Il circo della Coppa America a inizio settembre è sbarcato in Francia a Tolone per l’unica tappa mediterranea. Siamo andati a vedere, invitati da Norauto Italia, sponsor di Groupama Team France, che effetto fa vedere i catamarani che volano a pochi metri dalla riva. E avvicinare anche i campioni che pilotano questi oggetti volanti e sentire cosa ne pensano e come si stanno preparando alla vera sfida, quella della prossima Coppa America, alle Bermuda da maggio 2017. E capire se un giorno questo modo diverso di andare a vela influenzerà anche le nostre barche e il modo di andare per mare. In passato tutte le innovazioni sono passate dalla Coppa America. Sarà ancora così?
POCO VENTO MA…
Prima delusione, il vento era poco, così il volo, ovvero la navigazione a folle velocità degli AC 45 (m. 13,45) sopra l’acqua, grazie ai foil e all’ala rigida al posto della vela tradizionale, non c’è stata. Nonostante ciò vedere questi “mezzi” che assomigliano più ad un aereo che ad una barca è affascinante. Si, ma da velista però non riesco ad entusiasmarmi fino in fondo per lo spettacolo. Ne parlo con Ivan Zignego, docente alla Scuola Politecnica dell’Università di Genova ed ex regatante in Hobie Cat. Gli chiedo quanto gli AC45 gli ricordino gli scafi che siamo abituati a vedere. “Decisamente poco: sono barche molto differenti tra loro: dimensioni, materiali e le stesse vele rendono davvero difficile il confronto”. Poi, sull’evoluzione degli scafi dell’America’s Cup, la sua opinione conferma le mie sensazioni; “Tralasciando gli aspetti più tecnici credo che queste barche garantiscano la spettacolarità delle regate. Allo stesso tempo però, proprio per le loro prestazioni e l’elevatissima preparazione richiesta agli equipaggi, mi chiedo quanto un diportista riesca ad immedesimarsi in uno di questi timonieri”.
QUESTO NON E’ UNO SCAFO PER DIPORTISTI
Insomma, uno spettacolo entusiasmante ma da guardare, necessariamente, da una certa distanza. Forse sono pessimista ma l’idea che, domani, uno scafo dalle prestazioni simili ad un AC45 abbia al timone, (anziché Franck Cammas o Jimmy Spithill, giusto per citarne un paio) un diportista qualsiasi, mi fa rabbrividire. Domenica all’ora di pranzo, poco prima della partenza per la prima regata del giorno, incontro proprio lo skipper di Groupama. Un rapidissimo scambio di battute sul meteo (di difficile interpretazione) e sulla difficoltà di stare al timone di una barca così performante. “In condizioni di vento leggero come oggi abbiamo più tempo per prendere le decisioni. Quando invece la barca naviga sui foil tutto diventa più rapido e stressante, anche perché è un tipo di navigazione con cui abbiamo meno esperienza”. Di domande ce ne sarebbero molte altre ma l’espressione estremamente tesa per la partenza lascia intendere che è il momento di andare.
IL DESJOYEAUX-PENSIERO
Il villaggio dell’America’s Cup è ormai preso d’assalto da appassionati e molti curiosi che si aggirano tra gli stand di ogni tipo in attesa dello start. Gli scafi sfilano uno dopo l’altro di fronte alle tribune, il vento non arriva ma fa parte del gioco. Bibite fresche e cappellini da sole fanno da padroni. Mi cade l’occhio sull’ala di Oracle: molto coerentemente trovo il marchio di Airbus. E diventa sempre più concreta l’impressione che sono più simili ad aerei che a barche a vela. Sono stati Michel Desjoyeaux, il ‘professore’ della vela oceanica, insieme ad Olivier de Kersauson e Franck Cammas a creare nel 2013 Team France. Il primo, due volte vincitore della Vendée Globe (2001 e 2009) lo incontro nell’attesa della partenza. Sono dubbioso, mi stupisce che degli ‘oceanici’ partecipino ad una competizione come questa. Ci sediamo, inizia a parlare. Nel frastuono di musica e commenti alle fasi preliminari allo start mi spiega la sua visione e tutto acquista un senso diverso. “Sia nell’America’s Cup sia nelle regate oceaniche si lavora in team. Il gruppo può essere più o meno numeroso ma, in realtà, la sola cosa che cambia è l’obiettivo da raggiungere. Per noi adesso è la Coppa America. Se non sarà in questa edizione pazienza, noi stiamo già lavorando per la prossima”.

L’ala rigida degli AC45 è alta 20 metri ed ha una superficie di 85m2. Il principio di funzionamento non è molto diverso da quello di una randa tradizionale ad eccezione del fatto che la rigidità della struttura consente di avere una maggiore efficienza. E’ composta da due elementi: uno anteriore, il main, costituito da una struttura unica, ed uno posteriore, il flap. Quest’ultimo è suddiviso a sua volta in tre elementi separati e regolabili individualmente. Per quanto riguarda le regolazioni è possibile variare l’angolo tra il main ed il flap (camber) regolando la portanza, il twist della vela agendo sugli elementi del flap e, naturalmente, agire sulla scotta della randa.
EPPURE…
Apprezzo la sua determinazione ma continuo a chiedermi il senso di realizzare imbarcazioni a vela che viaggiano ad oltre 30 nodi. La sostituzione della randa con un’ala rigida, molto simile a quella degli aerei, ha migliorato le performance. L’introduzione dei foil ha poi consentito allo scafo di sollevarsi sull’acqua. Ancora una volta entrano in gioco i principi che permettono agli aerei di volare: l’ala questa volta non fende l’aria ma l’acqua grazie alla sua forma ad L. Al di sotto dello scafo l’ala genera una spinta verticale (portanza) sufficiente a far sollevare il catamarano. Sempre se la velocità del vento è sufficiente: sotto gli 8 nodi le speranze sono quasi nulle.
![IMG_1743[1]](http://www.giornaledellavela.com/news/wp-content/uploads/2016/09/IMG_17431-300x225.jpg)
I foil, consentono allo scafo di sollevarsi sull’acqua. Hanno una forma ad L ed un profilo alare asimmetrico. L’elemento orizzontale quando viene investito dal flusso dell’acqua genera una portanza che è anche funzione dall’angolo di incidenza del profilo rispetto al fluido. In navigazione è possibile la regolazione di questo angolo (che non supera i 15-20°) variando l’inclinazione longitudinale del foil.
QUALE FUTURO?
Quale può essere il futuro di questa tecnologia nelle regate oceaniche? “Sappiamo da tempo che l’utilizzo dei foil aumenta drasticamente l’efficienza della barca e nelle regate oceaniche l’efficienza deve essere massima in qualsiasi condizione di vento. Già nel 2002 nel circuito ORMA si era ipotizzato di far sollevare completamente gli scafi dall’acqua ma ci furono alcune obiezioni e fu quindi aggiunta una regola restrittiva in questo senso”. La strada sembra dunque tracciata, in futuro è quindi lecito attendersi, almeno sui campi di regata, una presenza sempre maggiore di scafi che sfiorano appena la superficie del mare.
Dove andrà la ricerca? Risponde ancora Zignego: “la ricerca in tutte le discipline deve proseguire senza porsi limiti (etica esclusa). L’applicazione dei risultati delle ricerche spetta all’uomo che deve capirne l’utilità. Nello specifico, a parer mio il navigare/volare è altro sport e come tale dovrebbe essere inteso e regolamentato”.
Paolo Gemelli
I numeri di un AC45
Lunghezza: 45 piedi (13,45 m)
Altezza massima: 25,5 m
Design: Mike Drummond ed Oracle Racing
A bordo: 5 membri dell’equipaggio
Limite del peso totale dell’equipaggio: 437,5 kg (circa 87,5 kg a persona)
Velocità massima: 35-40 nodi
The post Quando le barche assomigliano ad un aereo. A Tolone per vedere il futuro della vela con gli AC 45 appeared first on Giornale della Vela - notizie di vela - regate - crociera.