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“Quadra questa vela!” Se non sapete cosa significa è tempo di imparare

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Navigare in barca a vela è qualcosa di magico, ma se durante quest’estate stiamo facendo il nostro “battesimo” sicuramente ci stiamo confrontando con diversi termini nautici la cui comprensione non sempre è immediata. Onde evitare di fare una faccia da “pesce lesso” se ci viene chiesto di “ghindare” andiamo a vedere cosa significano questa ed altre espressioni.

Ghindare: termine usato tra i derivisti e poi applicato anche sulle barche d’altura. Significa cazzare la drizza del fiocco fino ad ottenere la regolazione desiderata.

Strallare: Quando navighiamo con lo spinnaker, significa lascare il braccio avvicinando il tangone allo strallo, diminuendo così l’esposizione sopravento dello spinnaker.

Quadrare: L’azione opposta dello strallare: cazzare il braccio per esporre maggiormente la vela

Vang: La “ritenuta” che si trova sotto il boma, cazzandola smagriremo la balumina e diminuiremo la svergolatura della randa.

Svergolatura: Quando la parte alta della randa è più aperta con la balumina che in testa è quasi ruotata verso l’esterno della vela.

PER SAPERNE DI PIU’ CLICCA QUI

 

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“CIAONE” porto! Via dalle banchine affollate, viva le baie (sapendo cosa vedere e dove mangiare)

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Via dalla pazza folla agostana per un tuffo nelle zone di mare più belle e selvagge del Mediterraneo, dall’alto Tirreno fino alla parte meridionale del Mar Adriatico.
È in alcune delle più affascinanti parti del Mare Nostrum che abbiamo scelto per voi ben 24 ancoraggi nei quali anche in altissima stagione ci si può godere una natura davvero incontaminata. Ma non solo.

Per selezionare queste baie da non perdere abbiamo utilizzato anche altri due criteri: ogni insenatura deve offrire al visitatore anche qualche bellezza storica o artistica, per la quale valga la pena abbandonare per qualche ora il ponte della propria barca; nelle immediate vicinanze di ogni ancoraggio deve essere facilmente raggiungibile un ristorante ai tavoli del quale si può scoprire la più gustosa e tipica cucina del luogo.

Si parte allora dalla magica Corsica, dove da nord a sud sono ben sei le baie che vi consigliamo. Arrivando invece in Croazia ecco altre cinque calette che sarebbe un delitto non visitare avendo fatto rotta verso oriente. E poi ci sono le splendide isole italiane: tra Eolie e Egadi in Sicilia e le Tremiti in Puglia, sono dieci i luoghi cult dove ancorare. Senza scordare le spiagge più segrete del Gargano. In questa prima puntata, vi parliamo i Corsica e Craozia.

CORSICA

Iles Finocchiarola
42°59’ 10N – 09°28’ 35E
Facilmente riconoscibili per la Torre genovese posta su quella più a E del gruppo e per il relitto di un cargo che affiora, vi si può dar fondo proprio a E dell’edificio , ma attenzione: sulle isole non si può sbarcare. Brulle, rocciose e protette da una Riserva Naturale, ospitano specie rare di lucertola e molluschi. Tutta la zona del Capo Corso, il “dito” della Corsica, è Riserva Naturale dal 1987.

Volete gustare una cucina di pesce freschissimo proprio nella Riserva? Da U Paradisu (0033.612899643), localino spartanissimo situato sulla spiaggia di Tamarone, quasi di fronte alle Iles, la specilità sono i crostacei. Distante poi una manciata di miglia, Macinaggio è il porto dal quale partirono le navi corse battenti bandiera genovese per andare alla battaglia di Lepanto. Nel suo centro storico si va da U Portu (0033. 495354049) per assaggiare la vera cucina tradizionale dell’isola.

Marine de Nonza
42°47’ 25N – 09°20’ 50E
È uno dei più bei ancoraggi della zona, anche se è esposto ai venti da O. Solo con tempo stabile si può gettare l’ancora all’estremità S della spiaggia, dominata dal borgo, in 10 metri d’acqua. Una volta ancorati qui però, da vedere assolutamente è anche il borgo di Nonza, abbarbicato su una falesia alta circa 100 metri: dopo aver scalato i 260 gradini di pietra si passeggia tra le casette colorate fino alla Torre, eretta nel 1700.

Nel pittoresco villaggio corso ci sono pittoreschi negozietti di souvenir e diversi locali per mangiare davanti a una vista splendida a picco sul mare. Tra questi il Restaurant La Sassa (0033. 495385526) che propone cucina locale rivisitata e anche coinvolgenti serate di music jazz dal vivo sulla sua ampia terrazza in legno.

Port Girolata
42°20’ 80N – 08°37’ 10E
Considerata una tra le più spettacolari della Corsica questa piccola ansa è accessibile, nella parte più interna, solo da unità con 2 metri di pescaggio. Dominata da una scenografica Rocca Genovese, è chiusa a N da una spiaggetta attrezzata per i bagnanti. Da terra si arriva solo con lunghe passeggiate quindi è sempre poco affollata.
A terra si scopre un minuscolo pittoresco villaggio incorniciato dalle rocce rosse e dalla verdissima macchia mediterranea. Proprio sulla spiaggia ci sono un minimarket, il colorato chiosco di E Bastelle, che vende pane e pasticceria tipica corsa, e diversi ristorantini. Tra i quali, per una cena a base di pesce, si può scegliere Le Bel Ombra (0033.495201567).

Anse Sainte Barbe
41°51’ 20N – 08°46’ 00E
Ancoraggio attorniato da rocce che spuntano sul lato NE di Pointe di Isolella: si ancora a NE della scenografica Torre, e davanti alla spiaggia, o nella parte SE della cala, in una posizione più tranquilla. Sulla costa meridionale del golfo di Porticcio si allunga per più di un chilometro la bella spiaggia di Sainte Barbe, in estate attrezzata con bar e ristoranti. Tra questi c’è L’Oasis (0033.495255840), indirizzo sicuro per godere di una cucina semplice ma molto gustosa. In lista molto pesce fresco e crostacei ma anche il tipico agnello alla corsa.

Anse de Fazzuolu
41°23’ 35N – 09°07’ 60E
È una spettacolare calanca posta a meno di un miglio da Bonifacio: si entra dal lato N dell’imboccatura caratterizzato dalla presenza di un isolotto. È il posto ideale per riposarsi prima (o dopo) una crociera attraverso le “agitate” acque delle Bocche di Bonifacio. Bonifacio è la città più a sud dell’isola e regala scorci splendidi sulle falesie come quelli che si godono salendo o scendendo dall’Escalier du Roi d’Aragon.

Nel centro di Bonifacio sono tanti i locali interessanti ma per noi il ristorante da non perdere è Chez Jules (0033.495730363), indirizzo famoso per la Boullabaisse corsa e per una cucina raffinata e gustosa. Situato nel borgo medievale di Bonifacio, il locale è molto particolare poiché ricavato da un frantoio risalente al 1806.

Golfe de San Ciprianu
41°37’ 80N – 09°21’ 80E
Si entra nella baia circolare dall’imboccatura larga e sicura di SE, ma facendo attenzione alle rocce attorno a Pointe San Ciprianu, sul lato S della baia. Gettare l’ancora nell’angolo SO. Meno di un miglio a N di Porto Vecchio questa cala ospita una lunga spiaggia bianca e nella rada l’Ile Cornuta di rocce rosse.

Al centro del Golfo di San Ciprianu ci sono negozi e ristoranti: da non perdere è per noi Le Cabanon Bleu (0033.611690056). Aperto solo d’estate sulla spiaggia fa da ristorante specializzato in aragosta e crostacei e da birreria piedi nell’acqua. Spostandosi invece nel centro di Porto Vecchio un locale interessante è Sous La Tonnelle (0033.495700217) che offre solo piatti delle cucina tradizionale della zona, non necessariamente di pesce.

CROAZIA

Isola di Skarda. Skarda
44°17’ 40N – 14°42’ 00E
Superato lo stretto braccio di mare del Passaggio di Premuda (Premudska Vrata), si arriva all’isola di Skarda: molto bella la baia omonima, posta sulla costa O e ideale per una sosta prolungata ma anche solo per un bagno in un bel mare turchese. Disabitata e interamente coperta dalla macchia mediterranea, Skarda ospita al centro della profonda insenatura di Griparica, posta sulla costa S, un vecchio forte, da raggiungere con una gradevolissima passeggiata a terra. Essendo l’isola disabitata, per provviste o per mangiare ai tavoli di un buon ristorante bisogna raggiungere la vicinissima (poco meno di un miglio) Premuda: nel centro del villaggio di Premuda si trova Kod Celestina (00385.955449808), ristorante accogliente e famigliare che propone sia cucina di mare che di terra da gustare su una bella terrazza.

Isola di Dugi Otok. Telascica
43°55’ 00N – 15°09’ 00E
È un profondo fiordo, che si insinua per 5 miglia nel lato S di Dugi Otok e che è protetto da un’omonima riserva naturale, istituita nel 1988. In estate l’ingresso si paga ai gommoni della riserva, (prezzi da 200 kune; info: tel. 00385 23377096), quindi si getta l’ancora in fondo al fiordo in 10 metri d’acqua, attorno agli isolotti Skoli. Lungo il lato sud del fiordo si raggiunge a piedi il lago salato di Mir: la sua acqua azzurra è sempre di un paio di gradi più calda di quella del mare aperto.

Dalla spiaggia che fronteggi gli isolotti Skoli parte un sentiero panoramico di 6 km che porta al borgo di Sali, dove ci sono negozi e ristoranti. Interessante e grazioso è la Konoba Marin (00385. 23377500): suggestivo perché incastrato tra le viuzze e le scalinate del villaggio offre una cucina di pesce fresco cucinato alla griglia.

Isola di Kornati. Lavsa
43°48’ 00N – 15°17’ 30E
Navigando lungo la costa SO di Kornati, isola più grande e che fa parte dell’omonimo arcipelago, si trova la piccola baia di Lavsa: tonda e selvaggia, offre un ancoraggio ridossato da tutti i venti, ma con fondali profondi al massimo 2-3 metri. Pagata la tassa d’ingresso (prezzi da 240 kune) al Parco delle Isole Kornati si gode lo spettacolo naturale dell’arcipelago dalmata sostando in una o più delle sue calette incantate. Nel parco è permesso fare immersioni, snorkelling e nuotare ma non è assolutamente permesso campeggiare.

Tra le acque del parco si incontrano diverse “boat-market”, barche che vendono ai turisti generi alimentari, mentre un market con articoli nautici si trova sull’isola di Vela Panitula. Per chi vuole invece un buon ristorante c’è Beban, locale che si trova proprio sull’Isola di Kornati (00385.99475739): si attracca direttamente agli anelli che sporgono dal pontile ed è un indirizzo famigliare ma molto accogliente. In menu piatti di mare ma anche il saporito agnello isolano.

 Isola di Sveti Klement. Vinogradisce
43°09’ 40N – 16°23’ 40E
Sulla costa di Sveti Klement, maggiore delle Isole Pakleni Otoci, si apre questa splendida cala, ben ridossata dai venti da E e NE. Le cosiddette Isole Infernali sono un insieme di bassi e verdissimi atolli che fronteggiano da NO la costa del borgo di Hvar sull’isola omonima. Sono un paradiso per i diportisti poiché ospitano baie disabitate e selvagge come quella di Palmizana.

Per mangiare a Sveti Klement c’è Tonci (00385.217424800): è una casareccia osteria dove tutto il pesce è freschissimo, è cucinato al momento sulla griglia in giardino e servito col profumato vino della casa. Nel centro del borgo di Hvar, 2 miglia a E di Sveti Klement, ci sono negozi, market e anche un altro ristorante da provare: Kod Kapetana (00385.21742230) è sul lungomare davanti al porto e offre piatti di cucina tradizionale dalmata.

Isola di Vis. Rukavac
43°01’ 70N 16°13’ 80E
Siamo sulla costa E della piccola Vis, posta a SO di Hvar, ed è qui che si trova questa cala chiusa da una spiaggia di ciotoli bianchissimi: si getta l’ancora a NO dello scoglio Ravnik in 20 metri d’acqua. Scendendo a terra nella cala di Rukavac a cinque minuti a piedi si trova l’osteria Konoba Ferol (00385.21714011): famigliare e rustica ma molto accogliente propone piatti isolani di mare ma soprattutto di terra, inaspettati e gustosissimi.

Proprio sulla spiaggia di Rukavac c’è invece un divertente chiosco chiamato Diamond Beach (00385.913736888) che è la location ideale per una birra o un aperitivo piedi nell’acqua. Da vedere poi sull’isola di Vis c’è il borgo capoluogo: di origini antichissime, fu fondato dai greci nel IV secolo a.C., ospita oggi vestigia Romane e medievali. Nell’altro villaggio isolano di Komiza c’è invece un ristorante consigliato: è Jastozera (00385. 955109907) che su una terrazza vista mare offre ottima cucina di pesce.

LEGGI LA PRIMA PUNTATA DELLA NOSTRA SELEZIONE DI BAIE IN TIRRENO

LA SECONDA PUNTATA  TIRRENO

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Rainbow, la barca simbolo dell’epopea J-Class in Coppa America

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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.

VOTA LA TUA PREFERITA QUI!

La visita del nostro “museo virtuale prosegue oggi con Rainbow, il mitico J-Class che difese con successo la Coppa nel 1984. Ma che cardiopalma!

Progettato da W. Sterling Burgess e costruito nei cantieri di Herreshoff a Bristol, il Rainbow è stata una delle barche simbolo dell’epopea dei J-Class: su questa splendida barca di 39,96 metri Harold Vanderbilt difese la Coppa in rimonta nel 1934 contro l’Endeavour del magnate inglese T.O.M.Sopwith. Venne anche proposta per la difesa della Coppa nel 1937, ma la sfida interna venne vinta da un altro super J-Class, Ranger. Purtroppo venne demolita nel 1940, oggi naviga una sua replica.

Rainbow infatti vide nuovamente la luce nel 2012, quando venne ricostruita (seguendo il progetto originale) da Dykstra & Partners. Solo alcune modifiche: l’acciaio viene sostituito dall’alluminio nello scafo, in modo tale da renderlo più competitivo. C’è anche un albero in carbonio, supervele North e un sistema di propulsione ibrida (elettrico-diesel da 350 kW).

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Mura, penna, ralinga e balumina: conosciamo meglio le nostre vele

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Le vele sono il motore delle nostre barche, ma siamo sicuri di conoscere i nomi giusti per definire ogni loro parte? Ogni lato, ed ogni angolo di una vela, hanno infatti un loro nome preciso ed è importante conoscerli per farci trovare pronti quando veniamo coinvolti in una manovra. Proseguiamo quindi la nostra “scuola vela virtuale estiva” con una nuova puntata della nostra rubrida dedicata ai termini nautici.

Fileggiare: Sbattere delle vele quando il vento giunge in una direzione quasi parallela alla loro superficie, facendo sì che esse non riescano a gonfiarsi bene e non diano una spinta sufficiente a far avanzare l’imbarcazione.Filétti: i “segnavento” posizionati orizzontalmente sulla vela di prua, ma a volte anche sulla randa, solitamente in basso ed in testa alla vela vicino all’infieritura, utili a regolare corretamente la tensione della scotta.

Penna: Il vertice alto della vela al quale colleghiamo la drizza.

Mura: il vertice basso della ralinga di una vela che mureremo in coperta in caso di un fiocco/genoa o nel punto di incontro tra albero e boma in caso della randa.

Punto di scotta: l’angolo della vela posizionato nel vertice basso della balumina a cui collegheremo le scotte.

Ralinga: Il lato della vela tra penna e punto di mura

Balumina: il lato della vela tra penna e punto di scotta

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Kon-Tiki, Thor Heyerdahl e la prima grande impresa oceanica “dimostrativa”

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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.

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L’epopea delle grandi imprese oceaniche “mediatiche” inizia dal Kon-Tiki. Ecco la storia della zattera a vela con cui Thor Heyerdahl entrò nel mito

IL KON-TIKI (1947)
Sul Kon Tiki, zattera di legno di balsa di ispirazione inca (lunga 13,7 m) l’esploratore norvegese Thor Heyerdahl salpò a vela dal Perù approdando in Polinesia:
è stata la prima grande impresa mediatica (1947), atta a dimostrare che la colonizzazione della Polinesia poteva essere avvenuta, in epoca precolombiana, da parte dei popoli sudamericani.


Si legge sul sito Nautica Report:

Il corpo principale, e primaria parte galleggiante della zattera, fu costituita da nove tronchi di balsa accostati tra loro, lunghi fino a 14 metri e 60 cm di diametro. I tronchi erano accostati e fissati ai sovrastanti traversi, costituiti sempre in tronchi di balsa lunghi 5,5 m, e di 30 cm di diametro, spaziati tra loro di circa un metro. I tronchi longitudinali ed i traversi erano legati tra loro da robuste funi di canapa di 3 cm di diametro. Tra i tronchi longitudinali lunghe pale di legno di pino svolgevano la funzione di derive. L’albero in legno, in fusti di Mangrovia, era composto da più fusti uniti a costituire una forma ad “A” di circa 8,8 m di altezza, a poppa dell’albero fu costruita una “cabina” in bambù intrecciato, lunga 4,2 m e larga 2,4 m coperta da un tetto di foglie di banano.

A poppa un lungo remo (circa 5,8 m), in legno di mangrovia, collocato tra pioli e brandeggiabile, con alla estremità una “lama” di legno di abete funzionava da timone. La grande vela (4,6 x 5,5m) era fissata ad un boma costituito da un fascio di steli di bambù legati tra loro. Le immagini fotografiche rappresentano anche una piccola vela superiore alla grande, ed inoltre una terza a poppa. La zattera era coperta in parte, come piano di calpestio, da una sorta di stuoia di fusti di legno intrecciati con bambù.

Il Kon-Tiki aveva una riserva di 250 litri di acqua in “tubi” ricavati in canne di bambù. Come cibo aveva circa 200 noci di cocco, patate dolci, e vari altri tipi di frutti . L’esercito americano fornì razioni da campo, scatolame e porzioni di sopravvivenza. In cambio l’equipaggio del Kon-Tiki era impegnato a testare la qualità delle provviste e fare un rapporto sulla dieta praticata. In realtà l’equipaggio confidò sulle possibilità di pesca, e sulla possibilità di raccolta dell’acqua piovana, tale fiducia, fortunatamente, ebbe positivi riscontri, sia per la pesca che per ricorrenti temporali.
La spedizione con emittenti radio amatoriali, con sigla LI2B, mantenne la comunicazione regolare con corrispondenti americani, canadesi, e sud americani i quali tennero la Ambasciata norvegese a Washington informata sugli sviluppi della spedizione. Il successo di tali contatti fu dovuta alla esperienza maturata nella Seconda guerra mondiale come operatori di radio clandestine. Knut Haugland, LA3KY, e Torstein Raaby, il 5 di Agosto riuscirono a collegarsi con Oslo, in Norvegia, su una distanza di circa 10’000 miglia. La spedizione era dotata di tre apparecchi radio trasmittenti a tenuta d’acqua. Il primo operava su una lunghezza d’onda di 40 metri, un secondo di 20 metri ed il terzo di 6 metri. Le radio, con la tecnologia allora in uso, erano apparecchi voluminosi e con tecnologia a valvole termoioniche 2E30, con una uscita in radiofrequenza di 10 Watt.

Come trasmettitore di emergenza usarono anche un trasmettitore tedesco Mark V del 1942. L’energia per la trasmissione era erogata da batterie e da un generatore azionato a manovella. La radio ricevente del Kon Tiki fu una National Radio Company NC-173. L’equipaggio trasmetteva inoltre a mezzo la radio amatoriale LI2B, con la corrente del generatore azionato a manovella, il messaggio ripetuto “all well” (tutto bene) in modo da evitare inopportune attivazioni dei soccorsi in caso di altre interruzioni dei collegamenti radio. Il Kon-Tiki lasciò Callao, Peru, il pomeriggio del 28 aprile 1947. La zattera fu inizialmente trainata in mare aperto a circa 50 miglia dalla costa dal rimorchiatoreGuardian Rios della Marina Militare peruviana; lo scopo fu quello di far raccogliere la zattera dalla Corrente di Humboldt, che nelle intenzioni della spedizione sarebbe stato il motore primario del movimento della zattera nel Pacifico. La prima terra avvistata fu l’atollo di Puka-Puka il 30 luglio, si ebbe un breve contatto con pescatori dell’isola di Angatau il 4 agosto, ma le condizioni di mare e delle coste non permisero di approdare. Il 7 agosto la zattera fu scagliata dal mare sulle scogliere coralline di un isolotto disabitato dell’atollo di Raroia, nell’arcipelago delle Tuamotu, subendo notevoli danni. La zattera aveva percorso una distanza di circa 3’770 miglia nautiche (circa 4300 effettivamente navigate) in 101 giorni, con una velocità media di circa 1,8 nodi. Dopo aver passato diversi giorni in solitudine sull’isolotto l’equipaggio fu raggiunto da abitanti delle isole vicine, dopo che pescatori indigeni avevano avvistati i rottami della zattera incastrati nella scogliera. L’equipaggio fu trasferito al villaggio dove ne fu festeggiato l’arrivo con canti e danze tradizionali. Infine fu trasportato a Tahiti dallo schooner francese “Tamara”, con il relitto della zattera e tutto quanto si riuscì a recuperare.

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Agguanta quella cima! Sai cosa significa? Conosciamo i termini nautici

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Prosegue il nostro viaggio tra termini marinari insoliti e nomenclatura che lascia disorientato il velista alle prime armi. Nella puntata odierna ci occuperemo di termini relativi ad alcune manovre, per non restare a bocca aperta quando qualcuno in mare ci chiede “acqua”.

Chiedere, dare acqua: lasciare spazio per far passare un’imbarcazione.

Accostare: Avvicinare il fianco di un’imbarcazione a quello di un’altra o a una struttura fissa.

Agguanta!: comando che si dà a chi fila o ala un cavo per mantenere una manovra nella tensione in cui si trova.

Abbisciare: Disporre una catena o un cavo ravvolte in spire, affinché sia possibile svolgerla ra- pidamente.

Afforco: Ormeggio con due ancore disposte a forca, che limita il brandeggio dell’imbarcazione.

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Come un Dufour diventa un superyacht: 412 e 460 Limited Edition

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I Dufour 412 e 460 durante il nostro test

Finalmente! Anche nella nautica come accade da tempo nel settore dell’auto nascono le serie “Limited Edition” che arricchiscono, impreziosiscono, migliorano le versioni esistenti. Il risultato che abbiamo davanti agli occhi nell’intervento che ha effettuato Euro Sail Yacht con i modelli del cantiere Dufour 412 e 460 è in poche parole di aver reso delle barche da crociere dei veri, piccoli superyacht.. Ecco com’è andata la nostra visita a Salerno, alla base charter di Euro Sail Yacht.

QUANDO L’ESTETICA CONTA

Giungo al Marina di Arechi, in Costiera Amalfitana, in un bel pomeriggio soleggiato, con una robusta brezza termica che imbianca il golfo. I due Dufour, 412 e 460, sono ormeggiati uno di fronte all’altro sullo stesso pontile ed una cosa mi salta subito all’occhio: da lontano hanno un look che si distingue nettamente rispetto al resto delle barche a vela di serie ormeggiate di fianco. Una cosa che cattura la mia attenzione, perché se c’è un difetto nella produzione di serie dei grandi cantieri è quello di fare barche simili tra loro, poco caratterizzate.

Il Dufour 460

Questi due Dufour rompono nettamente lo schema. Può sembrare banale, ma il look, i particolari estetici, in alcuni casi e per un certo tipo di utente, contano più magari di certe caratteristiche tecniche della barca. Le barche a vela non sono degli oggetti fini a se stessi, ma chi le acquista vuole godersi, e al tempo stesso mostrare, la bellezza e la particolarità di questi oggetti. Come nelle auto esistono le case che si affidano a tecnici per “preparare” delle versioni limitate di determinati modelli che vengono impreziositi, così Euro Sail Yacht ed il vulcanico Luca Venica hanno deciso di realizzare un’operazione simile con questi due modelli.

L’EVOLUZIONE DI UN DUFOUR

Il concetto generale delle ottimizzazioni era quello di curare alcuni dettagli estetici e funzionali di questi due modelli per renderli in un certo senso unici, per l’appunto “Limited Edition”. Come si può portare a compimento un’operazione simile? Caratterizzando il look della barca, rendendolo in qualche modo diverso. Lo step successivo ed indispensabile è invece quello di curare alcuni dettagli funzionali per elevare lo standard dell’attrezzatura e differenziarlo dalla produzione di serie.

CARBON LOOK PER ALBERO E VELE

Quando vediamo navigare in mare una barca sotto tela, quali sono (oltre alla linea dello scafo) i due particolari che di solito saltano subito all’occhio? L’albero e le vele. Se osserviamo una barca a vela non da troppo vicino sono le prime due cose che il nostro occhio mette a fuoco. Ed è proprio su questi due elementi che Euro Sail Yacht ha iniziato lo sviluppo delle due barche. La wrappatura dell’albero in carbon look e la scelta di vele in New Generation Tecnora, double taffeta black carbon By Zaoli, cambiano radicalmente l’impatto estetico di queste due barche. L’albero e le vele nere, danno un look aggressivo e sportivo, elementi che di solito non vediamo praticamente mai su barche di serie da super crociera. Se il particolare dell’albero è meramente estetico, quello delle vele è anche strettamente funzionale: la scelta di materiali all’avanguardia rompe un po’ la tradizione che sulle barche da crociera le vele debbano essere al minimo della tecnologia. Una spinta verso la qualità che in un certo senso cambia anche il concetto della crociera stessa, che non viene vista più solo come un trasferimento a motore da un ancoraggio all’altro, ma grazie a un’elevata qualità di vele, accessori e strumentazione, consentono di sfruttare questi oggetti per quello che sono, delle barche a vela, il cui scopo principale è per l’appunto quello di issare le vele e navigare.









AL TIMONE DI UN SUPER DUFOUR

Una volta saliti a bordo del 412 ed usciti dal Marina d’Arechi, riesco contemporaneamente ad osservare dall’esterno il 460 che ci naviga vicino ed entro nell’ottica delle modifiche estetiche e funzionali che sono state realizzate a bordo (entrambe le barche hanno subito analoghe ottimizzazioni).

Apprezzabile la scelta del frullone per il Code 0 made in Italy: un Furler FR X-Bearing 6082T6 Aluminum by UBIMAIOR. Ergonomiche e con una buona presa le ruote, che hanno la manopola originale della Volvo a portata di mano. In manovra l’uscita dall’ormeggio è semplice: nonostante il vento al traverso con il jet thruster la barca gira quasi su se stessa rendendo facile la vita al timoniere.

Il Dufour 412 sotto Code Zero

Chi governa la barca può leggere i dati da tre ripetitori di strumenti differenti: il jumbo all’albero, lo schermo al centro del pozzetto fornito di chartplotter 12’’, ed i piccoli ripetitori dei dati del vento, rotta e log presenti sulle due postazioni del timoniere. A rendere piacevole l’esperienza c’è una bella brezza sui 14-15 nodi che rende tutto più frizzante. Per un momento lascio perdere i particolari sugli accessori e prendo in mano la ruota per godermela. Per capire a pieno la particolarità di queste barche non basta infatti solo osservare ma diventa indispensabile anche timonare. Solo dopo avere sentito le sensazioni di condurre la carena Felci, potremo capire a pieno anche il piacere delle innovazioni introdotte da Euro Sail Yacht, le due cose vanno infatti di pari passo e per la riuscita di un’operazione simile prima serve un progetto che a monte abbia una buona qualità. Cosa che queste due barche sono. Due fast cruiser, che a vela si comportano in maniera ottima grazie ad una carena ben equilibrata ed un piano velico veramente semplice da gestire.

Due barche estremamente docili anche sotto tela: con raffica a vele piene consentono l’errore, non ti puniscono, e garantiscono il controllo anche ad un timoniere poco esperto, così come deve essere una barca con questa filosofia. Internamente la volumetria è da barca di categoria superiore. Il bordo libero alto consente una altezza interna non comune, resa esteticamente gradevole dalla finestratura a metà fiancata. Gli interni sono accoglienti, l’aggiunta di specchi e dei vari accessori fatta da Euro Sail Yacht li rende più giovani, mentre la macchina di climatizzazione reversibile rende la barca praticamente vivibile in qualsiasi stagione

PER CHI NON SI ACCONTENTA

In definitiva il riassunto delle caratteristiche di questi due Dufour Limited Edition porta dritto ad una conclusione: l’estetica conta ed in alcune cose ciò che è bello può essere anche molto funzionale. Perché una barca così? Euro Sail Yacht ha voluto intenzionalmente dare la possibilità a chiunque di poter passare del tempo a bordo di barche armatoriali preparate in maniera unica, per poter provare le emozioni di veleggiare con la barca dei propri sogni. Due barche pensate per quegli armatori che non si accontentano di passare inosservati ma pretendono dalla loro passione ore di alta qualità.

CHARTER WITH LOVE

Il 412 ed il 460 fanno parte della Flotta Charter della Euro Sail Yacht, con base in Costiera Amalfitana a Marina d’Arechi, commercializzate sotto il brand di proprietà CharterWithLove; Per informazioni sulla locazione: charter@eurosailyacht.com

Dufour 412

Lungh. f. t. :12,70 m;

Lunghezza al gall.: 11,15 m

Larghezza max: 4,20 m

Pescaggio: 2,10 m

Dufour 460

Lunghezza f. t.: 14,15 m

Lunghezza al gall.: 12,54 m

Larghezza max:. ..4,50 m

www.eurosailyacht.com

RESTA AGGIORNATO SU TUTTE LE NEWS DI BARCHE E CANTIERI

M.G.

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L’Hérétique, ovvero il destriero del “pazzo” Alain Bombard

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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.

VOTA LA TUA PREFERITA QUI!

La nostra visita al “museo virtuale” delle barche mito prosegue con il piccolo gommone a vela “L’Heretique”. Ecco perché è una barca speciale:

QUEL “PAZZO” DI BOMBARD (1952)
Tutti dicevano “è pazzo”, quando nel 1952 il biologo francese Alain Bombard si lanciò nella traversata atlantica con un gommone Zodiac a vela di 4 metri e mezzo, l’Hérétique, senza provviste. Voleva dimostrare che i naufraghi muoiono per cause psicologiche e non per mancanza di cibo e acqua. Ci riuscì, sbarcando alle Barbados (da Tangeri), dopo 65 giorni alla deriva, durante i quali si cibò di plancton e bevve acqua di mare, calcolata per non rischiare di morire.

All’esito del suo viaggio concluse che a spingere i naufraghi verso la morte fossero perlopiù cause psicologiche, quali disperazione e paura, essendo concretamente possibile per il naufrago, in buone condizioni di salute, trarre mezzi di sostentamento dal mare stesso. La preparazione del viaggio e l’intera esperienza sono state narrate in un libro intitolato “Naufrago Volontario”.

Ecco cosa scrisse, qualche tempo fa, Repubblica, per celebrarlo il giorno della sua morte, avvenuta nel 2005:

Nel 1952 dalla rada di Las Palmas nelle Canarie si lanciò nell’ oceano Atlantico con un gommoncino di 4 metri e una veletta primordiale che alzava su un remo messo in verticale. Un pazzo? Beh, il mondo dei sette mari è sempre stato pieno di pazzi e dunque non ci sarebbe da meravigliarsi. Ma il dottor Alain Bombard non era pazzo. Si stava lanciando in una impresa «impossibile» per dimostrare una cosa: che un naufrago può sopravvivere a lungo in mare nutrendosi di ciò che il mare offre. Le cronache e i naufragi che lui aveva attentamente studiato mentre lavorava come biologo ricercatore all’ Istituto oceanografico di Monaco, gli avevano suggerito l’ idea che un naufrago non avesse bisogno di costose e complicate zattere di sopravvivenza ma piuttosto di una buona conoscenza del funzionamento della macchina umana e del suo rifornimento giornaliero.


Così, partì avendo a bordo ami e lenze, sacchetti di cotone e uno strano apparecchio che sembrava uno spremiagrumi casalingo. Ed era in realtà uno spremiagrumi, solo che lui lo aveva modificato invertendo la parte su cui si poggia la mezza arancia. In questo modo nella fossetta che si era creata lui metteva un pesce squamato e disliscato e poi tagliato a tocchetti. Spremeva e beveva l’ acqua che ne ricavava. Con i sacchetti raccoglieva il plancton, che abbonda negli oceani e di cui si nutrono anche le balene con le loro enormi fauci e che lui ingurgitava con grande piacere del palato. Il pesce crudo era comunque l’ alimento più ricorrente nel menu quotidiano. Di tanto in tanto beveva anche un po’ di acqua di mare. E fu proprio questo a procurargli la fama del pazzo scriteriato perché la medicina considerava l’ acqua di mare un tabù pericolosissimo, specialmente per i reni.

Dieci anni dopo la sua impresa l’ Organizzazione mondiale della sanità ancora ne sconsigliava l’ uso. Ma Bombard se ne infischiò di tutto e di tutti e partì. Con due remi e una veletta c’ era poco da stare allegri. Rimase per gran parte dei 65 giorni del suo viaggio in balìa dei venti e soprattutto delle correnti. Nelle calme equatoriali il suo «Heretique» procedeva, raccontò una volta, come seguendo i contorni dei petali di un fiore, cerchietti su cerchietti percorrendo moltissime miglia ma rimanendo quasi sempre nello stesso posto.

Anche il battello era una novità assoluta per quegli anni: un gommone. In commercio ancora non esistevano ma una ditta francese, la Zodiac, dicentata poi famosa in questo campo, aveva costruto i battellini per i piloti che cadevano in mare. Costruendo l’ Heretique sulle necessità di Bombard finì per costruire quello che poi divenne, con un motore fuoribordo a poppa, il prototipo di tutti i gommoni, la madre di tutti i gommoni. Anche quelli apparvero in Italia più di dieci anni dopo. Dopo 65 giorni, Bombard approdò nelle Antille. Un po’ dimagrito ma sano e salvo. Non avendo a bordo altro al momento della partenza si era cibato davvero di plancton, pesce crudo, spremuta di pesce e acqua di mare. «Bisogna berne poca – ha raccontato poi per anni e anni a chiunque gli poneva la domanda – e senza mai arrivare alla disidratazione». La pesca durante quei due mesi fu una cosa semplice. «Abboccavano sempre» raccontava estasiato. Soprattutto pesci volanti che saltavano nel pozzetto da soli senza bisogno di ami e lenze”.

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Zittiamo i tuttologi da banchina: 5 nuovi termini nautici per la vostra crociera

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Quanto vi danno fastidio i tuttologi da banchina che passano le loro giornate a dirvi cosa e come fare e a prendervi in giro ogni qual volta non conoscete un termine nautico specifica, facendo sfoggio della loro sapienza? Quest’estate avrete l’occasione per rifarvi, andiamo quindi a ripassare ancora qualche termine tecnico per arrivare preparati all’appuntamento.

Agugliòtto: Perno che costituisce il maschio dei cardini in- torno a cui gira il timone.

Amantiglio o Mantìglio: Cavo fisso o cor- rente che sostiene una o entrambe le estremità di un’asta ap- partenente all’attrezzatura di una nave. Sulle nostre barche a vela generalmente sostiene il boma.

Anemòmetro: Strumento che misura la velocità relativa dell’aria rispetto all’apparecchio. L’impianto fisso sulla nave consta generalmente di un elemento sensibile (per esempio, un’elichetta mossa dalla velocità del l’aria collegata a un generatore tachimetrico a bassa coppia e a bassa inerzia) montato su un supporto girevole che lo orienta secondo la direzione relativa di provenienza del vento; si hanno così le due grandezze: intensità e direzione relativa del vento.

Armare: Fornire un’imbarca- zione di tutto ciò che, in uomini e materiali, è necessario alla na- vigazione.

Autovirante: Detto di un fiocco il cui punto di scotta è posto su una rotaia trasversale rispetto all’asse dell’imbarcazione o sulla varea di un boma e che quindi non deve essere manovrato durante le virate.

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Gipsy Moth IV, la barca di Chichester che è diventata monumento

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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.

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La visita del nostro “museo virtuale” delle barche mitiche prosegue con il Gipsy Moth IV, la barca con cui Chichester entrò nella storia. 

LA BARCA MONUMENTO (1966)
Il Gipsy Moth IV è la barca monumento con cui il 65enne Sir Francis Chichester intraprese il Giro del Mondo in solitario a vela, battendo il record precedente di nove mesi e un giorno.

Lo splendido Ketch di 16 metri, disegnato da John Illingworth e Angus Primrose, si trova da dicembre scorso ormeggiato a Buckler’s Hard in Hampshire sulle rive del fiume Beaulieu, proprio dove era iniziata nel 1966 l’epopea che aveva portato Chichester e la sua barca a ricevere dalla regina Elisabetta I il titolo di Sir con una cerimonia strappalacrime in cui e’ stata usata la stessa spada appartenuta a Sir Francis Drake, il primo uomo a circumnavigare il globo in equipaggio. Gipsy Moth era partito da Buckler’s Hard sul fiume Beaulieu il 12 agosto 1966 scendendo verso la foce nel canale del Solent, dopo aver imbarcato 156 uova coperte di paraffina per mantenerle fresche.

Poi, il 27 agosto 1966 Chichester e il suo fido Gipsy erano partiti per fare ritorno in Inghilterra il 17 settembre 1967, dopo 29.630 miglia di navigazione percorse in 226 giorni, con una sola fermata a Sydney. Il monumento della vela Gipsy Moth IV e’ stato ristrutturato dallo stesso cantiere, Camper&Nicholson, che l’aveva costruito più di cinquant’anni fa, con una spesa di 400.000 sterline, sostenuta dal Gipsy Moth Trust grazie al mecenatismo di due ricchi amanti della vela, Eileen Skinner e Rob Thompson, che avevano acquistato la barca per una sterlina e un gin tonic (la bevanda preferita da Chichester).

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Riempi quel ballast! Sai cosa significa? Conosciamo i termini nautici

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La visuale del timoniere di bolina da sottovento. Foto Giuffrè / Giornale della vela

Conosciamo meglio la nostra barca per non sentirci come dei pesci fuor d’acqua. A bordo ogni cosa ha un nome e una funzione, andiamo a conoscere cinque nuovi termini nautici e la loro funzione. Se per esempio vi diciamo la parola base, a cosa pensate?

Ballast: Zavorra costituita da cassoni pieni d’acqua, che si possono riempire e svuotare.

Balùmina: L’ultima sezione verso poppa di una vela, che va dall’angolo di penna alla bugna di scotta.

Base: Il lato inferiore di una vela, che va dal punto di mura al punto di scotta.

Bitta: Colonnetta d’acciaio o di ghisa, bassa e robusta, posta sulla prua o poppa delle barche o sulle banchine dei porti per avvolgervi cavi o catene d’ormeggi.

Bulbo: Parte fissa della chiglia di for- ma affusolata, di ghisa o di piombo fuso normalmente, che ha funzione di zavorra per aumentare la stabilità e la velocità del- l’imbarcazione

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Slocum o mezza calzetta? Scopri che marinaio sei con il nostro quiz!

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quiz
Abbiamo selezionato 10 domande/quiz da marinaio a cui rispondere per capire se sei un vero uomo di mare di lungo corso. Rispondi al volo, d’impulso e poi guarda le risposte esatte
.
-Se hai riposto ad almeno 8 quiz nel modo giusto sei un ottimo marinaio
-Se hai risposto ad almeno 5 quiz nel modo giusto sei un discreto marinaio
-Se hai risposto ad almeno 3 quiz nel modo giusto sei un marinaio della domenica
Iniziamo!

RISPONDI SENZA STARE A TERGIVERSARE!

1. Cosa sono i simboli che si trovano al centro della bandiera italiana issata sulle barche?
A) gli emblemi araldici delle Repubbliche Marinare
B) gli stemmi delle grandi vittorie delle Repubbliche Marinare
C) Gli emblemi attuali di Pisa, Amalfi, Genova, Pisa

2. Navigando in poppa va aumentata la tensione di:
A) drizza del fiocco
B) vang
C) drizza della randa

3. Qual è il primo uomo ad aver compiuto il giro del mondo a vela in solitario?
A) Francis Chichester
B) Joshua Slocum
C) Alex Carozzo

4. Quale di questi proverbi marinai esprime un concetto giusto?
A) Poggiare necesse est
B) A orzare c’è sempre tempo
C) Orza quando puoi, poggia quando vuoi

5. Quando il vento diminuisce si…
A) diminuisce la tensione della drizza
B) cazza un pò la drizza
C) cazza un pò

6. Il vento reale rispetto a quello apparente si presenta
A) sempre più a poppa rispetto alla rotta
B) sempre più a prua rispetto alla rotta
C) sempre di maggiore intensità

7. Secondo la scala Beaufort il vento moderato a quale intensità corrisponde
A) 12/19 nodi
B) 7/10 nodi
C) 11/16 nodi

8. Vittorio Malingri ha appena stabilito il record:
A) traversata Dakar-Guadalupa con un trimarano di trenta metri
B) passaggio a Capo Horn nel minor tempo a vela
C) traversata Marsiglia-Tunisi con un catamarano di sei metri

9. Per prevenire il mal di mare prima di partire conviene fare un piccolo pasto assumendo:
A) un limone
B) carboidrati
C) nulla, conviene restare a digiuno

10. Se dalla marmitta del motore diesel esce fumo azzurro, cosa significa?
A) vanno regolati gli iniettori
B) transita troppo poco olio nei cilindri
C) indica un eccessivo consumo di olio

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Quella volta che salimmo a bordo di Joshua, la barca mito di Moitessier

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Proseguiamo il nostro viaggio tra le barche mito della storia della vela con il Joshua di Bernard Moitessier

JOSHUA, LA BARCA CON CUI MOITESSIER SALVO’ LA SUA ANIMA (1968)
Joshua, così chiamata in onore di Slocum, è la barca con cui Bernard Moitessier si ritirò in Polinesia “per salvare la sua anima” al Giro del Mondo del 1968 (Golden Globe), mentre era in testa (Robin Knox-Johnston non è d’accordo: secondo lui Moitessier erà già dietro quando decise di ritirarsi): l’albero del ketch di 40 piedi in acciaio era un palo telegrafico. Basterebbe solo questo per renderla mitica. Ma scopriamola nel dettaglio.


Noi del Giornale della Vela siamo stati a bordo di Joshua, la barca simbolo di Moitessier.
E ci abbiamo navigato. Prima un po’ di storia. Joshua (14,12 m fuoritutto, lunghezza scafo 12,07 m, peso 13 t, zavorra 3 t) fu progettata a quattro mani da Bernard stesso e da Jean Knocker che mise in pratica le idee e gli schizzi del navigatore francese.

Dopo 14 mesi di preparazione, nel 1962, in soli tre mesi, il cantiere Meta di Jean Fricaud realizzò lo scafo in acciaio. Moitessier pagò solo il costo vivo delle lamiere. Ma l’operazione si rivelò vantaggiosa, sono state prodotte ben 70 gemelle. E adesso a bordo di Joshua. La prima cosa che colpisce è la poppa “norvegese”.

La concepì così perché: “divide, dirige, ammortizza la violenta spinta provocata da una cresta frangente in andatura di fuga”. Si rimane impressionati anche dai bordi liberi bassissimi, a centro barca soli 75 cm! Come un rimorchiatore lo scafo è tutto sott’acqua, con una carena stellata a chiglia lunga che termina con la pala esterna del timone. La prua è possente con un bompresso in tubolare di un paio di metri sostenuto da catene (sì, proprio quelle dell’ancora!).

Anche le draglie sono fatte così, dipinte di nero perché: “di notte si vedono meglio” diceva Moitessier. Issiamo le vele: maestra, mezzana, yankee e trinchetta. Sono pesantissime con tessuto da 10 once. Bernard, prima del Giro del Mondo, dove installò 4 winch, le cazzava a mano con dei paranchi. Tutto è semplice, riparabile e ispezionabile. Ad esempio, il circuito della timoneria a ruota con i frenelli che corrono liberi in coperta. Navigando a vela si ha un’incredibile sensazione di stabilità di rotta.

E di sicurezza. Se si lascia la ruota Joshua va dritto come un fuso. La settimana prima della nostra visita Joshua aveva vinto una regata con un colpo di vento da 50 nodi! Anche voi potete provare l’emozione di salire a bordo di Joshua, si trova al Musée Maritime di La Rochelle.

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Cirrocumulo, ovvero cielo a pecorelle: conosciamo i nomi delle nuvole

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Nuovi termini nautici per la nostra rubrica estiva, ma questa volta ci dedichiamo a un argomento molto caro a chiunque va per mare: il meteo. Sapete riconoscere, e leggere, i segnali che ci da il cielo? Ogni nuvola ha un nome e significa qualcosa, andiamo a vedere quelle più comuni che potremo riconoscere per “studiare” le evoluzioni del tempo.

Cirro: Nube leggera, biancastra, di struttura filamentosa, a ciuffo o fiocco o a forma di strette bande bianche, molto alta (cir- ca 9 chilometri dal suolo), spesso isolata oppure in formazione rada, costituita da minuti aghi di ghiaccio.

Cirrocùmulo: Nube densa, biancastra, a forma di fiocco o di massa globulare, in gruppi o in linee parallele (tra i 5000 e gli 11.000 metri di quota), tipica del cosiddetto cielo a pecorelle.

Cùmulo: Nuvola bassa a struttura omogenea e a contorni ar- rotondati, con la sommità a cupola o a protuberanza e la base qua- si orizzontale, la cui formazione è dovuta a correnti ascendenti, a una quota di 1800 metri. Indica instabilità meteorologica.

Cumulonèmbo: Densa massa di nuvole che si eleva, a for- ma di montagna o di torre, anche fino a 10.000 metri di quo- ta; è di colore bianco nelle parti illuminate dal sole, azzurro nelle parti in ombra e molto scuro nella zona inferiore. Preannuncia temporali.

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Guido Cavalazzi, il signore delle vele racconta

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Foto North Saila Italia

Che mestiere il velaio. Un po’ artigiano, un po’ ingegnere, un po’ “pensatore”: è colui che alimenta la nostra passione fornendoci quegli strumenti che si chiamano vele, il motore delle nostre barche. Guido Cavalazzi è uno dei “padri” di questo mestiere, nonché una delle memorie storiche delle sfide italiane in Coppa America. Da Azzurra a Luna Rossa, Cavalazzi (storico disegnatore della North Sails) ha visto passare diverse generazioni di vele e di velisti. Dagli studi per la Coppa alle “barche per tutti”, il “Signore delle Vele” vi racconta come è cambiato il suo lavoro fornendovi anche alcune dritte molto utili e spiegando come il velaio sia ancora un punto di riferimento per consigliare le soluzioni migliori per ogni barca e per ogni velista.

Come è cambiato il vostro mestiere negli ultimi 30 anni?

Possiamo idealmente dividere la storia del nostro lavoro considerando come spartiacque gli anni ’70, o meglio la fine di quel decennio. Prima degli anni ’70 la novità più grossa è stata l’avvento del poliestere che ha sostituito lino e cotone: ha caratteristiche simili ai due materiali che l’hanno preceduto, ma non marcisce e quindi dura. Fino al ’77-78 non ci sono state grandi novità, poi sono state introdotte le fibre aramidiche, il kevlar in primis. Il periodo era quello della preparazione della Coppa America con Azzurra, che infatti iniziò il programma vele col dacron per poi introdurre il kevlar. I primi esperimenti furono le vele in kevlar cucite con ferzi orizzontali: vele molto più performanti, rigide, ma al tempo stesso delicatissime e sensibili al sole. Da quel momento in poi l’evoluzione è stata continua, fino alle membrane monopezzo che vediamo all’opera oggi”.

In che modo le regate hanno influenzato la crociera e quanto sono migliorate le “vele per tutti” negli ultimi anni?

L’influenza è stata notevole e costante. Tantissime soluzioni che oggi utilizziamo abitualmente sulle barche da crociera (e migliorano la vita a bordo) arrivano dagli studi e dalle sperimentazioni fatte nel mondo delle regate, in particolare da quelle oceaniche e dalla Coppa America. Penso agli avvolgitori, alle stecche lunghe, alle rande full batten con i carrelli, a quelle allunate o square top, soluzioni che oggi vediamo abitualmente anche su barche da crociera ma hanno richiesto studi e sperimentazioni applicati alle regate. Lo sviluppo tecnologico parte sempre dalle regate e negli ultimi 20 anni ha consentito alle vele da crociera di migliorare molto in termini di affidabilità e performance. In crociera adesso abbiamo vele meno pesanti, più facili da regolare e con avvolgitori efficienti. Ciò ci permette di andare in crociera con un inventario ridotto: basta una randa e un buon genoa avvolgibile, che ci consenta di affrontare diverse condizioni, e possiamo già navigare. Se poi ci aggiungiamo una trinchetta o una tormentina, un Code Zero e un gennaker, con un totale di sole cinque vele possiamo andare praticamente ovunque divertendoci anche”.

Le vele avvolgibili che oggi utilizziamo in crociera sono uno degli esempi concreti di come la tecnologia da regata diventi successivamente “per tutti”. Gli avvolgitori sono stati sviluppati per le regate oceaniche. Foto Matteo Reboli/North Sails

Che domande dovrebbe farsi un armatore, e quali dovrebbe fare al velaio, prima di acquistare delle vele nuove?

“Tutto parte da una cosa: l’armatore deve avere le idee chiare e dire che ha in mente, quali programmi e cosa gli piacerebbe fare con la sua barca. Navighi a lungo in crociera? Usi la barca solo per due settimane l’anno? Fai regate a bastone o d’altura? Queste sono le domande fondamentali da porsi ed è quello che va detto al velaio di fiducia”.

Che domande dovrebbe fare un velaio all’armatore che vuole acquistare delle vele?

Sicuramente quelle descritte sopra sono delle buone domande che deve porre anche il velaio. Ma noi dovremmo anche fare qualcosa di più. Dovremmo essere anche un po’ “psicologi”, capire l’armatore e sapere proporre la soluzione giusta per la sua barca e le sue esigenze. Ma c’è di più, se quanto detto va benissimo per il mondo della crociera non basta per quello delle regate. In quest’ultimo caso oltre che il confronto con l’armatore va fatta una riflessione con l’equipaggio. Il velaio dovrebbe parlare con il tailer e capire in che modo regola le vele, chiedergli cosa si aspetta da una determinata vela. Progettare una vela slegandola completamente dagli uomini che la utilizzeranno è il presupposto per fare un lavoro sbagliato”.

Oggi una randa full batten è una cosa normale. Le prime arrivarono in Coppa America e furono tantissime le stecche rotte prima che la tecnologia approdasse ad un livello di controllo che consentisse l’applicazione su larga scala anche al mondo della crociera. Foto Matteo Reboli/North Sails

Le caratteristiche fondamentali di una vela da regata e quelle di una vela da crociera?

La vela da regata deve essere veloce, veloce e poi ancora veloce (ride ndr). Scherzi a parte, deve garantire velocità, ma essere anche facile da regolare e reattiva (capace di rispondere ad ogni micro variazione delle regolazioni). La performance finale è la combinazione di questi fattori. La vela da crociera invece deve essere durevole, affidabile e perché no anche performante, le barche a vela devono andare a vela. Ovviamente il concetto di performance è differente: per il crocierista significa una vela sicura e che faccia navigare bene la barca, per il regatante la performance invece si tramuta in gradi all’orza durante una bolina o alla poggia durante la poppa”.

Come potremmo oggi definire un buon velaio? Che competenze dovrebbe avere?

Un buon velaio prima di tutto dovrebbe avere buon senso. Se poi è anche un ingegnere, magari aerospaziale, il mix è perfetto. A ciò va aggiunta la curiosità e l’osservazione, due componenti fondamentali del nostro mestiere, per questo motivo è importantissimo passare molto tempo in barca, per capire e studiare: capire come la barca reagisce ad una raffica, osservare come il timoniere si adatta e magari prendere in mano una scotta per ricevere in diretta le informazioni che ci servono.

Ci incuriosisce il buon senso del velaio, a cosa si riferisce?

A cosa serve il buon senso? A capire come equilibrare le performance di una vela con la facilità ad essere regolata. E’ inutile progettare una vela ultra performante ma nervosa se a condurla sarà un solitario o un equipaggio in crociera. Una delle componenti che definiscono la qualità di una vela è anche la sua facilità di utilizzo, una cosa a cui dobbiamo prestare sempre massima attenzione, trovando anche il giusto compromesso tra ciò che spinge (le vele per l’appunto) e ciò che frena (la parte immersa della barca). Aria ed acqua sono entrambi due fluidi, ma si comportano in maniera differente, trovare il giusto compromesso tra tutti questi fattori è la vera bravura del velaio.

Che velaio è oggi Guido Cavalazzi?

Oggi disegno vele per le barche classiche. Quando nel 2007 si concluse l’esperienza con Luna Rossa a Valencia la North Sails era cambiata. Si affacciava al mestiere una nuova generazione di disegnatori, giovani ingegneri, perfetti per lo sviluppo delle membrane e delle vele composite. Allora mi hanno chiesto se volevo disegnare il dacron per le barche classiche: fantastico ho detto! Il dacron è il mio mondo, già negli anni ’70 disegnavo vele da regata in dacron. Si tratta del materiale più semplice che si usi per le vele, ma in realtà la sua progettazione è piuttosto complessa. I materiali moderni garantiscono una forma molto stabile, il dacron no. Già dal primo utilizzo la vela inizia a cambiare forma, la sfida per chi disegna vele in dacron è notevole: devi calcolare l’allungamento del materiale, come cambierà la forma, e disegnare la vela partendo da un profilo più magro che poi nel tempo muterà. Si tratta di un progetto piuttosto complesso. Sono tornato indietro di 30 anni, come una seconda giovinezza e me la sto godendo.

Foto North Sails

La Coppa però è stata una parte importantissima della sua carriera…

Le due Azzurre (1983-1987), il Moro di Venezia (1992), Young America (1995), le tre Luna Rossa (2000-2003-2007): si, la Coppa significa molto per me. Ho anche un curioso primato: posso dire di avere “partecipato” tre volte all’AC match, alla Coppa America vera e propria: il Moro e Young America a San Diego, Luna Rossa ad Auckland, ma ho sempre perso.

Che idea ha dell’ultima Coppa?

L’ho seguita. Io trovo questi catamarani staordinari. Dal punto di vista del velaio invece è diverso: con l’ala e la mancanza di vele da andature portanti i velai sono stati un po’ tagliati fuori. Pensate che ai tempi di Azzurra, del Moro ma anche di Luna Rossa, ogni sindacato aveva la sua veleria. Ricordo che a quei tempi non si spegneva mai la luce nel capannone dove sviluppavamo o riparavamo le vele, era un lavoro incessante. Durante una campagna di Coppa il mio lavoro era anche quello dello sviluppo: ricordo che a Valencia nel 2007 per la semifinale contro Oracle tirai fuori degli asimmetrici che riuscivano ad andare più poggiati e più veloci di quelli che usavamo in precedenza. Era questo il lavoro dei velai in Coppa e credo si sia perso. Come molti appassionati sono contento che abbiano vinto i kiwi. Penso che i neozelandesi possano dare una ripulita alla Coppa: non è una questione di barche, ma di impostazione sportiva e quella di Oracle è stata pessima. Ritengo anche che reintrodurre alcuni vincoli come quello di nazionalità per barca ed equipaggio sia salutare.

Le manca lavorare in un sindacato alla caccia della Coppa?

Sono cambiate tante cose. Molto dipende dalle barche future. Certo, se Luna Rossa chiamasse…

Chi è Guido Cavalazzi

Classe 1953, nato a Milano, Guido Cavalazzi è stato il velaio delle sfide italiane, e non solo, in Coppa America: da Azzurra a Luna Rossa passando per il Moro di Venezia e dall’esperienza con il defender Young America a San Diego nel 1995. Per il Moro disegnò le prime vele in carbonio, quando ancora l’utilizzo di questo materiale era un’incognita. Le sue vele hanno corso tre volte la Coppa America vera e propria, 1992, 1995 e 2000 senza mai riuscire a vincerla. In compenso nel suo lavoro di velaio può vantare importanti risultati internazionali, svariati titoli mondiali ed una Admiral’s Cup. Dopo i dieci anni con Luna Rossa (1997-2007) è rientrato in North Sails come disegnatore delle vele in dacron per le barche classiche.

 

Mauro Giuffrè

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Suhaili, la prima barca ad aver vinto il giro del mondo in solitario

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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.

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Il nostro viaggio tra le barche che hanno fatto la storia della vela prosegue con Suhaili, che consacrò alla storia Robin Knox-Johnston al mitico Golden Globe. 

L’IMPRESA DI SUHAILI (1969)
Torna a vivere Suahili, la prima barca ad aver vinto il giro del mondo in solitario nel 1969, dopo 313 giorni di navigazione
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La bella storia è che la persona che l’ha restaurata è lo stesso uomo, di 77 anni, che l’aveva condotta alla vittoria della mitica prima edizione del Golden Globe Trophy quando aveva 29 anni. Robin Knox Johnston è il suo nome ed è uno dei grandi miti della vela moderna, tutta la vita dedicata al mare. Il restauro dell’altra mitica barca con cui vinse il Giro del Mondo a vela è stato un lavoro che ha richiesto 140 giorni e 3.000 ore di lavoro manuale.

VARATA NEL ’63 MA IL DISEGNO E’ DEL ’23
La storia di Suhaili è altrettanto affascinante come l’impresa che ha effettuato. Nasce nel 1963 a Bombay in India. Il progetto di questo due alberi di soli 9,88 metri (13,40 con bompresso prodiero e struttura poppiera) largo soli 3,37 metri è di William Atkins. L’incredibile è che il disegno di Suhaili risale al 1923 e si ispira ai battelli norvegesi di salvataggio progettati da Colin Archer. Viene costruito con il prezioso ma pesantissimo teak di Burma, la chiglia lunga del peso di due tonnellate e un quarto, profonda 1,67 m, è in ferro.

Nel 1965 Robin Knox Johnston, sino ad allora ufficiale di marina, parte dall’India a bordo di Suhaili e raggiunge l’Inghilterra. Nel 1968 parte per il Giro del Mondo che vince e diventa la prima barca della storia ad aver circumnavigato il globo non stop.Suhaili diviene la barca più famosa del mondo. Naviga con alterne fortune – nel 1990 disalbera in mezzo all’Atalantico – sino a prepararsi ad un meritato riposo quando diventa un monumento nazionale inglese presso il National Maritime Museum di Greenwich.

LA NUOVA VITA PER MARE
Ma il suo teak soffre e il suo armatore, Knox Johnston, se ne accorge. Così Suhaili rinasce a nuova vita quando decide di restaurarla con le sue stesse mani e farla tornare a navigare. La “nuova” Suhaili viene varata a novembre 2016, giusto in tempo per essere celebrata e ammirata dai partecipanti al nuovo Golden Globe celebrativo. Come allora, partenza da Falmouth (UK) il 14 giugno 2018, e giro del mondo passando per i capi di Buona Speranza, Leeuwin e Horn: saranno in gara tre repliche di Suhaili. Ma lei, l’originale, resta la più bella.

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Il grillo non salta, si avvita! Termini nautici, a noi!

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Nuova giornata d’estate, si spera in mare per tutti i nostri lettori, e nuova puntata della nostra rubrica estiva dedicata ai termini nautici. Questa volta, tra termini inglesi, strani nomi e “grilli per la testa”, andiamo a scoprire nuove componenti, manovre o ruoli che possiamo trovare in barca.

Ancora galleggiante: sistema di ancoraggio con una struttura a forma quasi di “ombrello” che viene filata in caso di grave maltempo per rallentare la barca e controllarla.

Grillo: Staffa metallica a U con due fori alle estremità attraverso i quali passa un perno a vite, usata come elemento di collegamento.

Grinder: (dall’ingl. “macinatore”) Persona addetta a girare i verricelli verticali (coffee grinder) che cazzano le scotte a cui sono date volta le vele
Grìppia: Grande cavo tessile che collega un oggetto sommerso a un oggetto galleggiante che lo se- gnala, e, in partic., il diamante dell’àncora a un gavitello.

Grippiale: Gavitello che indica la verticale del punto sul quale è data fondo l’àncora o sul quale si trova un oggetto sommerso di cui si vuole segnalare la posizione.

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Damien, ovvero il sogno sessantottino di due giovanissimi marinai francesi

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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.

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Conoscete la storia del Damien? Il 10 metri autocostruito con cui Gerard Janichon e Jerome Poncet si imbarcarono un una avventura incredibile e “post-sessantottina”?

SALPA, SE VUOI TROVARE TE STESSO (1969)
Salpa, per trovare la pace con te stesso. In puro spirito sessantottino, Gerard Janichon e Jerome Poncet si imbarcarono sul Damien, uno sloop autocostruito di dieci metri, per un giro del mondo lungo quattro anni (1969-73). Dai ghiacci all’Equatore, furono tra i primi a dimostrare che con audacia, sacrifici e spregiudicatezza i sogni si possono realizzare. La barca fu dichiarata monumento nazionale.

La loro navigazione ha avuto anche momenti difficili, come quello che loro stessi raccontano, sul Giornale della Vela, nel 1976.

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I navigatori francesi Jerome Poncet e Gerard Janichon attraversano una tempesta forza 10 al 56° parallelo sud con il Damien, un 10 metri in legno con cui hanno percorso 55.000 miglia

Damien è capovolto per la terza volta, imbarca acqua e resta a testa in giù, ecco le sensazioni che i due marinai francesi provano, intrappolati sottocoperta, inermi nel pieno della tempesta:

Per un marinaio è una bella fine. Finire con la propria barca. Abbiamo pronunciato il nostro addio, parole di amicizia.

Le lunghe frasi sono inutili fra noi e non siamo qui par fare del cinema…A poco a poco il torpore ci avvolge…mi addormento. Non possiamo agire o reagire perchè non c’è nulla da fare con una barca che ha la chiglia per aria, con l’acqua che penetra non si sa da dove, con la volontà che non esiste già più…Nella cabina del Damien c’è un senso di estranietà. Un senso capovolto. Provate a immaginare il vostro mondo di tutti i giorni, rovesciato: e voi che camminate sul soffitto, al buio…Come può una barca vela con una zavorra di 1600 kg rifiutarsi di recuperare immediatamente il suo equilibrio normale? Basterebbe un’inezia affinché il braccio di leva della zavorra entrasse in funzione e facesse ritrovare allo scafo la logica del centro di gravità…la barca si agita: l’acqua che c’è all’interno si mette a sciabordare.

E poi il tumulto e Damien ridiventa Damien e si raddrizza sulla sinistra. è durato un secondo solo, con aggressività selvaggia, come per il grido del neonato all’atto di nascita.

Ed è una nascita! Lottiamo febbrilmente contro l’annegamento, l’acqua ghiacciata s’insinua dappertutto. Ci vogliono alcuni secondi per renderci conto che siamo vivi, che la barca galleggia”.

CHI SONO JEROME PONCET E GERARD JANICHON
Jerome Poncet_fotoNel 1969, dopo essersi costruiti con le loro mani il 10 metri Damien partono per il Giro del mondo. Resteranno per mare 5 anni e 50.000 miglia passando dai ghiacci della Groenlandia alle calde acque delle Antille. Damien è monumento storico francese. Nella foto, Jerome Poncet nato nel 1945 a Grenoble (Francia).

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Landa, impiombature, imbragature: quanti termini difficili in barca!

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Particolare dell’attacco delle sartie e della falchetta

Quante cose strane in barca, ogni oggetto ed ogni manovra ha un nome ma memorizzarli tutti è la cosa più difficile per  chi si affaccia per la prima volta al mondo della vela. Prosegue il nostro corso di vela virtuale dell’estate.

Imbando: Parte libera o allentata di un cavo. Mol- lare imbando: allentare un cavo, lasciare andare una cima.

Imbragatura o Imbracatura: L’operazione dell’imbragare; il modo con cui un oggetto o un carico è imbragato. 2. Sistema di funi, cinghie, cavi o catene applicato a un peso (o a una per- sona o a un oggetto) che si deve sollevare, abbassare o sor- reggere.

Impiombatura: Collegamento di due cavi metallici o tessili, o della parte terminale di un cavo con l’as- se del medesimo, in modo da formare un occhio, mediante l’in- treccio dei legnoli o dei trefoli. Tale collegamento permette di evi- tare lo spessore di una legatura.

Landa: Nei velieri, tra- ve di legno o staffa di metallo imperniata alle murate in corri- spondenza degli alberi, a cui si fissano le sartie. Sulle moder- ne imbarcazioni a vela, spessa piastra di metallo fissata allo scafo, sulla quale sono assicurate le sartie mediante arridatoi.

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Porto a mai più, noi andiamo in rada alle Eolie e alle Egadi

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Il vero crocierista non è quello da banchina, ma quello che cerca gli ancoraggi sconosciuti ai più o le rade meno affollate, dove potersi gustare la bellezza e la magia dei luoghi. È in alcune delle più affascinanti parti del Mare Nostrum che abbiamo scelto per voi ben 24 ancoraggi nei quali anche in altissima stagione ci si può godere una natura davvero incontaminata. In questa puntata vi porteremo a scoprire alcune delle perle del Mediterraneo, le Eolie e le Egadi. Spiegate le vele  e navigate con noi.

Isole Eolie

Isola di Vulcano. Cala Mastro Minico 38°24’ 95N – 14°56’ 50E

Selvaggia insenatura circondata da alte scogliere, la sua riva E è orlata da una bella spiaggia di ghiaia, davanti alla quale si può dar fondo in 10 metri d’acqua su sabbia e rocce. Attenzione alle secche sul lato E. Sbarcando qui, sul lato NO di Vulcano, si può iniziare la scalata verso la cima del Gran Cratere, lunare area ricca di cristalli di zolfo e di ossidiana. Il tragitto a piedi dura circa un’ora ed è meglio partire al mattino presto per non faticare sotto il sole alto. La caldera è imponente e unica nel suo genere e intorno escono sbuffi di fumo carichi di zolfo. Poco distante dalla Cala, nel centro di Porto di Levante ci sono negozi e market, ma anche lo storico e famosissimo Ritrovo Remigio (090.9852085): qui si trovano le cassatelle, gli n’zuddi o le colorate frutte di marzapane. Ottima anche la granita con panna. Sempre restando nel borgo un ristorante consigliato a chi ama il pesce in tutte le sue varianti è Don Piricuddu (339.2626143).

Isola di Lipari. Cugno Lungo 38°29’ 10N – 14°54’ 00E

Circondata da piccole scogliere a picco, si trova sulla costa O vicino a San Calogero. Sul fondo della baia c’è una spiaggia di sassi: meglio ancorare a 100 metri da questa in 10 metri d’acqua su sabbia e rocce. Il centro storico di Lipari si gira in poco tempo: da corso Vittorio Emanuele, precorrendo la ripida via XXIV Maggio, si arriva alla fortezza spagnola e al Museo Archeologico Eoliano. Da vedere la collezione di maschere che testimoniano il culto greco di Dioniso. Da Cugno Lungo andando verso S si raggiunge in 5 minuti il bellissimo Belvedere di Quattrocchi, dalla cima del quale lo sguardo spazio sulla spiaggia di Vallemuria, gli Scogli delle Formiche, i faraglioni di Pietralunga, Pietra Menalda e sul Brigghio, liscia cuspide di basalto vulcanico. Per mangiare sull’isola il ristorante più famoso è Filippino (090.9811002), perfetto per chi ama il cous cous. Al Chitarra Bar (090.9811554) poi si ascolta buona musica dal vivo. Isola di Salina.

Cala di Pollara 38°34’ 80N – 14°48’ 30E

Sotto Punta Perciato, all’estremità NO dell’isola c’è la spettacolare baia con alte scogliere e una spiaggia nera. Il miglior ancoraggio è proprio al centro quasi davanti al villaggio di Pollara. Si getta l’ancora tra la Punta e il Faraglione, in 7 metri d’acqua su fondo roccioso. Dal Poggio del Semaforo, punto belvedere posto proprio sopra Cala di Pollara, si ammira il tramonto più bello di tutte le Eolie. Si tratta di un luogo emozionante e non solo per la magnifica natura che lo caratterizza: qui infatti furono girate le scene più belle del film “Il postino”, ultimo capolavoro di Massimo Troisi. Poco lontano, alla bottega dell’Azienda Agricola Sapori Eoliani (090.9844406) si acquistano per la cambusa prodotti di qualità, come conserve sott’aceto, sughi per la pasta e “cucunuci”. Nel borgo di Santa Marina Salina c’è poi un ristorante consigliato: è Porto Bello (090.9843125), dove si mangia su una magnifica terrazza.

Isola di Panarea. Baia Milazzese 38°37’ 60N – 15°04’ 10E

Situata sulla costa SE di Panarea è divisa in due calette. La prima, omonima, è orlata da una bella spiaggia. La seconda, sul lato O, è chiamata Cala Zimmari e ospita altri due arenili. Si può dar fondo al centro delle baiette in 5-7 metri d’acqua su fondale di sabbia. Oltre a stare in rada è bello anche scendere a terra, magari per ammirare il villaggio preistorico posto nei pressi di Punta Milazzese, dove si scopre che Panarea ha una storia millenaria che deriva dai primi abitanti che sostarono qui dall’Età del Bronzo, 1.200 anni prima di Cristo. Nel borgo isolano di San Pietro invece si va per cenare da Broccia (090.983027), che propone cucina tipica rivisitata. Per la serata il locale cult è il Raya (tel. 090.983013), dove ci si scatena in pista, sulla terrazza panoramica.

Isola di Stromboli. Ginostra 38°46’ 70N – 15°11’ 70E

È una piccola caletta situata proprio di fronte al villaggio omonimo: si può dar fondo davanti alle case, a 80 metri da terra, in 7-8 metri d’acqua, su un fondale roccioso irregolare. Siamo nella parte S dell’isola quella “nascosta” dalla mole di “Iddu”, il grande vulcano isolano attivo, la cui vetta raggiunge quasi i mille metri di altezza. È uno spettacolo naturale da non perdere, come le pareti di lava della Sciara di Fuoco, posizionate poco più a NO e raggiungibili anche via terra. Certo il vero “show” di Stromboli si gode dal mare, a una buona distanza di sicurezza però. Nei pressi di Ginostra si apre anche la spiaggia di Forgia Vecchia, sempre poco frequentata e deliziosa. Tra un eruzione e l’altra si mangia anche: e a Ginostra da provare è Nonna Assunta (090.9880288), pesce fresco e accoglienza famigliare.

Isole Egadi

Isola di Favignana.

Cala Longa 37°55’ 00N – 12°19’ 30E

Posizionata al centro della costa meridionale, la baia è protetta a O dall’omonima Punta. All’interno della rada si trova un molo lungo 50 metri, al quale si possono attraccare però solo natanti lunghi al massimo 8 metri. Altrimenti dar fondo a 200 metri da terra. Da visitare con calma il borgo di Favignana dove spicca la mole liberty di Palazzo Florio. Altri punti da vedere sono La Camparia e il Forte Santa Caterina: la prima è la costruzione dove si tessevano le reti e c’era il magazzino con gli strumenti per la mattanza, mentre il secondo è una rocca risalente all’anno Mille e costruita come torre di avvistamento dei pirati saraceni. È sulla vetta dell’omonimo monte. Per sedersi alla tavola giusta ecco la Trattoria La Bettola (0923.921988): in un’ambiente semplice ma accogliente si gustano i piatti di mare della tradizione. Isola di Levanzo.

Cala Tramontana 38°00’ 70N – 12°19’ 60E

Posta nell’angolo NO e ben ridossata da tutti i venti da O, è protetta da una Riserva Marina e sono vietate pesca e immersioni (www.ampisoleegadi.it). L’avvicinamento è facilitato dalla cospicua presenza di un bunker e di una grande grotta sulla spiaggia. Vicinissima alla baia, doppiata Punta dei Sorci, si scopre l’incredibile Grotta del Genovese: è un antro di formazione carsica che ospita il più ricco sito italiano di arte preistorica. Sono infatti ben 33 le figure incise nella roccia dai nostri antichissimi antenati. Una volta a terra, chi è “stanco” di navigare e ha voglia di camminare può esplorare la rete di sentieri che ricopre l’isola e che si possono percorrere a piedi o al massimo a dorso di mulo. Nel centro di Levanzo borgo ci sono negozi, market e interessanti locali, come il Ristorante dei Fenici (0923.924083) che nelle sale dell’omonima pensione offre cucina di mare genuina. Isola di Marettimo.

Cala Manione 37°59’ 40N – 12°04’ 10E

Piccola insenatura incassata nell’angolo NE dell’isola, a S del Forte di Punta Troia. Vi si può dar fondo in 3-4 metri d’acqua su sabbia e roccia: con venti da S l’ancoraggio risente della risacca. Da vedere il vicino e possente Castello di Punta Troia che venne eretto al tempo della dominazione araba dell’isola e poi rafforzato dagli spagnoli. Nel dedalo di viuzze che compongono il borgo di Marettimo è da cercare l’insegna del ristorante tipicissimo La Scaletta (0923.923233).

LEGGI LA PRIMA PUNTATA DELLA NOSTRA SELEZIONE DI BAIE IN TIRRENO

LA SECONDA PUNTATA  TIRRENO

LA TERZA PUNTATA CORSICA E CROAZIA

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