Nel “covo” di Via Quaranta a Milano, in un archivio in parte digitalizzato e in parte sui supporti originali, conserviamo con cura i numeri del Giornale della Vela dal 1975. Per noi giovani cronisti nati a metà degli anni ’80 è difficile “ricordare” ciò che è avvenuto prima, per quello ci sono le letture, lo studio e, dove non arrivano questi, l’archivio di VELA che per noi è come un parco giochi. Ci trovi tutto, e tutti, o quasi. La foto che vedete in apertura ritrae Miss Lancia, la barca italiana, un cat, che si presentò alla Little America’s Cup nel 1978, sfida guidata da Cesare Biagi, promossa dalla famiglia Agnelli che faceva le prove generali per la “grande Coppa”. Una barca innovativa per la sua vela, una sorta di ala semi rigida, una lontana ma chiara parente del sistema di Team New Zealand. Domenica 24, in mattinata, abbiamo pubblicato la news che parlava della nuova “ala morbida” testata da Team New Zealand (LEGGILA QUI). Domenica nel primo pomeriggio, con qualche ora di piacevole straordinario tra le copie in bianco e nero dei primi Giornale della Vela, avevamo già ricostruito le origini del sistema sperimentato dai kiwi, individuando in Miss Lancia e nella successiva Signor G gli antenati della doppia randa soft alare rilanciata oggi .
Questa storia però era troppo “gustosa” per finire in un semplice aggiornamento della news già pubblicata, andava giocata a tempo debito, come un secondo racconto, anche sapendo che quest’attesa poteva valerci il solito “coro” dei nostri affezionatissimi “odiatori”, che non si sono fatti attendere. “La solita bufala del GDV”, “Giornalisti poco acculturati che non conoscono la vera origine di questa randa”, “Quando leggo questi articoli resto costernato”, e c’è stato anche chi, oltre 24 ore dopo, ha gridato al “Falso scoop“! Sorridiamo. Abbiamo atteso tre giorni, per lasciare esaurire il flusso del nostro primo articolo che, ripreso anche dal Corriere della Sera, ha ricevuto 11.188 click (GRAZIE!!!), e non “spegnerlo” con una seconda news sullo stesso tema (chi è avvezzo a lavorare sul web con Google e i social network sa di cosa stiamo parlando).
E’ stata dura attendere il momento giusto per raccontarvi questa bella storia, ma forse il “ghigno” di soddisfazione con cui stiamo scrivendo queste righe dice che ne è valsa la pena. E l’attesa ci è servita anche per contattare almeno uno dei protagonisti di quella sfida, Roberto Viganò, che con il fratello Virgilio, l’ingegnere Bergamini, l’ingegnere Marazzi, Franco Pivoli e tanti altri, fu uno dei protagonisti di quelle sfide essendosi occupato proprio della realizzazione dell’ala morbida di Miss Lancia e Signor G.
E allora partiamo proprio dalle pagine di quel Giornale della Vela, anno 4, 1978, numero 6, mese luglio-agosto: “Miss Lancia è lanciata”, titolava la nostra rivista. “Ci siamo riusciti“, scriveva Franco Pivoli, “Dopo tanto lavoro siamo finalmente riusciti ad andare in acqua! Sabato 17 giugno con tanta emozione Miss Lancia è andata in acqua nel porto di Brindisi e ha fatto i suoi primi metri con al timone Franco Pivoli e a prua Biagi, entrambi molto emozionati e tesi“.
Le righe del Giornale della Vela dell’epoca si incrociano con la nostra chiacchierata telefonica con Roberto Viganò, che ricorda: “In realtà già dal 1968 avevamo iniziato a fare i primi esperimenti di una randa morbida alare” e fu proprio Miss Lancia la prima uscita ufficiale e pubblica di questo sistema, come prosegue Franco Pivoli su Vela 1978: “In questi mesi abbiamo fatto i reticenti con gli amici giornalisti, per cercare di mantenere il segreto sulla forma della vela che abbiamo adottato e in effetti ci siamo riusciti, questo per evitare che le notizie trapelassero all’estero e gli americani potessero copiare ciò che avevamo in testa….abbiamo creato una vela semi rigida che si potesse deformare per assumere un profilo asimmetrico sia da un lato che dall’altro”. “Proprio così“, prosegue Roberto Viganò al telefono, “Miss Lancia aveva una vela alare con due serie di stecche, una per lato, non c’era boma, non c’era picco, ma una serie di tiranti interni che servivano a dare la forma alla vela. In balumina le due vele vele erano chiuse, sovrapposte, ma non bloccate, scorrevano una sull’altra per consentire i cambi di forma“.
“Non siamo certo così presuntuosi da pensare che le nostre possibilità siano molto grandi con gli americani “, concludeva Franco Pivoli, “ma almeno abbiamo la certezza che tutto quello che si poteva fare è stato fatto“.
A Roton Point, negli USA, finì 4-0 per gli americani guidati da Tony DiMauro’s con Patient Lady IV, ma i distacchi furono generalmente contenuti, confermando il buon lavoro fatto dal team italiano. “Ma il nostro più grande risultato fu comunque quello di riuscire a disputare, per ben tre volte, la Little America’s Cup”, racconta Roberto Viganò“, “La maggior parte dei team disfaceva la barca dopo pochi bordi“. “La vela degli americani, una vera ala rigida, risultò più leggera e performante della nostra, oltre che più semplice da gestire“.
Ci furono poi le due sfide con Signor G, terminate anche queste con lo stesso risultato della prima. “Ma Signor G aveva fatto già dei passi avanti, avevamo aggiunto un flap, la vela era quindi composta di due elementi. Il nostro limite rispetto agli americani è stato sempre quello di avere un sistema di gestione più complesso, il nostro camber per esempio era modificabile con la vela al vento, loro riuscivano a fare quasi tutto in diretta. Il grande passo in avanti arrivò con una vera ala, quella che sperimentammo su Miss G, con la quale partecipammo a tre Bol d’Or, di cui uno chiuso al secondo posto, gli altri due al terzo e al settimo, a conferma di quanto fosse veloce la barca”, ricorda Viganò.
Gli esperimenti sulle ali semi-rigide o soft furono di fatto abbandonati in favore della maggiore efficienza delle vere e proprie ali. Il loro ritorno oggi è comunque un inedito assoluto per la Coppa America vera e propria e in generale, se e quando verranno applicate sui futuri AC75, rappresentano un inedito per la vela su un foiler di simili dimensioni. La necessità del loro utilizzo è prima di tutto un motivo pratico: troppo complesse da gestire le ali rigide su mezzi di queste dimensioni, con la necessità di avere buona parte dell’equipaggio impegnato a pompare olio nei circuiti idraulici (Ricordate i ciclisti?). Un secondo motivo sono le performance, soprattutto come velocità di punta, superiori a quelle di un albero alare con una randa classica. Pur avendo probabilmente un minore o uguale coefficiente di portanza rispetto a una randa classica, le ali soft garantiscono un migliore profilo aerodinamico che su piani velici di queste dimensioni si traduce in diversi nodi di velocità di punta in più rispetto a una vela tradizionale. Ma questa, dopo tutto, è un’altra storia, e ne riparleremo quando vedremo effettivamente navigare gli AC75.
Mauro Giuffrè
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