Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Ecco la seconda puntata del suo viaggio alle isole Svalbard, nel grande nord! (Qui trovate la prima parte; qui la seconda)
Inoltrandoci a nord la luce si fa più vivida, l’azzurro del cielo più pallido e cilestrino, la visibilità cristallina: si scorgono coste a 50 miglia di distanza. Verso Ny-Ålesund attraversiamo il 79° parallelo: navighiamo con cautela tra gli iceberg che si staccano dai fronti di due enormi ghiacciai e fluttuano nella corrente del fiordo. Ormeggiamo all’inglese in una piccola darsena, non ci sono altre barche: solo i gommoni del Polar Institute e delle stazioni scientifiche che occupano i caseggiati della vecchia società mineraria.
Ci accoglie Sebastian, svizzero, finito qui per caso quattro anni fa (“Ho trovato un lavoro all’Istituto Oceanografico e mi sono fermato”), che a tempo perso dà una mano in porto. Ci sono acqua, carburante, docce calde e una lista delle provviste disponibili: ordiniamo tè, mele, salmone affumicato. Niente alcolici. Ma Sebastian, quando ci porta la spesa, ha in serbo una sorpresa: 12 lattine di birra della sua scorta personale! “L’inverno” dice “non è così terribile. Ci si fa l’abitudine. E quando esce la luna sono notti fantastiche”. Il nostro arrivo è un piccolo evento a Ny-Ålesund, “l’insediamento umano permanentemente abitato più a nord del pianeta”. Nel suo ufficetto di legno (si entra togliendosi le scarpe) Dag, l’harbour master, un omone alto due metri, afferma che Ecland è la prima barca italiana che vi fa scalo da quando, nel 2007, ha assunto la direzione del porto. Poco dopo vengono a trovarci i quattro ricercatori della base artica del Cnr. Fabio Giardi, chimico dell’atmosfera dell’Università di Firenze, è l’unico italiano dei circa 30 scienziati che svernano a Ny-Ålesund: “Il prossimo” dice “sarà il secondo inverno. Studiamo l’inquinamento dell’aria, le rocce, i ghiacci”.

Prins Karls island
Il paesino è surreale: le casette dipinte di rosso-giallo-azzurro, lo spaccio, il trenino in disuso della miniera, l’ufficio postale (ovviamente: “il più a nord del mondo”), il busto in pietra dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, la teleferica che porta al telescopio geodetico sul monte Zeppelin, il cartello che invita a “scaricare qui le armi” e quello che intima di “non proseguire disarmati oltre questo punto” piantato dove finiscono le case e incomincia la tundra degli orsi. In un campo c’è ancora il pennone di ancoraggio del dirigibile Norge con cui Amundsen e Umberto Nobile, nel 1926, compirono la prima trasvolata al polo nord; dallo stesso pennone, due anni dopo, si staccò l’Italia di Nobile, che dopo aver raggiunto il polo precipitò sulla via del rientro: e Amundsen perse la vita nel tentativo di soccorrere l’amico.
Avventure del passato che rimugino mentre affrontiamo la lunga rotta del ritorno: prua a sud, 30 ore di navigazione fino all’Isola degli Orsi, poi altre 270 miglia fino alle coste settentrionali della Norvegia. Ecland avanza lentamente tra i blocchi di ghiaccio che cozzano e strisciano lungo la linea di galleggiamento: dai grandi iceberg, che irradiano bagliori verdazzurri e turchini, ci teniamo a debita distanza. Il mare è calmo, denso, oleoso. Poi il vento rinforza da nordovest, 28-30 nodi con raffiche a 35: filiamo a 8 nodi con tutta randa e yankee ridotto. Un gruppo di balene, sempre segnalate da un turbine di uccelli marini, passa mezzo miglio a dritta: gli spruzzi, alti e regolari, si stagliano contro il cielo azzurro come fontane di neve. Facciamo tappa all’Isola degli Orsi, sperduta, solitaria, desolata, sempre avvolta dalle nebbie e da nuvole basse, cariche di pioggia. Diamo fondo in una rada deserta, circondata da scogliere con milioni di uccelli; riposiamo qualche ora, poi riprendiamo la rotta nel Mare di Barents.

Verso l’isola degli Orsi
Scendendo a sud l’aria si addolcisce: ormai riesco a stare in pozzetto senza i guanti. E a mezzanotte il sole comincia ad abbassarsi tra le nuvole che si colorano di rosa e arancio: è quasi un tramonto! Siamo veloci, al gran lasco e con le onde che ci spingono, con i delfini che giocano con la chiglia e i fulmar che ci scortano a poppa. In dodici ore abbiamo macinato quasi cento miglia. E ovunque, sopra e sottovento, si vedono gli spruzzi delle balene, i salti colossali e le loro code che battono il mare sollevando cascate di spuma. Poi avvistiamo terra: il fiordo di Torsvaag, 40 miglia in prua, a ovest di Capo Nord. Il vento cala, il cielo si fa grigio. Ecland naviga a motore attraverso stretti fiordi verdeggianti. Ecco le case, i traghetti, gli allevamenti di pesce, le strade con le automobili: il mondo degli uomini. E nella nebbia le luci fioche del porto di Tromsø.
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