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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.
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Proseguiamo il nostro viaggio tra le barche mito della storia della vela con il Joshua di Bernard Moitessier
JOSHUA, LA BARCA CON CUI MOITESSIER SALVO’ LA SUA ANIMA (1968)
Joshua, così chiamata in onore di Slocum, è la barca con cui Bernard Moitessier si ritirò in Polinesia “per salvare la sua anima” al Giro del Mondo del 1968 (Golden Globe), mentre era in testa (Robin Knox-Johnston non è d’accordo: secondo lui Moitessier erà già dietro quando decise di ritirarsi): l’albero del ketch di 40 piedi in acciaio era un palo telegrafico. Basterebbe solo questo per renderla mitica. Ma scopriamola nel dettaglio.
Noi del Giornale della Vela siamo stati a bordo di Joshua, la barca simbolo di Moitessier. E ci abbiamo navigato. Prima un po’ di storia. Joshua (14,12 m fuoritutto, lunghezza scafo 12,07 m, peso 13 t, zavorra 3 t) fu progettata a quattro mani da Bernard stesso e da Jean Knocker che mise in pratica le idee e gli schizzi del navigatore francese.
Dopo 14 mesi di preparazione, nel 1962, in soli tre mesi, il cantiere Meta di Jean Fricaud realizzò lo scafo in acciaio. Moitessier pagò solo il costo vivo delle lamiere. Ma l’operazione si rivelò vantaggiosa, sono state prodotte ben 70 gemelle. E adesso a bordo di Joshua. La prima cosa che colpisce è la poppa “norvegese”.
La concepì così perché: “divide, dirige, ammortizza la violenta spinta provocata da una cresta frangente in andatura di fuga”. Si rimane impressionati anche dai bordi liberi bassissimi, a centro barca soli 75 cm! Come un rimorchiatore lo scafo è tutto sott’acqua, con una carena stellata a chiglia lunga che termina con la pala esterna del timone. La prua è possente con un bompresso in tubolare di un paio di metri sostenuto da catene (sì, proprio quelle dell’ancora!).
Anche le draglie sono fatte così, dipinte di nero perché: “di notte si vedono meglio” diceva Moitessier. Issiamo le vele: maestra, mezzana, yankee e trinchetta. Sono pesantissime con tessuto da 10 once. Bernard, prima del Giro del Mondo, dove installò 4 winch, le cazzava a mano con dei paranchi. Tutto è semplice, riparabile e ispezionabile. Ad esempio, il circuito della timoneria a ruota con i frenelli che corrono liberi in coperta. Navigando a vela si ha un’incredibile sensazione di stabilità di rotta.
E di sicurezza. Se si lascia la ruota Joshua va dritto come un fuso. La settimana prima della nostra visita Joshua aveva vinto una regata con un colpo di vento da 50 nodi! Anche voi potete provare l’emozione di salire a bordo di Joshua, si trova al Musée Maritime di La Rochelle.
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