning! I trucchi per procurarsi la cena

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Dopo la prima puntata dedicata alla traina, eccoci giunti alla seconda, nella quale esploreremo un’altra tecnica di pesca che può darci soddisfazioni e rappresenta un valido passatempo durante le nostre crociere.

Lo spinning

Si tratta di una tecnica d’azione, che prevede una grande partecipazione da parte del pescatore. Consiste nel lanciare e recuperare velocemente, a piccoli scatti, un’esca artificiale, e ripetere l’operazione durante tutta la battuta di pesca. Possiamo praticare questa tecnica a barca ferma, quando siamo ormeggiati in una baia tranquilla, o durante una passeggiata con il nostro tender lungo una scogliera. Ove consentito la si può praticare anche in porto quando ci fermiamo per la notte. Per esempio se siamo costretti a restare fermi in porto per il maltempo potremo passeggiare lungo le scogliere con la nostra canna da pesca provando qualche lancio, alla ricerca di predatori in caccia.

Cosa serve

Una canna di circa 2,2-2,5 metri con un’azione non inferiore a 10-40 grammi, un mulinello a bobina fissa di misura non inferiore ai 2000, girelle a moschettone e semplici, del buon nylon, una batteria di artificiali, sia siliconici che i classici minnow di varie dimensioni. E’ bene dotarsi di varie sfumature cromatiche per le esche, spesso è una particolare che può fare la differenza. Da non dimenticare l’utilissimo guadino, in caso di abboccata, se ci troviamo su una scogliera o anche in barca, sarà indispensabile per potere avvicinare la nostra preda. 

Il costo minimo per un’attrezzatura simile si aggirerà intorno ai 100 euro, variando in base alla qualità dell’attrezzatura.

Il momento giusto

Un grosso esemplare di branzino catturato a spinning con una piccola esca artificiale “minnow”

Se il nostro ancoraggio è in una baia sufficientemente tranquilla non sarà raro nel periodo dalla primavera alla tarda estate vedere “bollate” in superficie, è il segnale che qualcosa sta cacciando. Occhiate, ricciole, pesci serra, lecce stella o lecce amia, spigole, barracuda, aguglie, sugarelli, le potenziali prede dello spinino sono quasi sconfinate e abbracciano moltissime specie. Il periodo migliore per tentare la sorte è l’alba o il tramonto, ma anche le ore immediatamente successive al cala sole possono essere molto proficue.  I minnow sono particolarmente indicati per le ricciole, le spigole, i barracuda, le lecce, mentre le esche siliconiche possono abbracciare tutte le altre specie, ma in generale questi sono schemi che a volte i pesci tenderanno a rompere, andando fuori dai classici canoni. 

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La barca dei miei sogni… con meno di 40.000 euro

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barcaHo avuto sempre barche veloci, da regata, “tirate”, come si dice. Ma non mi appartenevano: erano loro a possedermi, con i loro rating, i loro materiali tecnologici, le tappe forzate, l’ansia di stare davanti. Diciamo che non ho mai navigato veramente, ho sempre corso. A un certo punto, complice lo scorrere del tempo, ho sentito il bisogno di una barca che fosse a mia disposizione, come ultimamente la sognavo: la barca della mia vita. Ma la barca del sogno doveva avere un’anima, una storia, un passato che comunque non doveva passare. Scelta difficile, con un budget basso (40.000 euro) e con un’esperienza non esaustiva.

Lucio Ruocco, 66 anni, architetto genovese, autore del racconto che leggete in queste pagine, con Giovanni Bruzzo (disegnatore di fumetti per la Bonelli, autore dell’illustrazione in apertura) e Andrea Barabino, ha realizzato il sogno di regalarsi la barca della vita. Non una qualsiasi, ma una barca che ha segnato un’epoca…

Ho cominciato la mia ricerca ma nulla mi soddisfaceva e stavo per mollare. L’estate scorsa, al largo di Ventotene, mentre navigavo con amici, impegnato dalla brezza tesa, mi sfila sottovento la barca che avevo in testa, ricorrente nel sogno. Un vecchio Grand Soleil 39, capolavoro di Alain Jezequel: avanzamento poderoso e leggero, scia delicata, linee armoniose: una piccola regina delle onde.
“è lei! E’ questa la barca che voglio”, mi sono detto.

LA (DIFFICILE) RICERCA SUL CAMPO
Comincia la ricerca sul campo: a fine agosto seleziono alcuni Grand Soleil 39 ormeggiati nel Golfo della Spezia. La prima visita è a Lerici. Salgo a bordo: quanto sono belle le sue linee, quanto è raffinato e proporzionato il disegno degli interni… ma colgo subito un’impercettibile mancanza di feeling tra barca e armatore; la sento non amata, trascurata. Non mi convince: passo!

La settimana successiva, compio un altro sopralluogo a Le Grazie. Più guardo il GS 39 più me ne innamoro: lo slancio delle linee d’acqua e della prua, la tuga sfuggente, il baglio arretrato sul limite necessario, nessun dettaglio esasperato. Questa barca ha fatto charter, lo denunciano soprattutto gli interni: solchi profondi sui paioli e nell’arredo. La strumentazione è ridotta all’osso e l’attrezzatura di coperta è logora. Non sono convinto e nonostante il prezzo molto conveniente decido di soprassedere. L’impressione è di… sfruttamento.

Rimangono due contatti da valutare: in Sicilia c’è una barca plurivincitrice nelle regate locali, dotata di albero maggiorato, set di vele da regata, bulbo in piombo e modificata a puntino per risparmiare peso. L’altro GS 39 è ormeggiato nel porto-canale di Fiumicino, dalle foto pubblicate sul web pare essere in buone condizioni. Certo, la barca in Sicilia mi solletica, è attrezzatissima, le foto sono allettanti… ma siamo da capo: basta con le ottimizzazioni, voglio una barca “dolce”, tranquilla, con rollafiocco, lazybag, bimini…

Da sinistra: Lucio Ruocco, Andrea Barabino, Giovanni Bruzzo posano davanti allo scafo di Mirit a Fiumicino

E’ LEI LA BARCA DELLA VITA!
Intanto si aggregano all’avventura altri due giovani amici, Giovanni e Andrea. In tre soci la scelta sembrerebbe potersi complicare, invece appena arriviamo a Fiumicino vediamo la barca acquattata sul fiume Tevere, che già crede di essere Tirreno e basta uno sguardo tra noi per capire che questa potrebbe essere la barca giusta. Mirit è un Grand Soleil 39 del 1985, coperta in teak e attrezzatura da crociera. Dispone di tutti i comfort desiderati, piccole modifiche senza inficiare l’armonia complessiva dell’imbarcazione. Ma soprattutto è trattata con grande amore e rispetto dall’armatore Massimo, persona squisita e tollerante.

Mentre la corrente del fiume accarezza la prua di Mirit, inizia la trattativa. Massimo tentenna, non vuole abbandonarla in mano a sconosciuti. A cena ci conosce e comprende come la passione per la vela ci unisca, capendo quanto rispetto avremmo anche noi per quella barca, anche per quegli occhi dipinti sulla sua prua (Mirit è il nome di una principessa egiziana). Ok, l’accordo c’è. La barca è quasi nostra: il giorno successivo c’è la perizia.

In navigazione su Mirit, nel trasferimento da Fiumicino a Genova

Nel frattempo dormiamo in barca: è un’emozione! Si sente il profumo del legno e della cera d’api. Si aprono i cassetti, gli sportelli, si alzano i paioli, si ammira il vecchio motore originale verde-malva, il mitico Perkins 4108, un trattore. Sicuro e longevo! In 11,98 metri ci sono tre cabine comode, due bagni, un esagerato tavolo da carteggio per marinai d’altri tempi, come d’altri tempi sono lo spessore e la qualità del teak con cui sono realizzati gli interni. Al mattino barca in secca, la perizia è positiva, agenzia e firma.

Mirit è nostra! Sono emozionato, nonostante abbia avuto altre imbarcazioni questa è proprio la barca della vita. E’ stato amore a prima vista, certo Mirit è un po’ “vintage”, ma ci si può innamorare anche a una certa età! Dopo tante regate mi godrò il “viaggio”, un viaggio anche interiore.

Mirit è arrivata a Genova!

CHE IL VIAGGIO ABBIA INIZIO!
Il trasferimento da Fiumicino a Genova è un godimento: tempo buono, brezze da 10 a 15 nodi, delfini come compagni di viaggio. L’autopilota Garmin non sgarra di un grado, anche a vela, e ci conduce da waypoint a waypoint con precisione assoluta, mentre di notte l’AIS installato a bordo ci dà sicurezza nei tratti più critici.

La barca sotto vela si comporta veramente da grande “signora”: di bolina, preso il passo, si adagia sull’acqua senza portarti all’orza; alle andature portanti, con il gennaker, è straordinaria: con otto nodi di vento reale la velocità media segnata dal GPS è di 6,8 nodi! L’arrivo in notturna a Genova, sotto il Bigo del Porto Antico è tranquillo e al tempo stesso struggente: belle le luci del porto, bella la città ma soprattutto bella Mirit. Il viaggio inizia…

Lucio Ruocco

GRAND SOLEIL 39, ANALISI DEL MITO
Era il 1983 e dalla matita del vulcanico progettista francese Alain Jezequel nasceva una barca destinata a diventare un’icona. I “ruggenti” anni ’80 sono il periodo d’oro del Cantiere del Pardo e il Grand Soleil 39’, prodotto addirittura fino al 1992, è uno dei modelli più rappresentativi di quell’epoca che venne definita ironicamente “Spaghetti Swan”, per sottolineare una certa continuità estetica tra i modelli del cantiere finlandese e quelli italiani. Linea elegante tipica del periodo IOR, tuga appena accennata, baglio massimo pronunciato a centro barca e la classica poppa a specchio, il 39’ di Jezequel è una barca che in Italia ha segnato un’era diventando il sogno nel cassetto per molti appassionati. Comoda e ben rifinita per la crociera ma anche capace di prestazioni veliche di rilievo e molto marina.

La costruzione è tradizionale con scafo in laminato pieno e coperta in sandwich di balsa, la rigidità strutturale è affidata a un “ragno” di madieri. Il piano velico è quello tipico del periodo IOR, randa di dimensioni contenute e genoa armato in testa d’albero con grande sovrapposizione, fino al 140%. Ne sono stati prodotti numerosi modelli con albero maggiorato, questi risultano i migliori sotto il punto di vista prestazionale nel vento leggero e di bolina, più complessa la conduzione in poppa con vento forte. Gli interni si caratterizzano per un’ampia dimette a C con divano contrapposto dalla quale si possono ricavare due posti letto, il layout prevede tre cabine: due a poppa (una matrimoniale e l’altra con due cuccette singole e bagno) e la classica armatoriale a prua.

I legni originali sono in teak, con un alto livello di finiture. La maggior parte dei modelli in circolazione montano motore Volvo 43 cv o Perkins 49 cv. Sul mercato dell’usato la sua valutazione è piuttosto variabile e dipende dallo stato della barca, dall’anno di costruzione (è rimasta in produzione per ben 9 anni), dal livello dell’attrezzatura e dal tipo di armo (quelli con albero maggiorato sono leggermente più cari). La sua quotazione media è di poco superiore ai 40 mila euro, ma se ne trovano anche modelli al di sotto dei 40 e fino o oltre ai 50 mila euro.

I NUMERI DEL GS39
Lunghezza fuori tutto: m 12,50
Lungh. scafo: mq 11.98
Lungh. al gall.: mq 9.85
Largh. al b. max: m 3.76
Pesc. chiglia fissa: m 1.90
Dislocamento: kg 8.300
Zavorra: kg 3.400
Sup. velica: mq 84.4
Acqua: lt 440
Gasolio: lt 140
Posti letto: 6+2

 

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Bentornato su Luna Rossa James Spithill: ma chi timona tra lui e Bruni?

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Lo avevamo largamente anticipato lo scorso 5 febbraio (QUI LA NEWS) e il nostro “scoop” è stato confermato: Jimmy Spithill, vincitore della Coppa America nel 2010 e 2013, già timoniere nella precedente sfida di Valencia 2007, ritorna a far parte del team Luna Rossa Challenge. Come si usa dire: l’ingaggio di un fuoriclasse  in qualsiasi team sportivo è un problema per gli avversari, ma in una squadra come quella di Luna rossa, con equilibri in via di formazione, l’arrivo dell’australiano potrebbe causare, come già ipotizzato qualche giorno fa dalla Gazzetta dello Sport, qualche “mal di pancia”. Dallo stringato comunicato diffuso da Luna Rossa non viene chiarito il ruolo che avrà Spithill nell’imminente stagione in Tp 52 e sul futuro AC75, ma non è difficile immaginarlo. Spithill è un timoniere di razza, uno specialista del match race ultra aggressivo in partenza, la sua collocazione naturale è alla “guida”. Ma come la mettiamo con Francesco Bruni? Sembrava finalmente arrivata l’occasione per il velista palermitano di essere assoluto protagonista in Coppa America dopo tanti anni di “gavetta” sudata nelle seconde file (anche su Artemis Bruni era fondamentalmente lo sparring partner di Nathan Outteridge e non ha messo mai piede a bordo nelle regate ufficiali), ma l’arrivo di Spithill potrebbe cambiare le carte in tavola. Certo, Bruni è anche un eccellente tattico e potrebbe lasciare il timone a Spithill per assisterlo nelle chiamate dal pozzetto. Ma a quel punto che fine farebbe Vasco Vascotto? L’impressione è che sul futuro AC75 non ci sia spazio per tutti e tre. La sensazione è che nell’immediato James Spithill possa non fare parte del programma Tp52, lasciando il comando alla coppia Bruni-Vascotto, ma il dilemma del timoniere potrebbe essere solo rimandato. Sicuramente è preferibile l’abbondanza di talenti che non la loro carenza, ma il personaggio in questione, Jimmy Spithill, non è una presenza da poco.

Pluricampione mondiale in svariate classi e match race, nonchè vincitore di due Sydney – Hobart con Comanche, Jimmy si è rivelato un velista precoce fin dalla tenera età, vissuta in una piccola città a Nord di Sydney, accessibile solo via mare. In molti lo ricorderanno al suo esordio in Coppa, proprio a Auckland, nel 2000 con Young Australia.

La presenza di James Spithill rinforza significativamente l’organico di Luna Rossa, portando all’interno del team un’enorme esperienza tecnico-sportiva su barche ad alte prestazioni e su barche da foil.

Mauro Giuffrè

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Garmin cresce, acquisisce e svela le sue novità al VELAFestival

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Non c’è brand di elettronica per la nautica che, a livello di volume di affari, sia cresciuto quanto Garmin (nella sua divisione Marine) negli ultimi anni. Per migliorare ulteriormente il suo know-how nel settore, il colosso americano ultimamente si è reso protagonista due importanti acquisizioni.

LE ACQUISIZIONI
La prima è quella di Navionics, azienda leader della cartografia (anche su tablet e smartphone, con una “tracciatura” del Mediterraneo davvero nei minimi dettagli), la seconda riguarda Trigentic AB, società attiva nella fornitura di prodotti, soluzioni e servizi nel mercato dei sistemi integrati e dell’alimentazione per imbarcazioni. I prodotti di Trigentic, venduti sotto il brand EmpirBus, si integreranno con i multifunzione Garmin: sarà possibile controllare virtualmente e con facilità tutti i device installati a bordo, dai motori alle pompe di sentina, dall’aria condizionata ai dispositivi multimediali. Quindi: una cartografia ancora più dettagliata e una barca sempre più connessa.

PERCHE’ VENIRE DA GARMIN AL VELAFESTIVAL
Queste sono solo due delle novità nel pentolone di Garmin che potrete toccare con mano al
TAG Heuer VELAFestival (Santa Margherita, 3-6 maggio). Alla grande festa della vela, il team di Garmin capitanato da Andrea D’Amato (Sales & Marketing Manager Marine Garmin Italia) saprà darvi i consigli giusti su come attrezzare al meglio la vostra barca, tra chartplotter, autopiloti, sistemi integrati, AIS, radar, VHF, GPS, sonar e chi più ne ha più ne metta. Ma non solo, grazie alla Garmin Academy al VELAFestival potrete incontrare di persona grandi marinai oceanici, come Michele Zambelli e Andrea Fantini…

Intanto vi sveliamo un paio di “chicche” in anteprima…

MAI PIU’ FUORI ROTTA
Dimenticatevi dell’autopilota che “sbarella”, cruccio di tanti diportisti. Reactor 40, la nuova gamma di piloti automatici Garmin, è stata progettata per ridurre al minimo gli errori di direzione, di deviazione dalle rotte, i movimenti del timone e il consumo energetico. Come è possibile? Grazie a una bussola allo stato solido a 9 assi e di un sistema di riferimento AHRS (Attitude Heading Reference System), che vi consentirà di tenere una rotta precisa anche con mare agitato. Molto semplice l’installazione, in virtù della forma quadrata del sensore angolare. La bussola può essere montata praticamente ovunque senza dover rispettare nessun orientamento particolare. Sfruttando la funzione Garmin Shadow Drive, gli autopiloti Reactor 40 consentono di disattivare momentaneamente il dispositivo quando si interviene sul timone, lasciandovi liberi di mantenere il controllo dell’imbarcazione nel caso la situazione richieda una manovra rapida. L’autopilota sarà riattivato appena manterrete una rotta stabile. Grazie alla connettività NMEA 2000, potrete collegare i piloti con i multifunzione Garmin. MAGGIORI INFO QUI

NON CHIAMATECI SOLO CHARTPLOTTER!
GPSMAP 1222 Touch e 1222xsv Touch sono i nuovi chartplotter touchscreen, disponibili anche con modulo ecoscandaglio integrato nella versione xsv, sono chiari nella visualizzazione sia di giorno sia di notte grazie all’ampio display luminoso da 12”. Entrambe le versioni sono dotate di un ricevitore GPS/GLONASS da 10 Hz ad alta sensibilità che aggiorna la direzione e la posizione 10 volte al secondo permettendo di visualizzare i movimenti dell’imbarcazione in modo fluido.

Grazie alla connettività wireless è possibile sfruttare al massimo le potenzialità dell’innovativa applicazione ActiveCaptain che permette di connettere i chartplotter Garmin Marine alla rete mobile e accedere a un mondo nuovo di contenuti: consultare, acquistare, aggiornare e sincronizzare la cartografia nautica; aggiornare i dispositivi di bordo velocemente all’ultima versione software disponibile; ricevere Smart Notification, chiamate e SMS direttamente sul display del chartplotter; visualizzare e controllare il chartplotter da qualsiasi posizione a bordo dell’imbarcazione grazie allo smartphone o al tablet; connettersi con la community ActiveCaptain per conoscere informazioni aggiornate sui porti turistici e nuovi punti di interesse, grazie ai feedback aggiornati da migliaia di altri utenti; pianificare la navigazione in anticipo comodamente da casa; scaricare e condividere in modo rapido e veloce le batimetriche dalla Quickdraw Community e infine sincronizzare in modo automatico le rotte e i waypoint memorizzati sul chartplotter per rivedere tutti i dati ovunque dal proprio dispositivo mobile.

Ma le possibilità di connessione non finiscono qui! Grazie alla totale compatibilità con la Garmin Marine Network potrete condividere con le diverse unità connesse le immagini ecoscandaglio, le mappe, i dati utente, le immagini del radar, le registrazioni dalle telecamere e le immagini degli innovativi Panoptix. Inoltre, la connettività NMEA 2000, NMEA 0183 ed Ethernet consente di interfacciarsi con molteplici sistemi tra cui l’autopilota di bordo, il digital switching, il VHF, l’AIS, il radar e molti altri ancora.

I modelli xsv sono dotati di modulo ecoscandaglio integrato da 1 kW CHIRP e funzione CHIRP ClearVü, la tecnologia ad alta frequenza che restituisce immagini estremamente nitide e dettagliate degli oggetti, delle strutture e dei pesci al di sotto dell’imbarcazione, e SideVü, un aiuto prezioso per vedere cosa accade ai lati dell’imbarcazione grazie a immagini incredibilmente nitide e ad alta risoluzione. Tutti i modelli GPSMAP sono forniti con un basemap mondiale precaricato e supportano la cartografia BlueChart g2 Vision anche in versione HD che consente funzioni avanzate come immagini satellitari ad alta risoluzione, viste prospettiche e visualizzazione in 3D sopra e sotto il livello del mare, foto aeree dei porti, delle baie e delle marine e l’innovativa tecnologia Auto Guidance 3.0 che elabora automaticamente la rotta migliore.

I nuovi modelli della serie GPSMAP includono anche funzioni specifiche per la navigazione a vela come Laylines, Pre-race Guidance, Race Timer, Starting line e forniscono nuovi campi dati dedicati al mondo della vela come Rosa dei venti, Vettori Heading e COG, Direzione, velocità del vento e dati maree. Questi nuovi chartplotter Garmin integrano al proprio interno una connessione ANT+ per comunicare con lo smartwatch nautico quatix 5, il trasduttore del vento gWind Wireless 2 e il display GNX Wind. Inoltre tutti i modelli con modulo ecoscandaglio integrato dispongono della nuova funzionalità totalmente gratuita Quickdraw Contours, che permette di tracciare in totale autonomia le proprie batimetriche HD con un dettaglio ogni 30 cm. MAGGIORI INFO QUI

 

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Velista dell’Anno, stop ai voti! Sono rimasti in 25, ora il gioco si fa durissimo!

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Stop ai voti! Con 7.000 voti, si è chiusa alle ore 12 di oggi 14 marzo anche la seconda fase del Velista dell’Anno TAG Heuer, il premio più prestigioso della vela italiana, assegnato fin dal 1991. Erano 51, ne avete scelti 25.

ECCO I 25 CHE HANNO PASSATO IL TURNO, CON PERCENTUALI E VOTI

ORA IL GIOCO SI FA DURO
Adesso il gioco si fa veramente duro: dal 31 marzo ripartono le votazioni, ma in questo caso le preferenze del pubblico non avranno carattere vincolante. Cosa significa? Che dovrete aiutare con i vostri voti la giuria del Giornale della Vela (quest’anno composta dalla redazione e dai principali collaboratori: Luca Oriani, Tommaso Oriani, Eugenio Ruocco, Mauro Giuffré, Alberto Cossu, Giacomo Giulietti, Emanuel Richelmy, Matteo Zaccagnino) nella scelta dei vincitori, i quali saranno svelati nel corso della Serata dei Campioni, Venerdì 4 maggio a partire dalle 19 al TAG Heuer VELAFestival di Santa Margherita Ligure (3-6 maggio).

IL “SENSO” DEI PREMI
I premi in palio sono come sempre cinque, oltre al “Velista dell’Anno TAG Heuer”, riservato al velista che ha saputo emozionarci di più nella stagione passata, assegneremo il “TAG Heuer Performance” a colui che ha ottenuto risultati grazie a un certosino lavoro di ricerca sulle prestazioni; il “TAG Heuer Innovation” a colui che ha dato un particolare contributo nel mondo della progettazione e dell’innovazione; il “TAG Heuer Young” a un giovane talento della vela agonistica e il “TAG Heuer #Don’tCrackUnderPressure” a chi dimostra di non mollare mai anche sotto pressione. Ognuno dei vincitori sarà premiato con un cronografo impermeabile ad alta precisione TAG Heuer.

Oltre a questi premi, ci saranno due ulteriori riconoscimenti speciali: il Gran Premio TAG Heuer VELAFestival, una sorta di premio alla carriera, che quest’anno sarà assegnato ai ragazzi del Moro di Venezia, che fecero sognare l’Italia alla Coppa America del 1992 (a proposito, non perdetevi il gustoso pre-Velista dell’Anno con tutti loro venerdì a partire dalle 15.30!); e la novità, il premio “Most Voted”, che sarà assegnato al candidato che avrà conseguito il maggior numero di voti nell’arco delle tre fasi di votazione.

Per qualsiasi informazione riguardo al Velista dell’Anno, scriveteci all’indirizzo speciali@panamaeditore.it

CHI ERANO I 50+1 CANDIDATI DELLA SECONDA FASE

COME SONO ANDATE LE VOTAZIONI
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I CENTO CANDIDATI INIZIALI

COME E’ ANDATA LA PRIMA FASE

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Benvenuto Gulliver 57! Al VELAFestival arriva la barca da giro del mondo

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Il Gulliver 57 in navigazione di bolina con vento leggero. Foto Martina Orsini

AL Tag Heuer VELAFestival 2018 ci saranno barche veramente per tutti i gusti e questa è stata già una delle più visitate della scorsa edizione. Dalla matita di Marc Lombard e da un’idea di Carlo Gullotta, diamo il benvenuto al Gulliver 57, una barca gira mondo che promette di essere una delle superstar anche per quest’edizione. Per riassaporarla vi riproponiamo il nostro super test.     

Il nostro test sul Gulliver 57

Arrivati al Marina di Varazze in una calda mattinata estiva resa gradevole da una leggera brezza da sud, il Gulliver 57 ci attende in banchina. Il primo impatto visivo è con una barca con uno scafo che ammicca alle forme degli open Oceanici con baglio massimo molto pronunciato e a poppa, con una tuga da barca da crociera sportiva, l’albero in carbonio ed un attrezzatura di coperta sovradimensionata e di grandissima qualità. Già in questa descrizione ritroviamo una serie di elementi che caratterizzano fortemente la barca, dandole quel requisito dell’unicità che i modelli custom, come questo vuole essere, devono avere per differenziarsi nettamente dalla produzione di serie.

Layout di coperta da top di gamma

Camminando in coperta non si può non notare la qualità e il dimensionamento dell’attrezzatura firmata in buona parte Ronstan, bozzelleria ed hardware vari,  ed Andersen per i winch. Ogni manovra è correttamente rinviata con uno studio attento degli angoli di tiro. Pregevole la presenza dei deviatori sui winch in coperta, che consentono di muovere contemporaneamente più manovre deviandole anche verso i winch a poppa e garantendo una grande varietà di soluzioni di tiro.

Il pozzetto del Gulliver 57. Foto Giuffrè/Giornale della Vela

Per capire la qualità dell’attrezzatura, basta osservare che la sola randa ha 3 winch dedicati: due per il carrello ed uno, meccanico/elettrico, per la scotta. In totale sono ben 9 i winch che coprono le manovre.



Look da sportiva

A colpirci particolarmente è il disegno della tuga, morbido con la linea superiore rotonda, che degrada gradualmente fino ad unirsi a filo con il ponte.

Il dettaglio della forma della tuga che si unisce al ponte senza scalino. Foto Giuffrè/Giornale della Vela

La finestratura sulla tuga snellisce molto la  barca, così come il bordo libero piuttosto basso, due particolari che rendono l’estetica di questo 57 piedi particolarmente gradevole.

Il dettaglio del passaggio verso prua. Foto Giuffrè/Giornale della Vela

A proposito di tuga e coperta: il passaggio verso prua tra le sartie è comodo e particolarmente agevole e sopratutto sgombro da ostacoli dato che il carrello del fiocco è posizionato intelligentemente sulla tuga: vela più efficiente e maggiore comodità in crociera.

Navighiamo a vela

Di bolina con 8-9 nodi. Foto Giuffrè/Giornale della Vela

La giornata non è delle più semplici dal punto di vista del vento: provare una barca di alluminio con una pressione massima di 8-9 nodi e media inferiore non è il massimo, ma confidiamo nelle doti sportive della barca che infatti vengono confermate. La barca è dotata di lifting keel che oscilla tra 1,70 mt ed i 3,50, con una zavorra che corrisponde quasi ad un terzo del dislocamento locale.

Il Gulliver 57 naviga bene e non appena accelera ha una grande capacità di mantenere l’inerzia anche nei cali di vento. Con 8 nodi abbiamo toccato una punta di velocità GPS di 7.2 ed un angolo apparente al vento di 30-32 gradi, quasi 8 la velocità quando il vento ha toccato i 9 nodi di reale.



Decidiamo di issare il gennaker, approfittando del fatto che il nuovo A3 necessita di un test essendo una vela ancora mai usata.

Nonostante il gennaker in questione sia pensato per aria molto più sostenuta, conducendo la barca al lasco stretto nell’angolo di utilizzo della vela, 100-120 gradi, le velocità sono ottime e con 8-9 nodi in alcuni momenti pareggiamo la velocità del vento.

Gli interni

La dinette del Gulliver 57. Foto Giuffrè/Giornale della Vela

La grande sorpresa l’abbiamo non appena entriamo sotto coperta. Dov’è la dinette? La troviamo a poppa, nell’insolita posizione sotto il pozzetto.

Il grande tavolo della dinette. Foto Giuffrè Giornale della Vela

Il motivo è molto semplice: su una barca di queste dimensione l’altezza anche sotto il pozzetto è buona ma è a poppa che lo scafo ha la sua massima larghezza. Ed ecco che la dinette assume una dimensione decisamente XXL

Sei in totale i posti letto, oltre ai due ricavabili in dinette, divisi in una cabina ospiti, due letti per l’equipaggio e la cabina armatoriale. Doppio bagno, a prua ed a poppa, con vano doccia seprato, ed ampia cucina con forno. Il gusto generale degli interni è sobrio, con il giusto equilibrio tra legni, allegeriti, e composito, per trovare un mix tra qualità, estetica e leggerezza dei materiali.






Significativa la luminosità interna determinata da molteplici punti luce, buona l’areazione, eccellenti gli spazi di stivaggio: in quasi ogni metro della barca sono stati ricavati diversi vani per stivare cambusa, attrezzatura, abbigliamento e accessori vari.

La storia del Gulliver 57

Carlo Gullotta, il suo ideatore, va a vela fin da bambino muovendosi tra il mondo delle regate e quello della crociera. Dal Melges 24 agli scafi in alluminio, la passione di Gullotta per la vela è a 360 gradi, anche se nella vita di tutti i giorni il suo mestiere è un altro. Dall’esigenza di migliorare la sua barca in alluminio, nasce il sogno di costruirne una su misura per le navigare intorno al mondo con una barca sicura, veloce e soprattutto in alluminio.

Convinto con un po’ di insistenza il famoso designer francese Marc Lombard, Gullotta mette su un cantiere ed inizia la costruzione della barca affidandosi a professionisti specializzati, come lo studio milanese Valenti Yacht con il quale sviluppa il disegno di Lombard, realizzando degli interni non convenzionali e concependo personalmente il piano delle manovre di coperta.

Durante la costruzione, la barca desta l’interesse di un armatore belga, che si dichiara interessato a un tipo di barca custom, in alluminio e con le caratteristiche necessarie per girare il mondo. Così il Gulliver 57 si trasforma da semplice sogno ad opportunità. Oggi sono due gli scafi naviganti, ma la strada tracciata sembra poter portare molto lontano.

Progetto Lombard, Valenti, Gullotta

Lunghezza fuori tutto 17,50 mt

Lunghezza al galleggiamento 17,41 mt

Baglio massimo 5,17

Pescaggio 1,7-3,5 kg

Dislocamento 15700 kg

Materiale di costruzione Alluminio 5083H111

Acqua 400/800 t

Gasolio 450+90 lt

Per maggiori info: info@gulliversail.com  tel. 3356202546

Mauro Giuffrè

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Zadro Sails: la storia secolare di una veleria che è sopravvissuta a due guerre

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Trieste, 1917. In quella terra contesa, tra le incertezze della guerra, un uomo ha un’intuizione. Ernesto Zadro lavora, come tanti, in una veleria per navi commerciali (il trasporto merci all’epoca avveniva per la maggior parte ancora a vela): ma sa guardarsi attorno, e vede che sono sempre di più gli esponenti della nobiltà triestino-austriaca che stanno acquistando vecchie barche da pesca per poi adattarle al diporto.

QUANDO FACEMMO SCARICARE LE VELE AL DUCA D’AOSTA

Ernesto decide di mettersi in proprio e apre la sua veleria, dedicata esclusivamente a chi va in mare per il puro piacere di farlo: una “mission”, per dirla in modo moderno, a cui non verrà mai meno (Zadro non realizzerà mai vele per le grandi navi, salvo una per l’Amerigo Vespucci). Certo, la nautica da diporto è un affare per pochi, ma nel periodo tra le due guerre la veleria, assoluta apripista nel settore, va via via strutturandosi (anche se tutto il lavoro veniva ancora svolto a mano: si veniva pagati a metro di cucitura realizzata) e tra i signori gode di buona fama. Intanto, ad Ernesto si è affiancato il figlio, Ernesto jr. “Vi svelo un aneddoto accaduto poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale”, racconta Aldo Zadro, figlio di Ernesto Jr. e titolare della veleria fino lo scorso anno, quando ha deciso di lasciare il timone al nipote Federico. “Mio nonno e mio padre dovevano consegnare delle vele al Duca d’Aosta, che all’epoca viveva a Castello Miramare. Quando arrivarono ad attenderli c’era un uomo in maniche di camicia, a cui chiesero una mano per scaricare. Si sa, era un lavoraccio, le vele in cotone erano pesantissime. L’uomo gli aiutò di buon grado, fino a quando non arrivò quello che doveva essere il maggiordomo del Duca. ‘Sua Altezza, ma perché sta sudando a scaricare vele?’. Il nonno e papà volevano sotterrarsi di vergogna: l’uomo in maniche di camicia era proprio il Duca! Il quale, molto signorilmente, replicò al maggiordomo che quelle vele le aveva ordinate lui ed era giusto aiutare!”.

L’IMPORTANZA DEGLI AMICI

Ernesto non fa in tempo a godersi appieno i frutti del suo lavoro, perché muore nel 1940. Così il figlio omonimo si ritrova a capo della veleria: Zadro jr è laureato in Economia e Commercio, è un buon velista e durante il ventennio fascista ha avuto modo di partecipare a campionati e regate (come i “Littoriali della Vela”). Il suo passato da regatante e soprattutto la rete di conoscenze che è andato a crearsi aiutano la veleria a entrare facilmente nel neonato mondo delle competizioni veliche: grazie ad amici/clienti come Tino Straulino, Nico Rode, il comandante Salata, Sergio Sorrentino e molti altri. Star, Yole, 6M Stazza Internazionale… Zadro firma le vele per tutti queste classi da regata e ottiene risultati importanti a livello mondiale.

COME SALVARE L’AZIENDA DALLA GUERRA

Ma arrivano i tempi bui. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la produzione di vele subisce un violento arresto. Ernesto jr., per salvare l’azienda, deve convertirla alla realizzazione di teli per i camion degli occupanti tedeschi. La Wermacht di norma confisca tutti i mezzi di produzione delle realtà locali, ma Zadro sa il tedesco e riesce a proporsi come fornitore. Nell’immediato dopoguerra, si ritorna a fabbricare vele. Zadro persegue due strade: da un lato la produzione ‘normale’, per barche da regata e da crociera, dall’altro l’assistenza (spesso gratuita) a grandi marinai nelle loro imprese: ad esempio, fornisce le vele agli argonauti irredentisti, capitanati da Glauco Gaber, che salpano nel 1948 da Trieste per raggiungere con successo Buenos Aires (sic!) a bordo di una scialuppa di salvataggio (l’Italia-Trieste) per attirare l’attenzione sul “problema triestino” (ovvero, il timore che la città venisse ceduta alla vicina Jugoslavia).

SETTE REGATE, SETTE PRIMI

Negli anni ’60 arriva il dacron a sostituire il cotone, i costi si abbassano, le macchine da cucire elettriche si avvicendano a quelle a pedali. Siamo in pieno periodo di “vela popolare”. La veleria si allarga, cambia sede più volte, sempre nell’ambito del porto di Trieste. La conoscenza del tedesco di Ernesto jr. porta nuovi clienti provenienti dai laghi austriaci e dalla Germania. Una tradizione che prosegue tutt’oggi, con il 30% del fatturato proveniente dal Nord Europa (assieme ad Argentina, Brasile e Stati Uniti). Il tempo passa anche per Ernesto jr. che chiede l’aiuto del figlio Aldo: “Il mio esordio in veleria avvenne nel 1968. Mi ricordo che un velista triestino piuttosto forte, Enzo Braut, chiese a mio papà di realizzare un gioco di vele per la sua nuova barca con cui avrebbe dovuto partecipare all’allora mitica Settimana dell’Adriaco. Non è quantificabile il numero di volte che Enzo, che ancora oggi mi onora della sua amicizia, fece la spola tra la sua barca e la veleria, chiedendo modifiche millimetriche a mio padre. Dopo una settimana di lavoro al dettaglio, se ne andò soddisfatto pronunciando una frase che mi rimase in testa: ‘Se adesso non vinco, il mona (parola colorita triestina per “cretino”, ndr) sono io’. Ebbene, su sette regate, Braut arrivò sette volte primo”.

LA VELA E’ CAMBIATA

L’anno in cui Ernesto jr. cede il timone ad Aldo, il 1981, è anche quello in cui la veleria, prima assoluta in Italia, sperimenta i cosiddetti materiali esotici, i laminati: “Fummo i primi ad accaparrarci un rotolo di mylar/kevlar, con cui realizzammo una randa a pannelli sfalsati. Lucido, opaco, lucido, opaco…”.

Un altro grande cambiamento, al quale Zadro non si sottrae. “Non ci siamo mai specializzati in un ambito: regata, crociera, lunghe navigazioni, epoca, derive. Abbiamo sempre cercato di realizzare vele per tutti. Ottenendo ottimi risultati sportivi: con le derive, ad esempio, abbiamo lavorato poco. Ma siamo riusciti lo stesso a vincere, tra Flying Junior, 420 e 470, sei titoli italiani, due europei e un mondiale. In Europa, ad oggi, possiamo vantare un centinaio di titoli in svariate classi”. L’anima duttile della veleria è incarnata, ad esempio, dalle vele per l’Emeraude, un Frers in alluminio vincitore per quattro anni del circuito di vele d’epoca Panerai, da quelle per i numerosi Amel “giramondo” o per importanti progetti di Sciarrelli (con cui la veleria seppe instaurare duratura collaborazione). Con gli anni ’80 e ’90 arriva l’informatizzazione: “Non potevamo certo ignorarla. Una volta dovevi disegnare la vela a terra, tagliarla, assemblarla, riportarla a terra per le misurazioni. Uno spreco di energie enorme e una fatica fisica immane. Improvvisamente, dietro a uno schermo, potevi progettare la tua vela. Ma attenzione, senza esperienza non si va da nessuna parte! Purtroppo l’informatizzazione e i software hanno aperto il mercato a gente che, se esistesse un albo professionale dei velai, probabilmente avrebbe vita difficile. Dal nostro punto di vista, l’avvento del computer ha permesso di realizzare vele di qualità migliore: quando ne progetti una e vedi che funziona, puoi replicarla in teoria all’infinito, oppure provare a migliorarla ancora”.

SEMPRE PIU’ INTEGRAZIONE TRA ALBERO E VELA

Ora l’azienda è in mano al nipote Federico, anche se Aldo continua a “divertirsi”, come dice lui, dando una mano. E nel futuro prossimo? “Interessante capire cosa succederà con le nuove classi volanti della Coppa America, visto che si sta andando sempre di più verso un’integrazione tra rigging e vela. Non credo invece che assisteremo a una rivoluzione nei materiali, ci sarà più che altro un perfezionamento delle membrane esistenti. E le statistiche parlano chiaro: il 70/75% delle vele attualmente armate nel mondo sono ancora in Dacron!”. E chissà cosa sapranno ancora inventarsi alla veleria Zadro, che ora si è spostata a Torviscosa (Udine) per rispondere meglio alle esigenze degli armatori (capannoni più grandi, vicinanza con l’autostrada…). Cento anni sono tanti: un traguardo più che meritato per un’azienda che, fin dalle origini, ha creduto nella vela per passione. E che con passione ha saputo cavalcare cambiamenti epocali, talvolta resistere, guardare avanti, innovare. Lunga vita a Zadro!

www.zadrosails.it

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Lo spirito della VELA Cup? E’ quando partecipi anche se la tua carena ha le cozze… e molto altro

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VELA Cup

Non è facile riassumere lo spirito della VELA Cup di Santa Margherita Ligure (5/6 maggio, in occasione del TAG Heuer VELAFestival), la grande veleggiata/regata aperta a ogni genere di barca, senza certificato di stazza e con premi (quasi) per tutti.

Lo stesso spirito che ogni anno fa sì che nel Golfo del Tigullio si diano appuntamento più di 200 barche e oltre 1.000 velisti vogliosi di divertirsi e far festa. No, non è facile. Ma noi ci proviamo lo stesso.

LO SPIRITO DELLA VELA CUP…

… è quando, mentre sei di bolina, poggi per non centrare una barca all’incrocio, anche se sei mure a dritta. E non ti lasci andare in urla e insulti.

… è quando se hai fame, e vai a prenderti qualcosa al volo sottocoperta, lo skipper non ti fa il mazzo.

… è quando parti indietro, tutti vanno sotto a Portofino, tu spari il bordo della speranza al largo, ti va malissimo, giri la boa ultimo ma continui.

… è quando pur sapendo che la tua barca è un chiodazzo, ti impegni al massimo per farla camminare al meglio.

… è quando partecipi anche se la tua carena ha le cozze.

… è quando decidi di partecipare con la famiglia, sapendo che impiegherai il triplo del tempo di un team agguerrito ad ogni manovra, ma non te ne frega nulla.

 

… è quando lo scirocchetto di 8/9 nodi ti accarezza, il sole splende alto e uno dei golfi più belli del mondo ti coccola in una giornata primaverile.

… è quando esporre i parabordi non è un delitto.

… è quando chiedi “acqua” a cabinati di 15 metri con la tua derivetta.

… è quando ti metti a ridere quando il tuo spi viene issato con la bugna invece della penna.

… è quando ti trovi a fianco, sulla linea di partenza, grandi campioni e barche fighissime.

… è quando sei orgoglioso di collezionare tutte le t-shirt di ogni edizione.

… è quando tagli la linea d’arrivo soddisfatto e felice, a prescindere dal risultato.

… è quando festeggi con il tuo equipaggio la sera della premiazione (sabato 5 dalle 19 al TAG Heuer VELAFestival)

… è quando, non appena tornato a casa, ti viene voglia subito di rifarla!

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Macinare miglia anche con vento leggero: impariamo a regolare bene gennaker e Code 0

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Nella prima puntata (LEGGILA QUI) dedicata al vento leggero abbiamo parlato di quanto siano importanti le regolazioni di albero e vele per fare rendere al meglio la barca in queste condizioni e di come una corretta gestione dei pesi a bordo possa aiutare sensibilmente il nostro mezzo, anche se da crociera. In questo secondo approfondimento parleremo delle vele da aria leggera, di come gestirle e più in generale di come attrezzare e condurre la barca.

La vela giusta

Nella navigazione con vento leggero riveste una particolare importanza l’utilizzo della vela giusta che è strettamente correlata al modo di portare la barca. Ormai la vela più diffusa per andare in crociera è sicuramente il gennaker, fosse anche solo per la comodità: niente tangone, niente braccio e scotta, quindi meno manovre e una straordinaria semplicità nel compiere delle abbattute con equipaggio ridotto. Il gennaker però è una vela asimmetrica, murata sulla prua, o su un bompresso per chi vuole ottenere delle performance maggiori, e quindi lungo l’asse longitudinale della barca.

Questo fattore fa si che una parte della propria superficie venga coperta da quella della randa. Molte volte, forse troppe volte, si pretende di navigare con il gennaker allo stesso modo che con lo spinnaker e questo è uno dei più grossi errori che si possa fare. E’ una questione geometrica, più si va in poppa e più il gennaker è coperto dalla randa e quindi la vela non spinge affatto quello che dovrebbe. Diversamente, con uno spinnaker, per andare con la rotta più poggiata possibile, si potrebbe quadrarlo esponendolo maggiormente al vento e al di fuori della copertura della randa. Attenzione, anche con lo spinnaker non è possibile navigare estremamente poggiati in condizioni di vento leggero: la barca rallenterebbe troppo e anche compiendo meno strada la nostra vmg crollerebbe rapidamente.

Ne consegue che, con il gennaker, è necessario scegliere una rotta ancora più stretta rispetto al vento in modo tale da tenere sempre alta la propria velocità e di conseguenza anche la propria vmg; al limite si farà qualche strambata in più ma con il gennaker è molto più semplice.

L’importanza del bompresso

Abbiamo parlato dell’utilizzo di un bompresso, che tecnicamente ci da un enorme vantaggio: allontana maggiormente il gennaker dalla copertura della randa e sembra incredibile quanto un bompresso che sporga dalla prua anche solo 60/70 centimetri possa rendere più efficiente la vela e aumentare sia la velocità della barca che la propria facoltà di poggiare. Tenete presente che un gennaker ben disegnato, allround da crociera, con una forma e un peso di tessuto che possa adattarsi quasi a tutte le intensità del vento, può essere utilizzato da angoli che partono da circa 100 gradi rispetto alla direzione del vento fino anche a 160/165 gradi e rispettivamente da 3/4 nodi di intensità fino a quando sarete bravi a portarlo con intensità di vento elevate.

Anche la conduzione della barca con il gennaker è molto importante, soprattutto con vento leggero. Abbiamo detto che in queste condizioni la direzione del vento è molto ballerina: a maggior ragione è necessario adattare la propria rotta ad ogni cambio di direzione del vento, proprio per permettere alla vela di essere più esposta possibile e meno coperta dalla randa. Potrebbe sembrare che un timoniere che porta una barca con il gennaker con poco vento sembri avere “alzato un po’ troppo il gomito” a causa della scia a biscia che lascia dietro di se ma attenzione, potrebbe anche essere un ottimo timoniere. Per andature più strette, da 85 a circa 125/130 gradi e rispettivamente da 3 a 13/14 nodi di intensità, si sta diffondendo sempre più l’utilizzo del Code “0”.

Il Code 0

Questa vela è nata per un utilizzo soprattutto in regata. Si tratta di una vela asimmetrica, anch’essa murata sulla prua o su un bompresso, ma con una forma molto più piatta rispetto a quella del gennaker e quindi più adatta all’utilizzo per angoli stretti. Come scotta può essere utilizzata la stessa che si impiega per il gennaker. Una particolarità di queste vele è quella di essere rollabili, devono quindi essere dotate di un frullino nella parte bassa e di una girella nella parte alta; inoltre all’interno dell’inferitura deve essere necessariamente montato un cavo antitorsione che facilita l’avvolgimento della vela e la resa della stessa nei range di utilizzo più alti. A proposito del cavo antitorsione, il consiglio è di utilizzarne uno di buona qualità, influisce parecchio sulla resa della barca (maggiore è la tensione della drizza e maggiore è l’efficienza del Code “0”) ma anche e soprattutto nella maggiore semplicità nell’avvolgimento della vela. Una raccomandazione: sia quando aprite e soprattutto quando avvolgete il Code “0”, fatelo con andature molto poggiate; la vela viene coperta dalla randa e tutto diventa estremamente più semplice.

Come regolare Gennaker e Code

Esiste qualche accorgimento particolare nel portare il gennaker e il Code “0”? Sicuramente si. Per avere la maggiore efficienza, entrambe queste vele vanno portate più lascate possibile e quasi con un’orecchia, piccola ma costante, lungo la parte alta dell’inferitura. Perché? Il motivo è sempre lo stesso: tenere la vela la più esposta e più lontana possibile dalla copertura della randa. A dire il vero questo accorgimento è necessario adottarlo anche con lo spinnaker ma con gennaker e Code “0” ancora di più; immaginate, per esempio, che 30 centimetri di scotta troppo cazzata fanno si che 30 cm per la lunghezza di tutta l’inferitura siano coperti dalla randa e se fate due conti possono essere parecchi metri quadri in meno di esposizione al vento. E’ necessario utilizzare queste vele nel loro range ottimale di utilizzo; è inutile navigare con un gennaker a 90/95 gradi rispetto alla direzione del vento, come è inutile navigare a 150 gradi con un Code “0”. Non sono vele disegnate per quelle andature e la loro efficienza verrebbe irrimediabilmente meno.

ROBERTO SPATA

Classe 1962 da Como. Nazionale Laser fino al 1983, si avvicina poi alla vela d’altura regatando su qualsiasi tipo di imbarcazione e specificatamente nelle Classi IOR, IMS, Maxi Yacht, Monotipi, ORC e IRC nei ruoli di tattico, timoniere o randista, occupandosi spesso della messa a punto di vele e barca.

Dal 1988 al 2000 ha collaborato con la North Sails e continua ad avere rapporti tecnici e con tutte le velerie, i progettisti e i cantieri anche come project manager.

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Enrico Malingri: “Ho provato l’Ice Cat 61 e… mi sono convertito ai multi!”

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ice cat 61
Era da un po’ che questa cosa era nell’aria.
Da una telefonata di Marco Malgara, patron del cantiere Ice Yachts, a settembre: “Enri appena abbiamo abbastanza acqua nel Po portiamo il nuovo Ice Cat 61 a Porto Garibaldi, lo alberiamo e poi me lo trasferisci a La Spezia?”

La cosa mi ha intrigato subito perché conosco Enrico Contreas da una vita, e con il suo fido braccio destro Luigi Cirillo, designer della estetica ed interni, ho seguito a distanza l’evoluzione del mezzo durante la sua costruzione.

Sui multiscafi così grossi non ho mai navigato e vedendone in giro parecchi, avevo una grande curiosità di provare come navigano ed una navigazione di 1050 miglia in Mediterraneo in inverno avrebbe costituito una ottima occasione.

Come tutte le barche costruite da Ice Yachts, anche l’Ice Cat 61 è costruito in fibra di carbonio ed resina epossidica in infusione, quindi una barca leggera e rigida da vero cruiser/racer. Questo da una garanzia di solidità e performance. I cat più di ogni altra barca devono essere imperativamente rigidi e leggeri.

Arriviamo a Porto Garibaldi il 9 febbraio, ho trovato una finestra meteo per avere vento da NW per scendere lungo le coste dell’Adriatico verso il canale di Otranto. Ci sono continue perturbazioni che passano, da NW verso SE portando vento e pioggia.

Dopo 40 anni sui monoscafi, la prima impressione salito a bordo è “lo spazio”, ce ne è veramente tanto, il pozzetto riparato dalla tuga e il suo tetto è immenso, il salone attiguo separato da una grande porta a vetri mi dà la stessa sensazione.

La rete tra i due scafi di prua può ospitare comode 10 persone a prendere il sole… poi c’è tutta la tuga ed il pozzetto….20/25 persone sul ponte… è come averne 12 su un monoscafo di pari lunghezza.

Sopra la tuga sono posizionati 6 panelli solari che neanche li vedi, ho dovuto contarli. Mi viene in mente il party in mezzo al mare, della riedizione del film “Point Break”.

Qualche piccolo preparativo, spesa, nafta , acqua e poi verso le 17,30 salpiamo.Con me a bordo, il fidato Fiore che collabora con il cantiere, Giulio che ha in costruzione un Ice Cat 67, il mio vecchio amico Paolo possessore di un Moana 33, infine Andrea Viganò d ella omonima Veleria di Milano che ha fornito le vele al Cat e le vuole provare.

La barca è veramente larga e inizialmente un po’ di timore a navigare negli spazi angusti del porto canale c’è. Un uomo al timone su uno scafo ed una vedetta sull’altro.

Finalmente in mare aperto, issiamo la randa, ma come da previsioni ci aspetta una nottata di poco vento, Ice Cat 61 ha due motori da 75 cv, li mettiamo a 2500 giri , velocità 9,6 kn. Riduciamo la randa, che così frena meno, tanto non ti devi preoccupare del rollio.

Verso la mattina inizia a salire il vento prima da N/NE e poi in rotazione verso N/W.
Spegniamo il motore e diamo tutta randa e il fiocco, la barca scivola leggere sulle onde ,che via via iniziano a formarsi a 10/12 nodi di velocità.

Devo confessare che da monoscafista mi aspettavo di trasferire un “Camper” con un discreto effetto cassone nelle onde, probabilmente veloce ma problematico.

Già nella notte, in assenza di rollio la sensazione è di grande stabilità, poco movimento.

Via, via nel corso della giornata il vento sale sui 18/22 nodi e le onde aumentano, la barca inizia a filare, 12/15 nodi, planate a 16. Siamo con il vento reale a 170° e l’apparente a 140°.

La sensazione è incredibile, due scafi, due derive mobili con poca resistenza idrodinamica, due timoni, il risultato è una barca sulle rotaie che va dritta come un fuso e non offre nessuna resistenza all’avanzamento.

Prendo il timone, la poppa con diversi oceani attraversati è la mia specialità, ma dopo poco mi accorgo che qui non la posso esprimere più di tanto, la barca va dritta come un fuso, nessun accenno a straorzata, nessun effetto pendolo nelle onde, la barca è piantata con un rollio inesistente. Dopo mezz’ora attacco il pilota, tanto non faccio nessuna differenza.

Dopo poco mi rendo conto che la planata la devi seguire bene sugli strumenti, se no non ti accorgi di quale portata abbia, non riesci a capire se hai planato a 14 o a 16.

Poi mi accorgo che la barca in planata oltre diciamo i 14 nodi si alza di 30 cm sull’acqua e fila via come un razzo, con il vento apparente che aumenta in proporzione e te la prolunga.

Verso sera controllando gli strumenti vedo che c’è un SOG Max registrato di 18,4 nodi, sarà stato in una delle tante planate, me ne ricordo 3/4 più intense, ma non saprei dire quale.

A sera riordino le idee e inizio a formarmi le mie prime vere sensazioni sui MULTI e nello specifico Ice Cat 61. Dopo una giornata piena in navigazione con onda corta e ripida tipica dell’Adriatico, per le 20.00 passiamo al traverso di Vieste nel Gargano, sono passate 15 ore e siamo già qui.

La barca mi dà grande sicurezza, abbiamo ridotto la randa verso sera con 20/22 nodi , inizia a formarsi parecchia nuvolaglia e ci sono temporali previsti nella nottata.

Nonostante questo, continuiamo a filare sui 12 e passa nodi, cuciniamo senza para pentole, la barca è “sempre dritta”, appoggi una bottiglia sul piano della cucina e ripassi dopo un ora e qualche planata oltre i 14 nodi e lei è li dove la hai lasciata.

Non c’è la chiglia con il bulbo attaccato in fondo, e con esso scompare l’effetto pendolo
tipo dei monoscafi in poppa, che accentua le straorzate, vero pericolo delle planate veloci.

Non hai il problema di ridurre troppo la randa se no rolli, quindi se vuoi essere prudente lo puoi fare senza problemi.

E’ febbraio e fa freddo soprattutto di notte, ma qui in pozzetto sei sempre al riparo da acqua e vento. Poi avanti si va dentro e fuori dal salone/plancia dove c’è un bel tepore, dato da due Eberspaecher posizionati in ognuno dei due scafi.

La visibilità al carteggio è a 360 gradi, lì c’è un plotter e puoi comandare anche il pilota, così puoi tenere sotto controllo la situazione al calduccio. Quindi il comfort anche in navigazione con mare, vento, freddo e pioggia è massimo.

Ora ho anche la certezza, che se aumentasse molto il vento, ammaino tutta la randa, e
la barca tirata per il naso dal fiocco, naviga benissimo leggera sulle onde.

Ci avviciniamo al Gargano, c’è segnale 3G, scarico un file grib meteo e vedo che il vento è in rotazione da E, ed in aumento a 25 nodi nei temporali. Mi dico “mmh con il traverso inizia la rumba, ora vediamo”.

Il vento ruota come aspettato al traverso ed aumenta sotto il primo piovasco, preventivamente abbiamo ridotto la randa avvolgibile nel boma all’equivalente di 2 mani.

La barca parte a 12/14/16 nodi come niente, abbiamo la vecchia onda in poppa ed ilvento al traverso, le planate  si susseguono per un’oretta siano a che il vento molla, tra un piovasco e l’altro.

Sono sorpreso: la barca non rolla, non c’è l’effetto cassone che mi aspettavo, è soprattutto asciuttissima, mi aspettavo qualche classica lavata, ma  ciò non succede. Lo scafo sopravento sposta così poca acqua che non c’è il classico scontro tra l’acqua mossa dalla barca al suo passaggio e l’onda che sopraggiunge.

Piove e siamo al riparo in pozzetto sotto la tuga, con uscita al timone ogni 3/4 minuti e controllare l’orizzonte, sana e vecchia abitudine anche se ora cerchi di vedere quello che radar ed Ais hanno già individuato.

Lascio la randa ridotta e riesco con 14 nodi di vento reale a tenere comunque la velocità sopra gli 8 nodi. Dobbiamo sbarcare Andrea e Giulio a Brindisi e non mi interessa arrivare con il buio.

Alla mattina alle 7.00 siamo al largo di Brindisi, decido di entrare percorrendo apposito canale segnalato sulle carte, di entrata delle navi, e mi trovo costretto a risalire per 3/4 miglia contro il mare ed il vento, con Fiore che mugugna, ora che il vento è salito a 25/28 nodi.

Risaliamo con randa e motore, sotto un piovasco, le onde sono accentuate dalla corrente che sale verso nord e sono di 2/3 mt. sono al timone e qui con due scafi da gestire per non spiattellare troppo nelle onde, devo usare un po’ di maestria al timone. Qui l’effetto multi si sente, ma si avvertirebbe anche su una monoscafo con carena di ultima generazione.

In porto dobbiamo fare una manovra di ormeggio con vento sui 20 nodi e seppure ci sia spazio per arrivare di poppa al pontile, inizialmente la affrontiamo da come si è soli fare su una barca normale, avanti ed indietro con il motore e destra/sinistra con il timone.

Dopo un primo tentativo fallito perché il vento ci sposta di traverso la poppa, si riprova,a quel punto mi viene  in mente che abbiamo due scafi e due motori quindi qui la tecnica va cambiata radicalmente.

Per girare timone al centro, un motore avanti ed uno indietro, quando si vuole girare in retro uguale, usi solo il motore dalla parte che vuoi far girare.

Così quello che mi sembrava un incubo, cioè ormeggiare una cosa che è larga 8,50 mt x 18,60 mt e sviluppa quindi 158,10 mq di area complessiva diventa, prendendoci la mano, un gioco da ragazzi.

Contreas ha posizionato il bow thruster al centro dello scafo di destra, per avere i pesi centrali, devo dire che è stato un colpo di genio. Riesci a fare quel movimento di traslazione a 90 gradi di solito impossibile. Ottimo quando arrivi in banchina all’inglese e comunque per stare al centrato, in manovra al pontile.

La barca dentro è veramente spaziosa con:

Scafo di destra da poppa verso prua:
• una cabina armatoriale.
• una cuccetta nel corridoio.
• grande bagno con doccia separata enorme.
• cabina marinai con due letti wc / lavabo, entrata dal ponte o tramite portello che da nella doccia bagno.

Scafo di sinistra da poppa verso prua:
• cabina a due letti, belli spaziosi.
• corridoio con armadio e un lavabo a scomparsa dietro una anta scorrevole.
• bagno con doccia.
• grande cabina a 2 letti.

Salone spazioso, vetrata panoramica a 360 gradi, con tavolo pranzo e relativo divano a L, cucina con isola centrale, carteggio e mobili perimetrali.

Le sale macchina sono a poppa in ogni scafo con accesso dal pozzetto.

Non avrei mai detto prima di provarla, ma se devo ripartire per un secondo giro del mondo, questa è la barca che sceglierei senza esitazione.

Bisogna essere ben dotati di possibilità di riduzione delle vele in abbondanza, trinchetta su secondo strallo mobile, dove si può armare anche una tormentina, randa a 3 o 4 mani.
Poi Solent, Code 0, Gennaker per quando c’è poco vento in poppa.

Spazio a volontà, pescaggio di 1 /1,5 mt. , inoltre dimenticavo che la barca ha un estetica molto bella da racer/cat veramente moderna ed accattivante. Sono stato in 3 posti a fare rifornimento e i commenti sono piovuti a raffica in banchina.

Ma cosa volete di più?

Over and out
Enrico Malingri

www.iceyachts.it

 

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GIRO DEL MONDO Storie di record e di miti, da Gabart a Slocum

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Se da bambino il tuo eroe è Corto Maltese, se a sei anni hai compiuto la tua prima traversata atlantica in barca, se la vela ti ha accompagnato per tutta la vita, sei predestinato a compiere grandi imprese per mare. Come il giro del mondo in solitario senza scalo più veloce della storia, in 42 giorni, 14 ore, 40 minuti e 15 secondi: 27.859,7 miglia reali (passando per i capi di Buona Speranza, Leuwin e Horn) coperte all’incredibile media di 27,2 nodi.

Francois Gabart, classe 1983 da Saint-Michel-d’Entraygues (Francia), è l’ultimo dei grandi marinai (in ordine di tempo) che si è misurato, con successo, in un’impresa che al netto dell’evoluzione tecnologica di scafi e materiali, di foil e piloti automatici, non ha perso un milligrammo di romanticismo col passare degli anni. Il giro del mondo è il giro del mondo. Poche storie. Anche a bordo di un maxi trimarano con i foil a “L” in grado di volare sull’acqua a 45 nodi come Macif (30 x 21 metri di “bestio”).

Il 17 dicembre, una volta tagliata la linea di traguardo immaginaria vicino all’isola di Ouessant, in Bretagna (da dove era partito il 4 novembre 2017 scorso), Gabart in poche parole ha riassunto il suo stato fisico: “Non faccio una doccia da quando sono partito, mi sento un animale selvatico, non dormo da settimane, mi nutro di liofilizzati da un mese e mezzo. Ho navigato sempre al limite e ora ho male dappertutto. Fatica e dolore vanno a braccetto. Sono sfinito”.

Se a dirlo è lui, uno dei velisti oceanici più forti al mondo, già vincitore del Vendée Globe (giro del mondo in solitario a bordo di IMOCA 60) nel 2013, capite bene che genere di impresa titanica sia una circumnavigazione del globo.

Gabart, che in Francia è una celebrità nazionale, soprannominato il “biondino degli oceani”, ha migliorato di ben sei giorni il precedente primato stabilito dal conterraneo Thomas Coville (49 giorni e 3 ore a bordo del maxi trimarano Sodebo) l’anno precedente, che a sua volta aveva migliorato i 57 giorni di Francis Joyon (su Idec Sport) nel 2008.

Il giro del mondo ultraveloce in solitario senza scalo è una questione tutta francese. Ma è solo uno dei “rami” in cui è declinata quella che per molti marinai è l’avventura della vita: lo si può affrontare con estrema lentezza, a tappe, contro i venti dominanti (ovvero da est verso ovest), in equipaggio, a bordo di barche microscopiche, ispirati dal desiderio di staccare completamente la spina.

Ma quando è iniziato tutto ciò? Quando si è iniziato a navigare intorno al mondo con l’idea di lanciarsi in un’avventura prima che essere spinti da motivazioni meramente commerciali (leggi: di conquista)?

In principio ci fu Joshua Slocum: dopo aver perso suo moglie e la sua barca, arenata sulle coste del Brasile, maturò l’idea di compiere il giro del mondo a vela in solitario , impresa mai tentata prima da nessun altro uomo.La portò a termine tra il 1895 e il 1898 sullo Spray, uno sloop prima adibito alla pesca delle ostriche che lui stesso aveva rimesso a posto.

Pensateci: lo Spray era una piccola barca (lunga 11,20 metri, larga 4,32 e pesante nove tonnellate), che impiegò tre anni, due mesi e due giorni per circumnavigare il globo a tappe. A spanne, 27 volte il tempo di Gabart! Slocum fu considerato un eroe per breve tempo, poi la stampa se ne dimenticò. Perennemente insoddisfatto, se non negli infiniti spazi oceanici, 14 novembre 1909 partì per l’ultimo viaggio verso le Indie occidentali e non fece più ritorno.

Ci vorranno più di 60 anni affinché un velista solitario ci riprovi, ci riesca e questa volta diventi un’icona dello yachting univeralmente riconosciuta, con tanto di nomina a baronetto da parte della Regina Elisabetta. Stiamo parlando di Francis Chichester, che a 65 anni suonati circumnavigò il globo in solitario sul suo Gypsy Moth IV doppiando i tre grandi capi (Buona Speranza, Leeuwin e Horn), impiegando 274 giorni tra il 1966 e il ’67. Il primo grande navigatore dell’epoca contemporanea, il primo a riuscire nell’impresa (Slocum aveva impiegato tre anni ma senza doppiare tutti i capi).

Fa sorridere paragonare Chichester con Gabart: quest’ultimo è un atleta al 100% che si è nutrito di liofilizzati per tutta la durata del suo record. Il baronetto invece, quando fuori la burrasca incombeva, pare si chiudesse sottocoperta e… trincasse. Un giorno, caricando su una barca delle casse di gin, lo sentirono pronunciare la storica frase: “Ogni sciocco potrebbe fare il giro del mondo a vela, ma ci vuole un marinaio con gli attributi per riuscire a farlo da sbronzi”. Altri tempi, la vela è cambiata. Nel 1968 venne organizzata la Golden Globe Race, la prima regata intorno al mondo in solitario, quella che ebbe tra i protagonisti Robin Knox-Johston (vincitore, in 268 giorni a bordo della suo ketch Suhaili) e Bernard Moitessier (ritiratosi in Polinesia come gesto di rivolta contro il mondo moderno), arrivarono gli sponsor.

Era nata l’avventura “sportiva”, quella che continua ancora oggi con regate mitiche come il Vendée Globe, la Volvo Ocean Race (ex Whitbread, ovvero il giro del mondo in equipaggio a tappe) e le più “dilettantistiche” Clipper Race e Global Ocean Race. Alcuni nostalgici sostengono che la vela oceanica di oggi non abbia più lo stesso fascino di una volta (gli stessi che “ma quale Alonso, viva Nuvolari!”). Ma che ci provino a non chiudere occhio per settimane, volando sulle acque a 27 nodi, circondato dall’oceano, come ha fatto Gabart. Qui sotto, vi raccontiamo otto giri del mondo entrati nella storia.

OTTO GIRI DEL MONDO (O QUASI) ENTRATI NELLA STORIA

1890
Joshua Slocum
1157 giorni
Viene considerato il più grande di tutti semplicemente perché è stato il primo uomo ad aver completato la circumnavigazione intorno al mondo su un ex peschereccio per ostriche di poco più di 11 metri. Lo Spray di Slocum impiegò tre anni, due mesi e due giorni per fare ritorno a Newport (Massachussets), dove era partito nel 1895. Diventato un eroe, Slocum non seppe gestire la sua gloria: eterno irrequieto, salpò nel 1909 e sparì nell’Oceano.

1967
Francis Chichester
274 giorni
A 65 anni suonati, Francis Chichester (1901-72) circumnavigò il globo in solitario sul suo Gypsy Moth IV doppiando i tre grandi capi (Buona Speranza, Leeuwin e Horn), impiegando 274 giorni tra il 1966 e il ’67. Il primo grande navigatore dell’epoca contemporanea, il primo a riuscire nell’impresa (Slocum non aveva doppiato tutti i capi). E pensare che la passione per il mare a lui, amante dell’aviazione, era nata molto tardivamente.

1969
Robin Knox-Johnston
313 giorni
E’ la leggenda vivente della vela oceanica. Dopo 313 giorni di navigazione, nel 1969, Robin Knox-Johnston vinse la folle regata, la Golden Globe, e a soli 28 anni entrò nella storia: era il primo uomo ad aver circumnavigato l’orbe terracqueo in solitario e senza scalo. La barca che lo condusse al successo, Suhaili, l’aveva costruita lui stesso completamente in legno. Per orientarsi in mare usò solo il sestante.

1969
Bernard Moitessier
Ritirato “per protesta”
Il grande navigatore francese (1925-1994), padre di quella vela romantica che ha fatto sognare generazioni di marinai, divenne famoso non per aver concluso il giro del mondo, ma per averlo interrotto. Stupì il mondo intero quando, nel 1969 annunciò di voler abbandonare la Golden Globe (dopo 37.455 miglia: mentre stava insidiando la vittoria di Knox-Johnston) e fece rotta verso Tahiti per “salvare la propria anima” e fuggire dal mondo moderno.

1990
Peter Blake
128 giorni
“Per vincere devi credere che ce la potrai fare. Devi essere convinto. Devi veramente desiderare il risultato, anche se dovrai lavorare per anni. La parte più difficile di qualsiasi progetto è iniziare”. Massima del grande marinaio neozelandese Peter Blake (1948-2001). Voleva vincere il giro del mondo a tappe: ce l’ha fatta dopo cinque tentativi consecutivi. Trionfò alla Whitbread 1989-90 con il ketch Steinlager 2. Dalla prima edizione, nel 1973, ci provava senza successo.

1999
Giovanni Soldini
116 giorni
Fu proprio grazie alla vittoria nell’edizione 1998-99 della Around Alone (giro del mondo in solitario a tappe), a bordo del 60 piedi Fila, che lo skipper milanese (classe 1966) conquistò la fama mondiale: soprattutto per il salvataggio di Isabelle Autissier, rovesciatasi in pieno Pacifico. In effetti, il risultato sportivo passò in secondo piano: ma ad oggi, Giovanni Soldini è l’unico marinaio italiano ad aver vinto in giro del mondo in solitario. Chapeau.

2010
Alessandro Di Benedetto
268 giorni
Alessandro Di Benedetto, nato a Roma nel 1971 da papà siciliano, a bordo di un minuscolo 6 metri e mezzo (Findomestic, un Mini 6.50 modificato per l’occasione), ha compiuto il giro del mondo in solitario senza scalo. Mai nessuno ci era riuscito con un’imbarcazione di tali dimensioni. Partito da Les Sables d’Olonne il 26 ottobre 2010, vi è ritornato dopo 268 giorni di navigazione sulla stessa rotta della Golden Globe Race del 1968-69.

2017
François Gabart
42 giorni
Le cifre parlano per lui: 42 giorni intorno al mondo, volando a una media di oltre 27 nodi e percorrendo quasi 28.000 miglia. Un record incredibile, quello che ha realizzato a bordo del maxi trimarano Macif nel 2017. E che fa “filotto” con le vittorie al Vendée Globe 2013, alla Route du Rhum 2014, alla Transat Jacques Vabre nel 2015 e alla Ostar 2016. A 34 anni, quello del francese è un palmares davvero eccezionale. Cos’altro gli riserverà il futuro?

 

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La classe e lo stile sbarcano al VELAFestival: anche The Fifty ha detto “presente”

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Ci sono barche il cui concetto parte da ciò che devono contenere gli interni. Ce ne sono altre che partono invece da un’idea precisa di design e di estetica. Il nuovo The Fifty di Eleva Yachts appartiene decisamente a questa seconda categoria e ve lo dimostrerà al VELAFestival di Santa Margherita dal 3 al 6 maggio. La super sportiva disegnata da Giovanni Ceccarelli ha infatti ufficializzato la presenza alla nostra grande festa, sarà per voi l’occasione per salire a bordo, guardarla da vicino e prenotare una prova in mare. Noi l’avevamo provata e vi riproponiamo di seguito il nostro test realizzato a Viareggio in una giornata di vento leggero.

IL NOSTRO TEST

Una barca dal look ricercato grazie al lavoro di Giovanni Ceccarelli, abile a personalizzare le linee di questo 50′ sul brand, al fine di dare una caratterizzazione forte al modello d’esordio del nuovo cantiere italiano. Prua inversa, linea del ponte su due livelli con una curva a ricordare quella di un’onda, tuga appena accennata e look filante: praticamente inconfondibile.

Siamo stati a Viareggio a provarla dopo averla vista in costruzione in cantiere (LEGGI QUI) e averla studiata da vicino in occasione del Salone di Cannes (LEGGI QUI). La curiosità di vedere all’opera The Fifty era tanta, perché questo nuovo performance-cruiser di razza, oltre a un’estetica ricercata, si caratterizza per la costruzione in carbonio ed epossidica con un elevato numero di punti d’infusione per controllare nel dettaglio la quantità della resina e il grado di catalisi, un particolare che garantisce rigidità, leggerezza, e quindi prestazioni, al progetto.

LE FOTO DAL DRONE DI UMBERTO DE LUCA DI ONE SAILS ITALIA



La giornata nelle acque toscane è stata di brezza leggera che non ha mai superato i 6-7 nodi, proprio le condizioni in cui una barca con simili ambizioni deve poter fare la differenza in termini di performance.

Durante il nostro test, in navigazione al traverso sotto A0

The Fifty è una barca che, nonostante l’indole sportiva, si conduce con semplicità. La demoltiplica sui timoni è misurata con attenzione così da garantire una risposta immediata alla minima correzione sulla ruota, senza ritardi, il tutto si traduce in una sensibilità precisa sulla conduzione: ad ogni azione corrisponde in diretta una precisa reazione della barca, così come deve essere.




Le manovre sono rinviate a ridosso della timoneria con una doppia coppia di winch Harken Performa adeguatamente dimensionati: drizze, vang, scotta randa e scotte fiocco, tutto è a portata di mano, incluso il carrello randa incassato dotato di uno strozzatore a ganascia appena sotto la seduta del timoniere.

IL NOSTRO VIDEO

I numeri non hanno deluso, nonostante durante il nostro test fosse ancora in corso la messa a punto dell’albero in carbonio Southern Spars. The Fifty con 5 nodi di vento e un angolo apparente intorno ai 35-40 gradi non ha faticato a pareggiare l’intensità dell’aria con punte fino a 5.3 nodi. La musica non è cambiata, ma anzi è anche migliorata, quando abbiamo navigato al traverso-lasco sotto A 0: con 6-7 nodi la barca si mantiene 0.2 0.3 nodi sopra la velocità del vento.

Gli interni sono caratterizzati da un’estetica senza eccessi o forzature. La sensazione, data dal baglio massimo importante, è quella di trovarsi a bordo di una barca di dimensioni superiori a un 50 piedi.



Per gli amanti del gusto sobrio il mobilio interno è in un mix di legni laccati in bianco e al naturale. Il layout del modello che abbiamo provato prevedeva l’armatoriale a prua, due cabine a poppa e doppio bagno.

La prova completa di The Fifty, tutti i dettagli sui numeri e i particolari costruttivi, nei prossimi numeri cartacei del Giornale della Vela.

Lunghezza 16,50 m

Larghezza 4,86 m

Immersione 2,87 m

Dislocamento 10500 Kg

Zavorra 3900 Kg

Superficie velica di bolina 154 mq

Superficie velica alle portanti 328 mq

www.elevayachts.com

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Ecco la barca a vela più grande del mondo. Benvenuta Black Pearl

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Il sogno di un ricchissimo armatore è diventato realtà. Gli è stato consegnato il tre alberi 106,70 metri Black Pearl costruito da Oceanco, la barca a vela più grande del mondo: d’accordo, ci sarebbe quel mostro che è “A” di Andrei Melnichenko (143 metri), ma alzi la mano chi la considera una barca a vela.

La mastodontica barca è frutto del lavoro di un gruppo internazionale di progettisti, ingegneri, architetti navali, costruttori e project manager.

Gli studi Ken Freivokh Design, Nuvolari Lenard e Villate Design hanno giocato un ruolo chiave, come peraltro Dykstra Naval Architects, che ha disegnato i tre alberi da 70 metri Dynarig in carbonio. Ovviamente le vele sono comandate premendo un semplice pulsante, e i 2.900 metri quadri di tela possono essere pronti all’uso in sette minuti.

Photo Credit DutchYachting

Il sistema di propulsione ibrido e gli impianti a bordo sono a cura di BMT

SCHEDA TECNICA
Costruzione: scafo in acciaio, sovrastruttura in alluminio
Lunghezza: 106,70 m
Baglio max: 15 m
Velocità 17,5/30 nodi
http://www.builtbyoceanco.com

 

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Forniture Nautiche Italiane, il “gran bazar” del velista al VELAFestival!

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forniture nautiche italianeNata nel 1983 a Cecina, Forniture Nautiche Italiane ad oggi conta più di 13.000 prodotti scelti tra i migliori produttori a livello mondiale. Dal 2013 è distributore di Plastimo per l’Italia e negli anni il catalogo si è arricchito di prodotti progettati in-house, come l’interruttore di sentina Sentinel. Al TAG Heuer VELAFestival (3-6 maggio, Santa Margherita Ligure) toccherete con mano tutte le sue novità tra prodotti dedicati all’ancoraggio e ormeggio, ferramenta nautica, accessori di coperta, corderia, sicurezza, manutenzione e pulizia, arredamento, idraulica, impianti, strumenti elettronici, ricambi e molto altro… Ma intanto vediamo qualche “chicca” del ricco catalogo dell’azienda toscana (che conta di una sede di ben 5.200 mq). www.fni.it

DECKMATE
Linea di pulizia per l’uso quotidiano su tutti i tipi di imbarcazione. Si caratterizza per la qualità dei materiali che garantisce una lunga durata. Il sistema è composto da un’ampia serie di accessori e dei manici fissi o telescopici in alluminio anodizzato. Il sistema Quick-Release che li collega è compatibile con gli altri prodotti in commercio.

BUSSOLE PLASTIMO
Eleganti e affidabili, le bussole Plastimo sono la perfetta sintesi tra esperienza artigianale e tecnologia. Da 50 anni, Plastimo crea bussole uniche al mondo, prodotte con tecniche sofisticate, ma controllate ed equilibrate manualmente. Tutte le bussole sono garantite 5 anni, grazie ai controlli in ogni stadio di produzione: invecchiamento, vibrazione, resistenza, climatiche, stabilità, precisione.

SENTINEL
L’interruttore di sentina intelligente che risolve il fastidioso problema dell’acqua in sentina, anche quando si è lontani dalla barca. Può essere installato fuori dalla sentina e attiva la pompa automaticamente quando l’acqua arriva a bagnare i suoi sensori, e la disattiva non appena il problema è risolto.

BOZZELLI BARTON
Fabbricati in poliammide, caricati in fibra di vetro e acciaio inox, sono leggeri e resistenti. La gamma comprende bozzelli, winch, collarini self-tailing, avvolgifiocco, vang rigidi, protezioni in carbonio e kevlar.

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Dalla crociera alla regata: il mondo Jeanneau sbarca al VELAFestival

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Jeanneau pensa alla crociera ma non dimentica le sportive. Dallo stesso cantiere nascono barche come il Jeanneau 440, il 490 o il 319. Ma Jeanneau produce anche barche come il Sun Fast 3600, vera dominatrice delle ultime stagioni offshore in Mediterraneo e non solo. La versatilità Jeanneau sbarca quindi al VELAFestival, un’occasione in più per non perdere la nostra grande festa di Santa Margherita dal 3 al 6 maggio.

Gli ultimi modelli Jeanneau da crociera si caratterizzano per soluzioni progettuali veramente innovative, come per esempio il 440 firmato da Philippe Briand, che sarà presente al VELAFestival grazie a Union Yachts. Eravamo stati a provarlo in anteprima a Les Sables d’Olonne. Vi riproponiamo la nostra prova come gustosa anteprima in attesa del VELAFestival.

IL NOSTRO TEST

Una sorpresa perfetta. Quando abbiamo ricevuto la telefonata di Andrea Cragnotti, responsabile per l’Italia del cantiere francese Jeanneau, siamo rimasti tutti a bocca aperta: “Abbiamo messo in acqua una nuova barca, vi invitiamo a provarla in esclusiva a Les Sables d’Olonne, è un 45 piedi davvero rivoluzionario, di cui nessuno ha sentito ancora parlare”. E in effetti era davvero così. Di un nuovo Sun Odyssey 440 nessuno sapeva nulla e la barca ci aspettava già in acqua per una prova in esclusiva, prima di qualsiasi comunicazione ufficiale alla stampa. Un vero colpaccio dei francesi!
Detto, fatto. Sono volata nella capitale della vela francese, sede della mitica partenza del Vendee Globe. Ma le soprese non erano finite. Ad aspettarmi in banchina trovo un vero guru della vela mondiale, Philippe Briand, che questa barca l’ha pensata in ogni suo minimo dettaglio. “Sarà che forse sto diventando vecchio anche io” – esordisce il grande progettista francese – “e nel disegnare questo nuovo modello ho messo davanti a ogni cosa la comodità e semplicità della vita a bordo. Le automobili sono sempre più comode, la tecnologia sempre più ergonomica, e di conseguenza si aspettano questo anche le persone che vanno per mare. In poche parole tutto oggi tende a essere semplificato. Partendo da questo ragionamento le linee di scafo e il concept di coperta della barca sono state una diretta conseguenza. Progettualmente la poppa delle barche è stata negli ultimi anni esasperata al massimo e non c’è più larghezza dietro da conquistare. E così ho cercato lo spazio a prua ispirandomi agli ultimi mini con la prua rotonda a scow per spostare avanti il baglio massimo della barca e conquistare spazio sottocoperta.

Questo senza intaccarne le prestazioni, che, come hanno dimostrato i Mini 6,50 con la prua tonda, sono di tutto rispetto, soprattutto alle portanti. Grazie a questa innovazione è stato possibile realizzare una cabina di prua di dimensioni insolite per un 45 piedi e ricavare un ampio calavele difficile se non impossibile da trovare in barche di simili dimensioni.
In poche parole ho cercato di conquistare ogni spazio inutilizzato a bordo e di renderlo funzionale alla vita in barca. Credo che questa imbarcazione riuscirà a essere attuale anche tra dieci anni, perché porta con se un’importante identità”.

UN GIRO IN COPERTA.. E BRIAND COME CICERONE: UN POZZETTO CHE DIVENTA LARGO QUANTO LA BARCA
Dopo aver osservato la barca dalla banchina saliamo finalmente a bordo e un’altra grande innovazione si rende subito evidente: non esiste più alcun ostacolo tra il passavanti e il pozzetto, ma il primo da prua scende dolcemente verso poppa (il dislivello è di circa 60 cm) fino ad arrivare allo stesso livello del secondo all’altezza delle ruote senza soluzione di continuità.

Una soluzione già adottata a bordo dei super yacht ma che ancora non si era visto a bordo di imbarcazioni di queste dimensioni e che va a sfruttare uno spazio generalmente inutilizzato a bordo delle barche. Ma quali sono i vantaggi?
Prima di tutto l’assenza di ostacoli nella circolazione a bordo: non è più infatti necessario scavalcare per passare dal pozzetto al passavanti, questo permette di avere le panche con uno schienale più alto a tutto vantaggio della protezione del pozzetto e infine migliora la visuale dalla zona timoneria perché permette di timonare da una posizione più esterna.

Ed ecco che siamo arrivati a un’altra grande novità: gli schienali delle panche del pozzetto si possono allungare verso l’esterno a creare un gigantesco lettino prendisole che sfrutta tutta la larghezza della barca. Il pozzetto può quindi diventare largo tanto quanto la barca. 


A poppa rimane la plancetta di dimensioni generose e dotata di sistema elettrico per la discesa e il recupero.
Al centro del pozzetto c’è un tavolo con ali sollevabili che crea una vera zona pranzo,all’interno del tavolo è stato pensato un frigorifero portatile e ricaricabile con una presa 220 che associato a un barbacue sempre portatile posizionato (insieme a un lavandino esterno) sotto la seduta del timoniere, sono la soluzione perfetta per scendere in spiaggia con il tender portandosi con se la cena.


Il pozzetto è stato poi disegnato leggermente asimmetrico  per creare più spazio a sinistra del tavolo e facilitare il passaggio: altra soluzione pensata nell’ottica di facilitare la vita a bordo così come quella di posizionare i winch davanti alle ruote per poter agire sul verricello comodamente in piedi.  

INTERNI: TUTTI I VANTAGGI ARRIVANO ANCHE SOTTOCOPERTA
La filosofia del progetto del nuovo Sun Odyssey 440 trova riscontro anche sottocoperta dove gli spazi sono stati studiati da Gian Marc Piaton che ha voluto una cucina centrale molto grande a U (dotata anche di forno a mircoonde a scomparsa), comoda per stare ai fornelli anche in navigazione.
In dinette si vede anche lo spirito long cruise di questa barca che tiene tutti i pesi concentrati in basso (sono infatti assenti gli armadietti bassi ). Non manca luce e la possibilità di vedere il mare da qualsiasi posizione grazie a una doppia linea di finestrature. Interessante anche la soluzione trovata per il tavolo che oltre a ospitare fino a otto persone può essere trasformato in una doppia cuccetta. 

Ma è la cabina di prua il vero fiore all’occhiello: grazie allo spazio guadagnato dalle linee dello scafo l’armatoriale diventa una vera suite con letto a isola di forma perfettamente rettangolare. La porta di questa cabina è doppia e quando è tutta aperta crea un grande open space.

Ampio spazio è stato riservato anche al tavolo da carteggio che mantiene una posizione da protagonista sottocoperta: un vero spazio da lavoro, quasi fosse un piccolo ufficio a bordo. I layoout a disposizione sono a due o tre cabine. Nella versione a due cabine, la seconda cabina di poppa diventa un locale lavoro davvero grande con accesso diretto dal pozzetto (sotto la panca), per gli armatori che strizzano l’occhio alle lunghe navigazioni.

IN NAVIGAZIONE

Appena usciti dal porto di Les Sables abbiamo srotolato il Code 0: la barca ha fatto registrare subito buone velocità assestandosi su una velocità di di 7 nodi con 10,5 di vento. Per quanto rigaurda la bolina a un angolo apparente di 40° navigavamo intorno ai 5.7 nodi. Un occhio di riguardo per le prestazioni è dimostrato anche dal gioco di vele della Elvstrom “più cattivo” rispetto” a quello fornito di serie sui precedenti modelli. Il modello protagonista del test era poi dotato di albero versione performance, più alto e in grado di armare un piano velico con una superficie del 10% superiore rispetto a quella standard.
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